a cura della Redazione
“La donna uscì dalla costola dell’uomo;
non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore,
ma dal lato per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.”
(Matthew Henry*)
Per il 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, ufficializzata dalle Nazioni Unite nel 1999, proponiamo dall’edizione odierna di Repubblica:
Oggi è la Giornata contro la violenza sulle donne: perché si celebra il 25 novembre
di Viola Giannoli
La storia delle sorelle Maribal. E i colori, i simboli, gli slogan della protesta femminista
Il 25 novembre del 1960 la jeep su cui viaggiavano tre donne rimase vittima di un’imboscata: loro vennero bastonate, uccise, i loro corpi rimessi sull’auto che fu lanciata in un fosso per far credere che la loro morte fosse stata soltanto un ncidente.
Perché il 25 novembre
Le tre donne si chiamavano Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, erano tre sorelle che nella Repubblica dominicana degli anni Cinquanta osarono sfidare il regime di Rafael Leonidas Trujillo. Avevano scelto un nome di battaglia: “Mariposas”, farfalle.
Cosa è successo il 25 novembre 1960
La loro morte un incidente non era, ma un assassinio, un triplice omicidio, anzi un triplice femminicidio. In tanti non vollero credere alla versione ufficiale e quella strage familiare segnò forse la fine della sanguinosa dittatura di Trujillo, che fu a sua volta assassinato il 30 maggio dell’anno successivo.
“Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza”, – racconterà anni più tardi Adela, detta Dedé, l’unica sopravvissuta di quel femminicidio tra le sorelle Mirabal.
La risoluzione delle Nazioni Unite
Ecco come nasce la celebrazione del 25 novembre: la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, ricorda la morte violenta delle tre Mariposas.
Nella risoluzione dell’Onu è scritto oggi che per violenza contro le donne s’intende “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.
“Non Una di Meno”
In Italia a partire dal 2016 femministe e transfemministe riunite nel grande movimento nazionale di Non Una di Meno scendono in piazza il 25 novembre contro la violenza maschile. E così è anche quest’anno in decine di città, da Milano a Bologna, da Venezia a Roma Il nome del movimento riprende quello coniato in Argentina nel 2015 che s’ispira ai versi della poetessa messicana vittima di femminicidio Susana Chávez: “Ni una mujer menos, ni una muerta más (Né una donna in meno, né una morta in più)”.
Il colore fucsia del 25 novembre
Se in Argentina il colore della rivolta femminista è il verde, in Italia è il fucsia, un colore che include anche altre identità di genere, altri orientamenti sessuali, che con le donne condividono l’oppressione da parte della cultura patriarcale.
Perché le scarpe rosse
Prima del fucsia però c’è stato (e c’è ancora) il rosso, il colore del sangue, delle panchine contro la violenza sulle donne e delle scarpette rosse, per anni simbolo degli abusi, dei maltrattamenti e dei femminicidi. La storia è questa: un’artista messicana, Elina Chauvet, il 22 agosto 2009 posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse. L’idea di Chauvet nacque per la necessità di inventare un’immagine potente che non potesse lasciare indifferenti e accendesse dunque un faro sulla violenza di genere. Ma anche per ricordare la sorella, assassinata dal marito a soli vent’anni.
Lo slogan del 25 novembre
Oltre i simboli, c’è la potenza delle parole: quest’anno lo slogan che risuona nelle piazze italiane nella Giornata contro la violenza sulle donne è “Disarmiamo il patriarcato”. Perché, spiegano le attiviste di Non Una di Meno, “abbiamo altre priorità che la logica geopolitica cancella: lottiamo contro la violenza e la cultura dello stupro che ci opprimono, contro i confini interni e esterni, contro la militarizzazione dei territori e la devastazione ambientale ormai dispiegate e presenti nel nostro quotidiano. Disarmiamo il patriarcato, per fermare la guerra, nelle case, sui corpi, sui territori e sulle nostre vite”.
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(*) Matthew Henry (1662-1714) fu un ministro presbiteriano inglese e un riconosciuto studioso commentatore della Bibbia. Nel mondo protestante e presso gli studiosi biblici di ogni confessione religiosa, è conosciuto per la sua imponente opera Commentario Biblico, che nonostante fu completato circa trecento anni fa continua ad essere tradotto in più lingue (italiano compreso) ed è punto di riferimento per la primaria peculiarità dell’opera, che commenta versetto per versetto tutti i libri della Bibbia, da Genesi ad Apocalisse (da Wikipedia)
Bixio
25 Novembre 2024 at 20:21
A proposito delle immagini della rubrica “Meteo & Foto”: questi panorami, questi paradisi dell’isola di Ponza, ancora riescono a sorprendermi ma dall’altra parte mi spingono all’introversione. Ammiro l’orizzonte isolano, ma c’è sempre qualcosa che stona; che mi rode dentro. Non so se faccio bene ad affrontare un tema così attuale e così delicato. La violenza sulle donne!
Non voglio soffermarmi sui tanti talk show che trattano giornalmente l’argomento, spesso in modo ipocrita e per passare il tempo. Tutti abbiamo madri, mogli. sorelle, figlie… Com’è che non riusciamo a trovare una soluzione?
Secondo me la questione è antichissima, parte dalla notte dei tempi, da quando l’animale/uomo comparve sul pianeta. Mi chiedo spesso perché è sempre il soggetto maschio a prendere l’iniziativa. Nella preistoria, e successivamente, era certamente dovuto alla prestanza fisica e alla lotta per la sopravvivenza, quindi di seguito si formarono tribù, popolazioni e sistemi sociali sempre a impronta maschile, ritenendo la femmina soggetto troppo fragile e relegandola a soggetto secondario e marginale. Questo per il maschio della specie umana.
Ma perché anche tra gli animali è sempre il maschio ad avere il sopravvento? Non è condizionato dal sistema sociale, allora cos’è che lo spinge a simili comportamenti? La risposta è scontata: la Natura!
Siamo degli ipocriti a voler nascondere tale spinta interna. Nonostante l’evoluzione, l’emancipazione, non riusciamo a controllare il fattore fisico, quella spinta malefica che ci porta a comportamenti che fanno danno e provocano tragedie. Non credo che superficialmente si debba incolpare la mentalità, il patriarcato etc etc. Bisogna fare i conti col fattore ancestrale, fisico. Lo stesso maschio non sa cos’è che lo precipita in tali comportamenti aggressivi e distruttivi.
Anche in tempi moderni fino a quando la femmina viene corteggiata e considerata come oggetto di conquista – quindi una preda -, si troverà sempre ad un gradino inferiore.
Spesso mi chiedo: ma com’è che il soggetto femminile non prende iniziative? Iniziative, intendo, in tutti i sensi Per un fattore fisico o culturale?
Senza voler suscitare polemiche, personalmente ritengo che il maschio sia vittima e poi colpevole sia per il fattore fisico e poi per l’eredità culturale ed educativa. Non me ne voglia nessuno, ma perché nel mondo animale le cose vanno in modo simile al comportamento maschile/umano? La famiglia, la cova delle uova, il maschio difende e procaccia il cibo… etc, etc… Perché non è il contrario?
Per carità, non voglio assolvere né giustificare il maschilismo, il patriarcato, sottovalutare i danni e le tragedie che provocano; ma una buona volta vogliamo porci altri interrogativi?
Secondo me è qualcosa di primordiale, di ancestrale che nonostante millenni, evoluzione delle civiltà, cultura, educazione, nei momenti di crisi nel maschio umano viene fuori. Incontrollabile, tragico, distruttivo. È lì che bisognerebbe analizzare, scavare, studiare, e non dare credito ai filosofi dell’ultim’ora che si limitano a commentare solo gli eventi di facciata e quando le tragiche conseguenze diventano cronaca nera.
In tv continuano ad abbuffarci con la storia della cultura, e allora perché registi, attori, onorevoli, presidenti americani, professori, primari, dottori, imprenditori, alla prima occasione ci provano, ricattano, minacciano? Non è anche questa violenza? Non rompessero con la storia della cultura! È ben altro!
Perché nel mondo animale avvengono battaglie tra i maschi per l’accoppiamento? Secondo me è da lì che parte tutto! Nel mondo umano la situazione è più sottile, più ipocritamente nascosta e nessuno ha il coraggio di parlarne.
Li vedi innamorati a far spettacolo, selfie a non finire, felici… il mondo è loro!
Invece comincerei a preoccuparmi… Bravi ragazzi, anche timidi…. poi cosa scatta?
Come si passa dal romanticismo infinito alla violenza più feroce?
La modernità accredita un modello di “vivere di facciata”, sempre ipocritamente in mostra, poi quando lo spettacolo finisce e si resta soli, nella coppia, da parte dell’uomo, scatta la violenza! Quasi tutte storie identiche!
La reazione violenta è sempre la stessa, sia tra gli ignoranti che tra gli uomini di cultura, li unisce il comportamento violento nei confronti della donna.
Cominciassero a studiare le parti dell’organismo maschile che influenzano e condizionano il cervello maschile, e perché quello femminile ne è esente!
Sandro Russo
7 Dicembre 2024 at 18:35
Caro Bixio,
non sono del tutto d’accordo, ma non sono un esperto. Un antropologo o un socio-biologo ti potrebbero rispondere meglio.
A me non risulta che tra gli animali sia presente la violenza sessuale o l’uccisione di genere (non è conveniente!). Tra i felini qualche volta succede che i leoni uccidano i piccoli perché sottraggono loro l’attenzione delle femmine, ma violenza e uccisione delle femmine mai.
Vediamo se qualcuno ne sa più di noi, in proposito