proposto dalla Redazione da la Repubblica di ieri
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Il personaggio
Merkel: “Preoccupata per il ruolo di Musk Il capo del Cremlino? Ha tratti da dittatore”
dalla corrispondente di Repubblica Tonia Mastrobuoni – 23 novembre 2024
Berlino— Fu l’inno di Edith Piaf, potrebbe essere il sottotitolo della monumentale autobiografia di Angela Merkel: je ne regrette rien, non mi pento di nulla. In oltre 700 pagine, la cancelliera più longeva, l’ex “ragazza” di Kohl che si affermò in una Cdu di maschi alfa e in una Germania ancora frastornata dalla riunificazione, ripercorre l’infanzia nella Ddr, l’ascesa nel partito e i sedici anni da cancelliera. E il bilancio di Libertà (Rizzoli) è sobrio ma netto. Anche nella lunga intervista che ha concesso ieri a Spiegel.
Il suo «ce la facciamo» durante la crisi dei migranti del 2015 fu giusto, così come fu giusta la decisione di impedire la candidatura dell’Ucraina alla Nato. E fu giusta persino la decisione di portare a termine il gasdotto Nordstream2. Soprattutto, fu giusto pensare di contenere Vladimir Putin, anche se ne riconobbe presto i «tratti dittatoriali» e «autocompiaciuti ».
I passaggi più tragicomici del libro sono quelli dedicati a Donald Trump, una delle prove più dure del suo cancellierato. Già dopo il primo incontro, Merkel riconosce, sfinita, che «mi ero comportata come se avessi avuto a che fare con un interlocutore normale». Invece l’ex leader della Cdu capisce di aver a che fare con un gigantesco bebè che oscilla tra aggressioni arbitrarie e «la volontà di piacere al suo interlocutore».
Nella chiacchierata con lo Spiegel, Merkel aggiunge un paio di considerazioni brillanti sul Elon Musk, il Tech-Rasputin di Trump: «Se una persona come lui è il proprietario del 60 per cento di tutti i satelliti in orbita nello spazio, allora questo deve essere una grande preoccupazione per la politica, che deve determinare il bilanciamento sociale tra i potenti e i cittadini ordinari».
E da talento puro quale si è dimostrata in un quarto di secolo di politica attiva, Merkel avverte che nelle grandi crisi la politica dovrebbe rimanere sempre «l’ultima istanza», e non le Big Tech o altri gruppi che rappresentano interessi privati.
Un punto dolente e un po’ contraddittorio dell’autobiografia sono i passaggi su Putin: già nel 2007 il presidente russo le manifestò le sue nostalgie imperialiste. Eppure, notoriamente, l’anno dopo Merkel si oppose al vertice Nato di Bucarest alla candidatura di Georgia e Ucraina. E lo rivendica: dubita che lo status di candidati le avrebbe tutelate da un eventuale aggressione russa. Anzi: il solo fatto che l’Alleanza atlantica gli avesse prospettato in astratto un’adesione, per Putin «fu come una dichiarazione di guerra».
Merkel architettò dopo l’annessione della Crimea e l’invasione del Donbass del 2014 gli accordi di Minsk, e continua a sostenere che Putin vada in sostanza arginato. L’Occidente si deve chiedere, ha anche ripetuto ieri nell’intervista allo Spiegel ,«se ha fatto tutto giusto».
E anche adesso che l’Ucraina respinge da oltre mille giorni l’aggressione russa, l’ex cancelliera pensa che non si possa solo agire con la deterrenza, ma che occorra lavorare anche attraverso la diplomazia. Lei che nel libro ammette di aver trovato il comportamento di Putin, durante i negoziati per Minsk, letteralmente «inaudito».
L’anticipazione
Quando Vladimir cercò di intimorirmi con il suo labrador
di Angela Merkel
Putin trovava la situazione divertente
Pensai solo: non perdere la calma, concentrati sui fotografi, passerà
Il 27 aprile 2006 si tenne un forum con i rappresentanti delle economie tedesca e russa (…) Al termine delle consultazioni Putin mi invitò a raggiungere l’aeroporto in auto con lui. «Sai qual è una differenza importante tra la Costituzione americana e quella russa? » mi chiese. Non avevo la più pallida idea di dove volesse andare a parare. «In entrambe, la presidenza è limitata a due mandati» continuò «ma negli Stati Uniti la rielezione è esclusa. In Russia, invece, il presidente può essere rieletto anche dopo due mandati, se si prende una pausa». Il messaggio che colsi da queste poche parole di Putin, quel giorno di primavera del 2006 in Siberia, mentre eravamo diretti all’aeroporto, non lasciava dubbi: «Tieni presente che io ci sono ancora, anche se l’anno prossimo dopo due mandati lascerò la carica a un successore come vuole la Costituzione; tornerò, la mia sarà solo una pausa». Non commentai, ma capii benissimo cosa intendesse. Una volta arrivati all’aeroporto, Putin fece fermare la sua auto a fianco del mio aereo. Ci salutammo e ripartii per Berlino.
Nove mesi dopo, il 21 gennaio 2007, feci visita a Vladimir Putin nella sua residenza di Soci, sul Mar Nero. Durante il nostro incontro, mi assalì affermando che, per quanto lo riguardava, il crollo dell’Unione Sovietica era stata la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo. Questa posizione non era nuova, l’aveva già espressa nel 2005 durante il suo discorso sullo stato della nazione. Adesso però inanellava un’accusa dopo l’altra.
Per diversi minuti, Putin si scagliò contro la guerra in Iraq del 2003 e contro il sistema di difesa antimissile progettato dagli Stati Uniti, comprese le installazioni previste in Polonia e Repubblica Ceca. Per dimostrare l’assurdità dello scudo spaziale calcolava rabbiosamente la gittata dei missili iraniani. Nel suo mirino c’erano i piani americani per la costruzione di un sistema antimissile globale presentati da George W. Bush nel maggio del 2001, pochi mesi dopo il suo insediamento. Il presidente Usa si era ricollegato all’Iniziativa di difesa strategica di Ronald Reagan del 1983 e al National Missile Defense Act del 1999, rivolti contro i cosiddetti rogue states, gli “Stati canaglia”, come l’Iran e la Corea del Nord. Dopo l’11 settembre, la costruzione di uno scudo antimissile aveva acquisito ulteriore significato per Bush.
Putin, invece, insisteva sul fatto che fosse diretto anche contro la Russia. A Soci, lo lasciai finire di parlare e cercai di mantenere la calma. Poi risposi che avrebbe dovuto affrontare l’argomento con George W. Bush non mancando di sottolineare che la più grande catastrofe del Ventesimo secolo era stata il nazionalsocialismo in Germania e che la fine della Guerra fredda aveva, del tutto inaspettatamente, cambiato la mia vita in meglio.
A Soči, Putin mostrò ancora al pubblico, su un altro livello, come intendesse mandare segnali; se necessario, anche con l’aiuto del suo labrador nero, Koni, che spesso teneva accanto a sé quando riceveva gli ospiti stranieri.
Dalla prima volta che l’avevo incontrato da cancelliere, nel gennaio del 2006, sapeva che avevo paura dei cani, perché all’inizio del 1995, nella Uckermark, ero stata morsa. Christoph Heusgen aveva informato il suo collega russo Sergej Prichodko e lo aveva pregato di chiedere a Putin di non portare il suo cane. Nel 2006, a Mosca, aveva rispettato la nostra richiesta, anche se non si era risparmiato una piccola malignità: infatti, mi aveva portato un regalo speciale, un grosso cane di pezza, e nel porgermelo aveva osservato che quello non mordeva. Io avrei fatto buon viso a cattivo gioco. L’avevo poi passato a Christoph Heusgen, che aveva dovuto portarselo appresso per quella che sembrò un’eternità, prima di trovare un impiegato del protocollo a cui consegnarlo.
Nel 2007, a Soči, il labrador Koni era presente in carne e ossa ai colloqui. Mentre Putin e io posavamo per fotografi e cameramen seduti in poltrona all’inizio del nostro incontro cercai di ignorare l’animale, anche se mi gironzolava intorno.
L’espressione di Putin diceva chiaramente (almeno a me) che trovava la situazione divertente. Voleva semplicemente vedere come reagisce una persona in difficoltà? Era una piccola dimostrazione di potere? Pensai solo: non perdere la calma, concentrati sui fotografi, passerà. Quando finalmente l’incontro si concluse, non affrontai con Putin l’argomento, ma mi attenni, come faccio spesso, alla regola dell’aristocrazia inglese “never complain, never explain”, mai spiegare, mai lamentarsi.
[© 2024 Mondadori Libri Spa]
Immagini. Angela Merkel in alcuni primi piani e, sotto, con Putin a Soči nel 2017
Libertà
di Angela Merkel (tr. C. Galli, R. Zuppet), Rizzoli, pagg.736, euro 25 In libreria dal 26 novembre