da conversazioni tra Sandro Russo e Marco Màdana Rufo Mansur
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Si fa (e si impara musica). E si parla di Musica.
Non con una persona qualunque, ma con un vero Maestro, uno che ne ha frequentato tutti gli aspetti.
Marco Màdana Rufo Mansur. Studi severi di musica classica in gioventù, a Firenze; poi musica dovunque. Per intrattenimento, spettacoli, in gruppi di musica popolare di cui diventava spontaneamente leader, insegnamento della musica.
In tutto questo – particolare non accessorio, ma fondamentale -, lunghi soggiorni in India, da solo o in varie comunità di meditazione (ashram) e la conoscenza e pratica di altri strumenti, diffusi in India, ma anche meno comuni, come il comanchi (?), un piccolo strumento a corda iraniano che si suona come un violoncello, legato a un particolare periodo della sua vita, per cui ha sviluppato una vera passione.
Come si capisce, un percorso originale e girovago, da irregolare della musica (…e della vita).
Da pochi mesi, per i giri del caso, Marco Màdana è approdato al casale e, da opportunista della situazione, cerco di imparare da lui qual che posso. Oltre a sporadiche lezioni di organetto e registrazione di sue esecuzioni su cui lavorare, chiacchiere, cucina, incontri con altre persone…
Vengo a scoprire per caso, durante un trasferimento in macchina con l’autoradio accesa, che non ama la musica commerciale. Non una avversione espressa, perché – lui dice – tende a lasciarsi scivolare addosso le cose del mondo senza opporre resistenza… Giusto una vaga espressione di disappunto.
Vorrei capirci di più. È vero, per radio passa “musica commerciale”, ma non lo è anche quella che a me piace? Il pop-rock dai Beatles ai Queen, il brit-pop e la cosiddetta progressive music, Genesis, Yes e avanti, inclusi i Pink Floyd e David Bowie (solo per fare grandi nomi: tutti gruppi e autori che ho proposto sul sito), su cui ho praticamente formato i miei gusti musicali. Questo tipo di musica, oltre ad avere una ‘infarinatura’ di base di musica classica, che per la verità ho ascoltato di più in gioventù.
Disegno a china di Roberta Bartoletti
Marco Màdana è la persona più indicata per cercare le radici della musica, una tematica che mi ha sempre molto attratto. Chi meglio di lui che della musica ha sperimentato tutto, per conoscenza teorica e pratica sul campo, attraverso strumenti diversi?
Perché la musica dà piacere?
C’è qualcosa di universale nella musica che riguarda tutti gli uomini, in tutti i tempi? Che fa battere le mani seguendo un ritmo o percuotere una pelle tesa su un piccolo/grande oggetto cavo, o strofinare un archetto su una corda tesa per cavarne suoni, e tanti altri marchingegni per produrre vibrazioni variamente modulate… E poi nel corso del tempo, darsi delle regole, dei codici riconoscibili, un linguaggio indipendenti dalla lingua scritta e parlata.
Io ero restato alla spiegazione che l’origine della musica, l’attrazione che esercita, fossero nella capacità di riprodurre il battito cardiaco della madre che il feto umano sente trasmesso dal liquido amniotico già nella vita intrauterina. Ma Marco Màdana mi smonta questo teorema e mi dice che non è universalmente vero: altre culture non utilizzano il ritmo come elemento fondante, eppure hanno prodotto suoni che sicuramente sono da annettere al vasto campo della musica. Mi propone i suoni del suo comanchi, come esempio.
Così siamo ancora in altro mare, per quanto attiene alla definizione del significato più profondo della musica.
Donna che suona il kamancheh, Qajar Iran, dipinto 1800-1825
In generale, per la maggior parte delle persone, l’ascolto e la pratica della musica sono legati a precise situazioni:
– Si fa e si ascolta musica, in generale, perché dà piacere;
– si ascolta e si fa musica per intrattenersi con amici: la musica insieme crea legami ed empatia;
– Si fa musica, a un certo livello, per darne spettacolo.
Ma è tutto qua? Arriviamo per questa via a comprendere il significato della profonda attrazione che proviamo per la musica?
In questo approfondimento abbiamo tirato dentro una terza persona – un’amica comune, Vittoria, che fa musica, canta, danza e fa spettacoli – che esprime una posizione più personale.
Dice Vittoria: – Della musica abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo. C’è uno stato di benessere legato alla musica (e ad altre arti) necessario a noi e anche agli altri. Un benessere interiore che apre le porte alla comunicazione; ci permette di connetterci a noi stessi e con gli altri. La Musica ha per questo anche aspetti terapeutici a livello emotivo, come sanno i cultori del profondo e gli psichiatri. L’arricchimento che ha costituito la musica nella mia vita è incommensurabile. Per certi aspetti potrei dire che la musica, l’arte, mi hanno salvato la vita… E c’è anche un altro aspetto molto personale, privato, direi: che non riesco a fare musica a comando, su commissione. Mi apro alla musica solo in particolari circostanze e con certe persone”.
Così Vittoria.
Ma molti interrogativi sono rimasti sospesi, impending.
Non posso cambiare i miei gusti che si sono stratificati negli anni, ma cercare di capirci di più, questo lo posso fare.
Non so neanche se sono riuscito a spiegare in maniera comprensibile la confusione di pensieri che ho in testa, a proposito della Musica. La riconosco come una delle pulsioni basiche dell’umanità, tutte le culture esprimono qualche tipo di musica; attira in mille modi diversi, nella mia vita ne ho sentita tanta e ho strenuamente provato a capirla e a farla. Ma la sua essenza profonda mi sfugge: non sono risposte che posso trovare su Wikipedia.
Perciò trascriverò il seguito di questa discussione con il Maestro, dal momento che l’argomento è stato suscitato da un semplice sopracciglio alzato, ascoltando musica in macchina!
Nella prossima puntata su questo stesso tema.
Note
Kamānches, Persia, ca. 1880. At the Metropolitan Museum of Art (Wikipedia)
Il kamancheh (noto anche come kamānche o kamāncha) è un cordofono iraniano, usato anche in Armenia, Azerbaigian, Turchia e Kurdistan, simile al rebab, lo storico antenato del kamancheh, ma anche alla lira bizantina, antenata della famiglia dei violini [immagine e informazioni da Wikipedia]
Et voilà la musique! Disegno a pennarelli fini di Roberta Bartoletti, musicista (una delle prime insegnanti di organetto del Circolo Culturale “Gianni Bosio” di via dei Volsci, a Roma, coordinato da Ambrogio Sparagna, negli irripetibili anni ’70. Con la sua passione per il disegno, ereditata dal padre, trasfonde in grafica la sua idea della musica. Di questa stampa mi ha fatto dono. Grazie Roberta
La musica nelle nostre vite (1) – Continua
Roberta Petrassi
17 Novembre 2024 at 06:06
Mi hai fatto ricordare quando tanti anni fa sei venuto a Camporotondo con l’organetto e lo hai suonato ed anche quando con Isidoro Feola siamo andati all’Auditorium ad ascoltare musiche di organetto. La musica accompagna la nostra vita fin da quando nasciamo, ascoltando la nostra stessa voce strillante. Buon fine settimana, caro cugino