Economia

Per l’Europa, la vittoria di Trump è veramente una buona notizia come in tanti ci vogliono far credere?

di Enzo Di Fazio

Le elezioni presidenziali americane hanno decretato un netto successo di Trump, andato ben oltre ogni più rosea previsione visto che dalla sua parte c’è anche il voto popolare.
In America i repubblicani festeggiano, i democratici si leccano le ferite. Nel resto del mondo, ma soprattutto in Europa, la destra plaude mentre la sinistra s’interroga. Di analisi, pareri, studi, ne stiamo leggendo tanti in questi giorni. Da parte di politologi e uomini di cultura, ma anche di politici delle due sponde. Qualcosa ha ospitato anche questo sito nel rispetto di una linea che non può non informare su quello che accade nel mondo. Perché quello che succede altrove, nel bene e nel male, in qualche modo ci coinvolge. Soprattutto se interessa l’aspetto economico.
Sono in tanti a sostenere che il successo di Trump sia in gran parte ascrivibile al rincaro dei prezzi che, con un’inflazione arrivata al 10%, nei due anni post Covid ha fiaccato il portafoglio degli americani e distrutto la fiducia nel partito democratico incapace di proteggerli e di spiegar loro cosa stava succedendo.
Parlare alla pancia degli elettori è una tattica sempre vincente; fa niente poi se certe promesse non vengono mantenute o mantenute solo in parte. O, se peggio, vanno a vantaggio dei ricchi e a discapito dei meno abbienti.
Trump in campagna elettorale ha promesso tanto. Meno tasse, più dazi e una forte deregulation, tutte misure considerate iperinflazionistiche. E il ritorno all’inflazione non è una buona cosa, soprattutto se, dopo un terribile 2022, l’opera di riportarla nei limiti fisiologici non si è ancora conclusa, in particolar modo in Europa dove l’economia è più fragile.
Sarebbe allora il caso di brindare un po’ di meno alla vittoria di Trump e di analizzare un po’ di più le conseguenze per l’Europa, sia sul piano economico che degli equilibri politici.
Propongo di farlo attraverso la lettura di un’interessante intervista che qualche giorno fa Lucrezia Reichlin (*), professoressa presso la London Business School, ha rilasciato a Francesco Manacorda giornalista di Repubblica.
EDF

 

Da la Repubblica del 7 novembre
Lucrezia Reichlin “Con Trump al governo rischiamo una guerra commerciale e il declino dell’Europa”
di Francesco Manacorda


(foto Ansa)

L’economista della London Business School: “Il presidente Usa cercherà di ottenere intese bilaterali con i singoli Paesi Ue e l’Italia potrebbe essere al centro di queste manovre”

«Più tariffe e quindi più guerre commerciali, con implicazioni sull’ordine globale ma anche e soprattutto sulla tenuta della costruzione europea». Il ribaltone nella politica Usa – avverte Lucrezia Reichlin, economista che insegna alla London Business School – avrà effetti immediati e dirompenti anche da noi.
Partiamo proprio dal commercio. Cosa significherà in concreto l’approccio protezionista di Trump, che ha già annunciato in campagna elettorale pesanti dazi sulle importazioni?
«Tariffe generalizzate sulle importazioni tra il 10 e il 20%, fino ad arrivare al 60% per le merci cinesi – se saranno confermate – avranno di sicuro un effetto immediato sull’inflazione negli Stati Uniti e una serie di implicazioni legate alle tensioni commerciali per l’Europa, che ha congelato fino a marzo le contromisure sulle tariffe già imposte dagli Stati Uniti. Bisogna capire come risponderà a un irrigidimento delle tariffe».

Qual è la sua previsione?
«Il problema fondamentale è se l’Europa reggerà a questo scontro mantenendo una politica comune o se, come è probabile, Trump cercherà di avere intese bilaterali con singoli Paesi europei, puntando sul “divide et impera” e su una frammentazione della risposta europea».

E la seconda appare l’ipotesi più probabile…
«Sì. E aggiungo che l’Italia, visto l’orientamento del nostro governo, più vicino a Trump di Francia e Germania, e in una fase in cui il motore franco-tedesco appare in forte crisi, è uno dei Paesi che potrebbero essere al centro di queste manovre».

Come pensa che cambierà la politica economica e monetaria americana?
«Bisogna capire prima di tutto cosa deciderà Trump sul deficit pubblico e osservare con attenzione la situazione della Federal Reserve. Il nuovo presidente ha già minacciato di limitare l’indipendenza della banca centrale, la cui politica non si esercita solo sugli Stati Uniti, ma sul sistema finanziario globale. Certo, maggiori tariffe e chiusura all’immigrazione, significano spinte inflazionistiche e quindi – a meno, appunto, che Trump non limiti l’indipendenza della Fed – possiamo aspettarci un rallentamento nel ribasso dei tassi e nel medio periodo un rialzo».

Non una buona notizia per l’Europa, visto che da noi la crescita è molto più debole che negli Usa e che la Bce ha cominciato da poco il percorso di riduzione dei tassi.
«Di sicuro le mosse della Fed avranno un effetto anche sulla Bce. Sia perché è molto difficile che se la discesa dei tassi rallenta negli Usa non rallenti anche qui, sia perché adesso ci sarà una tendenza alla svalutazione dell’euro verso il dollaro. E, nonostante la Bce non abbia ufficialmente obiettivi sul tasso di cambio, dovrà di sicuro monitorarlo; anche perché una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro significa importare inflazione nell’area euro».

Quindi una marcia indietro decisa sulla politica monetaria globale?
«Più che una chiara inversione di tendenza vedo un orizzonte di instabilità e incertezza. Sappiamo che Trump è imprevedibile e questa scarsa visibilità sul futuro non è una buona notizia per l’economia europea, che è in una fase di grande fragilità».

L’arrivo di Trump segna anche la fine del multilateralismo.
«Quello multilaterale è un approccio in crisi da tempo. La grande vittima di questa crisi saranno le politiche per affrontare il riscaldamento climatico, che hanno bisogno di una risposta globale. E questo è forse il problema principale per quel che riguarda la nuova Amministrazione, perché temo che gli Stati Uniti si ritireranno non solo dagli Accordi di Parigi, ma anche da altri tavoli di negoziato, specialmente quelli che riguardano gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo legati alla transizione verde. Nei prossimi giorni si terrà a Baku Cop29, la ventinovesima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, e penso che già vedremo un diverso atteggiamento americano. Al disimpegno sul fronte globale si aggiungeranno le mosse sul fronte interno, dove Trump ha promesso la ripresa delle trivellazioni e l’intenzione di ridare spinta all’estrazione di energie fossili».

Altri settori dove cambieranno le cose?
«Tutto il set di regole finanziarie internazionali che sono nate dopo la crisi del 2008, come ad esempio le regole di Basilea 3 o il coordinamento delle autorità di vigilanza nazionali sulla Borsa, potrebbe subire ripercussioni».

Insomma, Trump darà una scossa all’Europa. Ma può essere anche una scossa positiva, che rimetta in moto l’Unione?
«Non voglio essere troppo negativa, però vedo un’Europa che non è in grado di cambiare, che non ha l’energia e il capitale politico per fare un grande salto sulle politiche comuni. Avremmo bisogno di farlo in tanti campi, dall’energia alla finanza, ma c’è bisogno di investimenti comuni, di tassazione comune, di capacità decisionale non paralizzata dalle regole sull’unanimità. Purtroppo l’Europa sta andando in direzione esattamente contraria e rischia il declino e forse anche un grande ridimensionamento del progetto dell’Unione».

 

 

(*) Lucrezia Reichlin insegna alla London Business School. E’ stata consulente della Fed di Alan Greespan e direttrice del dipartimento di ricerca della Bce, durante la presidenza di Jean-Claude Trichet

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