.
Siamo agli anniversari! I 35 anni dalla caduta del muro di Berlino e i 5 anni da quando l’abbiamo proposta qui sul sito di Ponzaracconta.
La riproponiamo tal quale: la canzone perfetta, l’atmosfera giusta, i commenti significativi (di Emilio Iodice, Flora Bianchini e Sandro Russo in replay).
Come stavamo cinque anni fa: stavamo meglio quando credevamo di stare peggio.
Mi ha stupito, avendo richiamato l’articolo per rileggerlo e rivedere/ascoltare tutto di nuovo, che nessuno abbia commentato il secondo video, la scena finale di Full Metal Jacket (film monumento del 1987, uno dei miei preferiti di sempre: tutta la vita! Il più antimilitarista dei film di Stanley “Stranamore” Kubrick).
E mi fa piacere constatare che anche “da giovane” facevo scherzi e tendevo tranelli ai lettori: presentare il video senza alcun commento! Che poi nessuno l’abbia rilevato è un altro discorso: – Me so’ capito da sola – diceva Paola Cortellesi nel tormentone di Come un gatto in tangenziale (2017, diretto da Riccardo Milani)
Abbino il riascolto di questa trascinante canzone a un estratto dal Longform di Repubblica di oggi curato da Tonia Mastrobuoni, per il 35° anniversario della caduta del Muro
Il cantante Klaus Meine, 76 anni, cantante heavy metal tedesco degli Scorpions
Klaus Meine e gli Scorpions
Wind of change
“Un inno alla libertà che nacque a Mosca”
di Tonia Masstrobuoni
Alla fine dell’intervista, Klaus Meine accetta persino di fischiettare il leggendario attacco di “Wind of Change”.
Quella canzone composta a Mosca è da trentacinque anni l’inno della caduta del Muro. Ed è stata un amplificatore talmente potente delle emozioni di quell’autunno miracoloso, che a un certo punto girò la voce che l’avesse scritta la Cia. In questa chiacchierata con Repubblica, il frontman della gloriosa heavy metal band tedesca degli Scorpions ci racconta quella fake news, ma anche com’è nato quel brano, perché nel 2022 è cambiato il testo e quali sono stati i momenti più toccanti con Mikhail Gorbaciov.
Meine, come ha vissuto il 9 novembre 1989?
«Nei mesi precedenti un’enorme pressione si era accumulata nella Germania est, con le manifestazioni pacifiche del lunedì a Lipsia, tra le altre cose. Seguivamo tutto, ma il fatto che la situazione sia rimasta pacifica, che non sia stato sparato un solo colpo, che i carri armati siano rimasti nelle caserme, è stato un grande sollievo. Il fatto che quella notte i tedeschi dell’Est e dell’Ovest si siano riuniti e abbiano ballato sul muro di Berlino senza scontri violenti è stato semplicemente meraviglioso. E in realtà non ha fatto altro che confermare la sensazione che avevamo avuto quando avevamo suonato a Mosca qualche mese prima: il “cambiamento” era nell’aria. È stato un grande momento storico».
L’aveva già percepito quando ha composto ‘Wind of Change’, nel 1989? All’epoca lei era a Mosca.
«La storia inizia un anno prima, nel 1988 a Leningrado, fummo una delle prime rock band occidentali ad avere l’opportunità di fare concerti nell’Urss. I nostri dieci concerti a quella che oggi è San Pietroburgo furono l’apripista per il “Moscow Peace Festival” dell’anno successivo, con altre band internazionali. Ci siamo esibiti di fronte a oltre 100.000 fan entusiasti, provenienti da tutta l’Urss, ma anche dalla Ddr e dai Paesi del blocco orientale. Fu come una Woodstock russa: un grande momento. Si aveva la sensazione che la porta della libertà si fosse spalancata. Scrissi “Wind of Change” poco dopo i nostri concerti a Mosca, nel settembre dell’89».
E divenne l’inno della caduta del Muro. Come lo spiega?
«Penso che abbia a che fare con il fatto che la canzone non parli di Berlino o della caduta del Muro, ma che esprima quel momento in cui la libertà sembrava possibile. Il momento della glasnost e della perestrojka. Perché il fatto che questo festival a Mosca sia stato possibile è merito di un solo uomo: Mikhail Gorbaciov. E ho cercato di esprimere questo stato d’animo e i momenti di grande emozione che avevamo vissuto. Ed è per questo che, credo, questa canzone è diventata anche la canzone della caduta del Muro e della fine della Guerra Fredda. Era questo sentimento, questa speranza di pace, di libertà, che si è materializzata per un breve momento. Ed è ancora un inno alla pace: soprattutto per le giovani generazioni, che cantano questa canzone con tutto il cuore ai nostri concerti. Anche se – e forse proprio perché – ho cambiato il testo dopo l’invasione della Russia in Ucraina».
Esatto. Lei ha cambiato l’inizio del brano nel 2022.
«Sì, l’inizio diceva “Segui la Moscova fino a Gorky Park”’.
Ma non era il momento per romanticismi: il mondo era cambiato e bisognava cambiare il testo. Ho cercato di usarlo per esprimere la mia solidarietà per e con l’Ucraina. E ora recita così: “Ascolta il mio cuore: dice ‘Ucraina’, in attesa che il vento cambi”».
A un certo punto è circolata la notizia che non fosse stato lei a scrivere la canzone, ma la Cia.
Cos’è questa storia?
«(Ride) Sì, incredibile. Mi chiamò un giornalista di New York che voleva scrivere di “Wind of Change” e venne di persona a fare l’intervista, lo trovai insolito. Ma quando poi mi chiese se avevo sentito che la Cia aveva scritto questa canzone, scoppiai a ridere. E gli dissi: “Ok, se fosse così, direbbe molto sul potere della musica”. Ma viviamo in un’epoca in cui le fake news sono all’ordine del giorno. E questi complottismi per qualcuno sono più affascinanti della verità».
Se non sbaglio, siete stati la prima band a essere invitata a Mosca da Mikhail Gorbaciov anche dopo la caduta del Muro. Che ricordo ha di lui?
«Ho un grandioso ricordo di Mikhail Gorbaciov. È sempre stato molto disponibile, molto alla mano. Era un uomo molto, molto carismatico.
Ci invitò al Cremlino nel 1991, pochi giorni prima che la bandiera sovietica fosse ammainata sul Cremlino e fummo quasi gli ultimi ospiti ufficiali che ricevette al Cremlino. Fu fantastico. Gli ricordai che quando eravamo giovani, negli anni Sessanta, e vedemmo Nikita Kruscev sbattere la scarpa sul banco dell’Onu, l’Occidente intero si paralizzò nel terrore. Gorbaciov mi rispose, sornione: “E non lo trova rock’n’roll?”».
Ci sono altri aneddoti indimenticabili legati a “Wind of Change”?
«Una volta suonammo in Cina, e ci chiesero di escludere brani come “Blackout” o “Dynamite” dal set. Fummo censurati. Ma stranamente ci fecero suonare “Wind of Change”. Dopo il concerto chiesi all’organizzatore: “Perché hanno censurato queste canzoni e ci hanno permesso di suonare “Wind of Change”?” Mi rispose: “Beh, perché pensavano che “Wind of Change” fosse una canzone sul meteo»