Esteri

Gli americani che hanno eletto Trump hanno poco da cantar vittoria

Luigi Narducci e Sandro Russo segnalano dati e articoli dalla stampa nazionale e internazionale

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Dati e considerazioni mutuate da Le Continent (*)
a cura di Luigi Narducci

In America il tasso di disoccupazione durante il mandato Biden è sceso al 4,1% che rappresenta un ottimo risultato, ma il successo globale del modello economico americano nasconde fallimenti che spiegano la popolarità di Donald Trump, alimentata da un aumento del sentimento di declassamento, delle disuguaglianze e di un grave arretramento sociale rispetto al resto del mondo.
Alcuni dati evidenziano bene l’aumento della povertà e del malessere sociale:

Obesità e alimentazione. Le cifre dell’Organizzazione mondiale della sanità mostrano che gli Stati Uniti sono  tra i paesi con il più alto tasso di obesità al mondo, insieme a Egitto, Belize o Kuwait; l’obesità negli USA è molto diffusa tra i ceti meno abbienti anche per gli alti costi associati a una dieta bilanciata

Droghe. Dal 2016, gli oppiacei sintetici sono la droga più letale negli Stati Uniti ed il numero dei decessi provocati dall’uso di queste sostanze è in continuo aumento e notevolmente più alto che in Europa. I danni causati dalla crisi degli oppiacei negli Stati Uniti colpiscono principalmente le piccole comunità nelle aree deindustrializzate, ma anche le aree più degradate delle metropoli

Spese sanitarie. Secondo un sondaggio condotto da Gallup tra novembre 2023 e gennaio 2024, solo il 55% degli adulti americani dichiara di avere risorse finanziarie sufficienti per far fronte a imprevisti medici. Tra i 18-49 anni, questa cifra è solo del 47 per cento.

Aspettativa di vita. Gli Stati Uniti spendono più di qualsiasi altro paese al mondo per l’assistenza sanitaria (anche a causa del suo costo), ma la speranza di vita rimane inferiore rispetto ad altri paesi con un livello di vita comparabile.

Infrastrutture. Per quanto riguarda le infrastrutture, quelle americane soffrono di una notevole carenza di investimenti rispetto a quelle dei paesi europei. Nel 2021, secondo l’OCSE, solo lo 0,51% del PIL statunitense è stato investito nella costruzione di nuove infrastrutture o nel miglioramento delle infrastrutture esistenti; nello stesso anno, il 5% del PIL cinese è stato speso in infrastrutture, vale a dire dieci volte tanto.

Violenza. Il tasso di omicidi negli USA è in media sette volte più elevato che nei principali paesi europei

Popolazione carceraria. Gli USA sono oggi il quinto paese al mondo per la percentuale della popolazione carceraria in rapporto al numero degli abitanti, di gran lunga il primo tra i paesi più ricchi

Costo della vita. Il costo della vita negli USA è aumentato dal 2020 al 2023 tanto quanto nei 10 anni precedenti

Inoltre, tra tutti gli indicatori che spiegano come Donald Trump sia riuscito a vincere le elezioni presidenziali del 2016 e a fagocitare il Partito repubblicano in meno di un decennio, c’è una crescente diffidenza verso le istituzioni, dei media e di tutti gli attori collegati al Partito democratico.

[Libera sintesi di Luigi Narducci da Le Grand Continent]

West Palm Beach, 6 novembre 2024: Donald Trump (al centro) attende gli esiti delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti durante un evento al Palm Beach Convention Center in Florida. [Foto di Eva Marie Uzcategui/Bloomberg via Getty Images].

Gli ostacoli dietro la vittoria di Trump
di Lucio Caracciolo – Da la Repubblica dell’8 novembre 2024

Donald Trump è il presidente, non il padrone degli Stati Uniti. Tantomeno l’imperatore del mondo. Due premesse utili a interpretare il suo ritorno alla Casa Bianca oltre gli stereotipi. E a introdurre qualche bemolle nella notazione ricca di diesis con cui spesso si rappresentano le conseguenze di questa impresa.

La scena americana e quella planetaria sono in fase di accelerata mutazione, come sempre accade nelle transizioni egemoniche. Il sole a stelle e strisce sta tramontando senza che nessuno sia in grado di prenderne il posto. Ne deriva anarchia geopolitica ed economica, eccitata dal panico di chi abituato a orientarsi sulla stella fissa è senza riferimenti. Vale per amici e nemici del numero uno in panne. Per chi come noi è parte dell’ecumene occidentale in contrazione e per i suoi avversari sempre più numerosi e disinibiti. Tre osservazioni invitano a considerare gli ostacoli contro cui Trump rischia di inciampare.

La prima riguarda i rapporti di forza nel sistema americano in decomposizione. Il presidente è stato eletto per causa di questa crisi, ma ora dovrà gestirla.
Impresa da far tremare i polsi. Lo storico conservatore Niall Ferguson paragona il crepuscolo degli Stati Uniti agli ultimi anni dell’Unione Sovietica. Un breve elenco delle disfunzioni dell’ex strapotenza induce a riflettere.
Anzitutto, la frattura scomposta e incomponibile fra popolo ed élite, ovvero fra deplorevoli bifolchi e arroganti senza patria, stando alle invettive reciproche. Due nazioni. O almeno due modi opposti e incompatibili di sentirsi americani. Democratici e repubblicani non si sopportano. Tanto che su cento matrimoni solo quattro sono “misti”. Si sposano più bianchi e neri che rossi e blu. Per la nazione ancor più che per la famiglia vale la regola che quando si divide è molto difficile ricomporla.

Certo colpisce che un oligarca golpista si sia intestato la guida del popolo contro le élite. La spiegazione più perspicace viene da un analista cinese, Shen Yi, che ricorda quanto affermato da Engels sulla tomba del suo amico e cofondatore del comunismo scientifico: “Marx ha scoperto la legge di sviluppo dell’umanità. La gente deve prima mangiare, bere, vivere e vestirsi, solo poi dedicarsi ad altre attività. Niente supera il fondamento economico”.

La seconda nota riguarda le resistenze dei burocrati e dello Stato profondo. Trump conta su Congresso, Corte Suprema e Casa Bianca. Vedremo fino a che punto. Ma le tecnocrazie che dovrebbero eseguire i suoi decreti ribollono di dirigenti e funzionari che lo detestano. E che considerano dovere patriottico ostacolarlo. La misura del suo potere l’avremo fra qualche mese, ad amministrazione insediata. Se la vuole fedelissima dovrà fare strage di tecnici per lui inaffidabili e trovarne altrettanti di valore. La prima è impresa ardua, la seconda impossibile. Si consideri anche che alcuni Stati federati tendono a muoversi per conto loro. Vale per la democratica California come per il Texas repubblicano. Mentre Washington, Distretto di Columbia, sentina di ogni malaffare nella vincente narrazione trumpista, si conferma isola blu, con percentuale bulgara a favore di Harris: 92,7%. Capitale del pianeta che non c’è. Quindi di sé stessa.

Dai malanni interni deriva infine il ripido declino dell’impegno dunque dell’influenza americana nel mondo. Trent’anni fa gli Stati Uniti si rappresentavano Nuova Roma con steroidi. Ubriacatura da “momento unipolare”. Per un paese in origine imbevuto di spirito missionario e che pertanto si considerava sovraordinato agli altri attori della scena internazionale, il declassamento è di dolorosa elaborazione.

Oggi i soci dell’impero recitano a soggetto, usando gli Stati Uniti — caso limite Israele, più gemello che alleato — invece di esserne usati, come regola non scritta stabiliva. E i non cosiddetti avversari, tutt’altro che unanimi, trovano nel rifiuto dell’egemonia americana l’unico vero punto di convergenza. Le relazioni fra Stati o pretesi tali volgono al bazar. Ci si intende su singoli dossier mentre ci si interdice su altri. Scopriamo con ritardo che il mondo non è piatto, come cantavano qualche anno fa i laudatori della globalizzazione, convinti che scopo dell’umanità fosse diventare America.

Fin qui i dati. Poi ci sono le incognite.
E le sorprese. Una è in agguato dove Trump meno se l’aspetta (o forse sì, ma allora recita bene). Si chiama Elon Musk. Il quale ha girato ai suoi milioni di contatti il fotomontaggio che lo ritrae nello Studio Ovale. “È nata una stella”, ha proclamato il presidente nel giorno del trionfo. Una stella, appunto, non un pianeta. Musk non riflette la luce del sole Trump perché emette la sua. Ed è abituato a muoversi per conto proprio. Per esempio cedendo tecnologia americana ai cinesi o concordando con i russi la sua strategia dei satelliti per evitare che Putin gliene abbatta qualcuno. Alcuni sospettano che non fosse per la nascita sudafricana Musk si lancerebbe nella corsa per la Casa Bianca 2028. Ma in attesa di lanciarsi su Marte lui preferisce fare il padrone su Terra. Altro che presidente dell’America in declino.

 

Note

(*) – Le Grand Continent è una rivista online fondata nel 2019 consacrata alla geopolitica, alle questioni europee e giuridiche e al dibattito intellettuale e artistico con lo scopo di “costruire un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala pertinente (Direttore: Gilles Gressani). La rivista, che pubblica unicamente online, è nata a Parigi nel 2019, ed è il progetto più importante del Groupe d’études géopolitiques (Geg), un think tank fondato nel 2017 da studenti ed ex studenti dell’École Normale Supérieure, l’università francese di eccellenza nell’ambito delle scienze umanistiche

(**) – Lucio Caracciolo, giornalista italiano, è fondatore e direttore della rivista italiana di geopolitica Limes. Collabora con la Repubblica

Immagine di copertina. Trump  (foto reuters)

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