di Pasquale Scarpati
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Caro compare, Redazione e cari lettori,
arrivo tardi. Ma già a suo tempo – gennaio 2012! …ma quanto tempo è passato!? – ho raccontato sia pur sommariamente di questi giochi: Pazzielle ‘i criatùre… e altro.
Racconto la mia esperienza ma soprattutto voglio fare una riflessione sui nostri tempi ed un confronto sulla fragilità dei nostri giovani che o sono insicuri e ricorrono alla tutela dei genitori – i quali a loro volta divengono all’occorrenza medici, insegnanti ecc. ecc. e si sostituiscono a loro – oppure escono fuori dai limiti (come quello che spara o si suicida). Basta poco, infatti, perché siano impauriti e confusi come quello che “non sa che pesci prendere”. La strada, in definitiva, ci insegnava ad essere anche forti. Sono forse una generazione di disadattati, pieni di problemi? Penso di no. Forse siamo stati noi, nell’essere “esageratamente “chiocce”, ad aver creato molti problemi!
Un saluto da un cogitabondo Pasqualino
Il mio strummolo fatto da Pataccone in persona
Qualche volta, ai tempi in cui insegnavo e quando l’argomento era pertinente, raccontavo ai ragazzi i miei trascorsi da fanciullo. In genere era sempre collegato a qualche brano antologico o alla storia. Una volta, probabilmente parlando della trottola, ebbi a parlare delle trottola dei miei tempi: lo strummolo.
Ogni qual volta facevo riferimento al mio passato i ragazzi, forse perché avevano sentore di storia vissuta, erano estremamente attenti. Pochi giorni dopo, alla prima ora, entrando in classe, un gruppo si avvicinò entusiasta.”
– Prufesso’ – mi dissero – ecco uno strummolo!
Tirarono fuori quel piccolo oggetto con un pezzo di spago e me lo porsero, con occhi birichini – Ci fa vedere come funziona? Un po’, forse, per mettermi alla prova ma soprattutto speravano che io “perdessi un po’ di tempo” dando spazio al gioco esottraendolo alla lezione.
Risposi: – Durante l’intervallo vi farò vedere. Così feci. Il pavimento era sconnesso, fessurato e scagliato e francamente pensavo di fare una brutta figura, di suscitare l’ilarità degli alunni. Trovai, in fondo all’aula (che era abbastanza ampia), un quadratino e lì avvolsi lo spago, capovolsi lo strummolo, lo lanciai e quello, per mia fortuna, girò come una… trottola. Ma lo spazio non era abbastanza per cui quasi subito la punta si andò ad infilare in una fessura e lo strummolo ‘scacò’ (finì la sua corsa).
Me lo regalarono, ma non è esattamente come quelli che usavamo noi: è un poco più panciuto!
C’erano due sistemi per far girare quel giocattolo o lanciarlo con la punta verso il basso oppure, come a me piaceva di più, con la punta rivolta verso l’alto e poi far roteare il polso e, stendendo il braccio, lanciarlo più distante, cercando di dare quanta più forza possibile.
Certamente quelli di Nanninella (che, probabilmente erano stati acquistati altrove) era un po’ debolucci e probabilmente costavano anche di meno (30/50 lire?) rispetto a quelli fabbricati a mano da Pataccone. In compenso intorno alla cupola ci potevano essere anche due strisce colorate. Che dolore vedere il proprio giocattolo, strapazzato o addirittura spaccato a metà! Avverto ancora il crac! …il chiodo che rimaneva steso a terra, solo soletto come lumaca a cui era stolto il guscio, e la risata beffarda dell’amico. Una bella litigata. Poi tutto passava.
Ma non ci potevo stare. Ma quelli di Pataccone costavano troppo per me! E chi aveva il coraggio di andare da lui e farselo fabbricare. Zia Malvina mi dava pochi spicci ed io correvo da Nanninella, o da Genoveffa per i pastori del presepe o per le figurine (altro tormento) o le biglie. A seconda dei tempi. Sì, perché periodo dell’anno aveva la sua “stagione” dei giochi! Una volta le nocciole, una volta le carriole, una volta il cerchione (praticato poco in verità), talvolta lo zicchinetto, a volte ’a primma luna monta, oppure i primi due vengono a da’, una volta il labirinto sulla sabbia di Sant’Antonio, una volta a battamùr’. Non ci annoiavamo certo!
Ma c’è sempre qualche santo in paradiso. Zia Malvina era molto ma molto amica di Liberina, la figlia di Pataccone. Un giorno mi disse: – Va’ da Pataccone e lui te lo fa. Timidamente una mattina mi affacciai nella sua bottega che stava sulla via Nuova poco più avanti delle case che hanno ’a curteglia con l’arco.
Lui: – Ué Pascali’, aspette ’nu poche!
Mi è sempre piaciuto l’odore del legno quindi volentieri aspettavo. Pataccone aveva un tavolo di legno, con le morse sempre in legno, seghe di tutti i tipi e, appesa ad un chiodo, quella ad arco; poi martelli, pialle – chianozze – ed ogni altro attrezzo per lavorare il legno ed un trapano a corda che ad un certo punto cominciò a vibrare. Dopo un po’ nelle sue mani apparve l’oggetto dei miei desideri.
Bello ma anche un poco più grande rispetto alle dimensioni usuali. Pataccone, forse impietosito dal racconto della figlia, ne aveva voluto farne uno bello solido, al di fuori delle regole!
I compagni, nel vederlo, all’inizio tentennarono un po’ ma poi la voglia di sperimentare prevalse sulla paura. Anche lui subì numerose pizzate. Me lo ricordo con tanti buchi sulla cupola, ma non si spaccò! L’ho perso durante il trasloco!
Bei giochi! La strada insegnava tante cose, nella gioia e nella sofferenza! Era dura, come è dura la strada. Pertanto ancora oggi chi è circondato dal fango e dalle macerie – penso ai Paesi poveri o a quelli distrutti dalle guerre – non può non essere duro e arcigno (e tale rimarrà). Ma la strada insegnava anche a confrontarsi “dal vivo” (non in modo “virtuale”), forse ad essere più accorti, più indipendenti e capaci nell’affrontare gli eventuali ostacoli che sempre si sono opposti e si oppongono. La strada insegnava anche alla sopportazione e a cavarsela da sé perché era molto difficile essere tutelato dagli adulti se non in casi eccezionali. Almeno questa è stata l’esperienza di…
Pasquale