di Francesco De Luca
per la prima parte (leggi qui)
“E ‘u Re-re…?”
Riporto quanto narrato da Emanuele Vittorio, sì, proprio lui, il creatore del marchio enologico ‘Cantine Migliaccio’, a Ponza.
I primi anni della fanciullezza li ha trascorsi sull’isola. Padre napoletano e madre ponzese.
Non appena con la Repubblica il clima sociale in Italia si scrollò le lacerazioni ideologiche per impegnarsi nella ricostruzione, la famiglia lasciò l’isola. Ma in estate ritornava perché i nonni e l’atmosfera paesana riportavano la famiglia a trascorrere le più belle estati della vita a Ponza.
‘U Re-re.
Per spiegarlo bisogna ritornare a mettere in campo ‘u strummelo, la trottola di legno, strumento di gioco e di rivalsa psicologica. Ci si divertiva e si usciva vincitore o, nel peggiore dei casi, ci si divertiva insieme agli amici.
L’area in cui muoversi era racchiusa fra i due tunnel che racchiudono la spiaggia di sant’Antonio.
Emanuele sottolinea i comandi della madre anche se, attraverso le stradine interne, si poteva sconfinare sulla Dragonara e a Chiaia di Luna. Ma i confini non funzionavano soltanto come barriere bensì anche come protezione. In quel territorio si era protetti da tutti perché da tutti si era conosciuti e considerati.
“Per me – confessa – Sopra gli Scotti era un luogo dove non ci sarei mai andato. Qualche chilometro di distanza ma lontanissimo perché non vi erano conoscenti, anzi … anzi… era luogo ostile dove si poteva essere aggrediti dai coetanei scottesi”.
‘U re-re… impegnava anzitutto in un ‘tuocco’ ( conta ) per designare appunto il Re. Il quale segnava per terra un cerchio al cui interno tutti dovevano deporre il proprio strummelo.
Fatto questo lui, il Re, con un abile gesto faceva roteare il proprio strummelo su quelli deposti a terra. Se ne faceva uscire qualcuno dal cerchio, e tutti quelli che riusciva a sbalzare fuori, dovevano subire il castigo della ‘botta’. Ossia, posti in una buchetta, ad essi veniva data con forza una botta dallo strummelo del Re.
Il gioco si reggeva a – sulla fortuna nella ‘conta’ iniziale; b – sull’abilità di gettare il proprio strummelo sugli altri per estrometterli dal cerchio. In caso fallimentare il Re perdeva il dominio e il gioco ricominciava.
I giochi di quel tempo – dopoguerra – avevano caratteristiche del tutto sconosciute ai ragazzi di oggi. E fare paragoni è fuorviante. La ‘società infantile’ di quel tempo era organizzata in modo da rispondere alle sollecitazioni del momento epocale.
I giochi, per lo più, avevano respiro sociale, ossia si svolgevano insieme agli altri.
C’era una componente individualistica e una chiaramente sociale.
‘U strummelo poi era stato asservito anche al fattore ‘rivalsa’. Chi vinceva infatti distruggeva lo strumento di gioco dell’altro. Quasi che il divertimento dovesse passare attraverso l’umiliazione dell’ avversario. Retaggio, forse, del clima bellicoso degli anni passati, così come del trascorso regime monarchico. Resta il fatto che le amicizie per i ragazzi di quella generazione rimangono inscalfibili. Più cattivi nel gioco ma più solidali nella vita. Forse, il sentimento aveva più peso nella crescita delle persone. Forse.
Feroce massacratore di strummele era Tonino Vecchione.
Emanuele ha pensiero lucido. Tanto da imporgli paragoni fra ieri e oggi. Contrasta la mia ritrosia ai confronti. La sua Ponza si è dissolta completamente. Ne è convinto. La Ponza di domani segue inevitabilmente il tracollo.
Tento di prospettare scenari possibili ma non scalfisco le sue previsioni.
Ci lasciamo così, nella sera che si inoltra nelle tenebre della notte.
Sembra più attratto dal passato che dal futuro. Ma forse interpreto male i segnali.
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Nota del 9 nov. 2024 (cfr. Commento di Sandro Russo)
Il gioco con gli aquiloni è molto diffuso in India del sud (Kerale) e in Sri-Lanka (come gioco-gioco), per la presenza di lunghe spiagge battute dal vento.
Leggi qui:
https://www.ponzaracconta.it/2021/08/11/la-principessa-che-scende-al-sud/
Sandro Russo
9 Novembre 2024 at 17:25
Scrive Franco De Luca: ’U strummelo poi era stato asservito anche al fattore ‘rivalsa’. Chi vinceva infatti distruggeva lo strumento di gioco dell’altro. Quasi che il divertimento dovesse passare attraverso l’umiliazione dell’ avversario. Retaggio, forse, del clima bellicoso degli anni passati, così come del trascorso regime monarchico..
Ho letto – non sperimentato: per noi era un vero gioco a tre, tra il bambino, il vento e l’aquilone – di un gioco con caratteristiche simili, ne Il cacciatore di aquiloni (titolo orig. The Kite Runner), il primo romanzo dello scrittore afghano-americano Khaled Hosseini, pubblicato nel 2003.
Il romanzo è molto bello: etnico, crudo e feroce.
Il gioco non sta nel far volare l’aquilone, ma nel tagliare in volo, con il proprio aquilone, il filo dell’avversario che viene così umiliato e il suo aquilone confiscato.
Bello il romanzo, ma interessante l’antropologia del giochi infantili. Franco ci racconta di un tempo – non troppo lontano – in cui i nostri giochi non erano molto dissimili da quelli del selvaggio Afghanistan.
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Copertina del libro in calce all’articolo di base (a cura della redazione)