di Francesco De Luca
Nel dialetto ponzese, che si innesta nel tronco principale della parlata napoletana, un uomo buono, pacioso, bendisposto verso gli altri veniva chiamato ciacione.
Dico veniva, riferendomi al passato, non perché oggi non vi siano uomini con tale carattere ma perché, oggi, il dialetto non è molto praticato e, per questo, non illumina di distinzioni la realtà sociale paesana.
Il termine viene usato più nel genere femminile, e ciaciona compare anche in alcune canzoni napoletane. Dove si arricchisce di attributi. Una donna ciaciona è, oltre che di animo docile e di buoni sentimenti, anche piacente.
Al maschile, già nel passato era raro incontrarlo giacché la mascolinità si ammanta di caratteristiche forti, muscolari. L’uomo pacioso, di cuore, non violento, non combattivo, non trova chi lo esalti.
Eppure Antonio, fin da piccolo, era un bonaccione. Già con me, che sono il fratello più piccolo e minuto di fisico, era sempre accondiscendente. Diceva, nei contrasti coi genitori: …chillo… Franco… è peccerillo… e si prendeva le colpe non sue.
Sto parlando di mio fratello Antonio, soprannominato, da piccolo, Antonio ciacione.
Da grande il soprannome si è tanto diluito da scomparire. Ma, lo sappiamo bene noi paesani: il soprannome ti marchia per tutta la vita.
Antonio poi, aveva dalla sua una corporatura robusta e statura alta.
Ricordo che al tempo dei film su Ercole, Sansone, Maciste, rappresentati da attori con fisico statuario: Steve Reeves, Gordon Scott, Victor Mature, lui voleva avvicinarsi al culturismo. La moda catturò la mente di tanti coetanei: Ugo Anello, Remo Centineo, Michele Conte, Angelone. Anzi, alcuni di loro, emigrati in America, diedero sfogo al sogno di inturgidire i muscoli e, quando tornavano a Ponza per san Silverio, davano mostra del loro fisico scultoreo.
Antonio, bonaccione era e bonaccione è rimasto, perché ciacione non si è nelle parole ma nei fatti!