Personaggi ed Eventi

Caro Angelo, scrivo di te…

di Domerico Musco

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Caro Angelo,
già da qualche mese  ti stavi preparando per il tuo ultimo viaggio e, quando ci incontravamo, mi dicevi: Io sto più di là che di qua.
Ci scherzavo sopra: – Ma dai… i medici sono così…  È inutile che ti avvilisci, è solo un’impressione e in fin dei conti sono anni che resisti con questi dolori; fino all’anno scorso andavi al fieno…
Cercavo di consolarlo in tutte le maniere, ma sapevo bene che avevi ragione come al solito.
Vorrei dire tante cose di te caro cugino, la cosa più importante è che tu sei stato l’ultimo portabandiera e rappresentante della razza Mazzella, della nostra razza Mazzella, anche se di cognome porti Verginelli  il tuo luogo di nascita  non è Ponza perché zia Ida ti ha fatto nascere vicino Roma in un paese che è chiamato Zagarolo. Fondamentalmente sei stato sempre a Ponza e hai portato avanti la storia contadina di quest’isola.

Il fatto che fossi un po’ piccoletto… tra noi cugini, ne ridevamo sempre dicendo che era perché nonna Anna ’i zeppetell’  (piccola zeppa) fin da piccolo ti caricava di cofani d’uva dalle pendici del Monte Guardia fino alla cantina che stava in via Chiaia  di Luna, trenta-quaranta viaggi al giorno con quel peso sulle spalle… Sarà stato quello che non ti ha fatto crescere.

Poi qualunque lavoro c’era da fare a Chiaia di Luna tu c’eri: per esempio pulire ’u piscinale, ovvero il pozzo dell’acqua dove si attingeva l’acqua che serviva sia per la casa che per la campagna; qualunque lavoro di forza toccava a te, noi cuginetti più giovani facevamo “il tifo”… e tu lavoravi.

Andavi molto d’accordo con mia madre che, non a caso, era la tua zia preferita: avevate lo stesso carattere e lei si fidava molto di te e del tuo parere. Quando doveva comprare altre proprietà – perché è stata sempre una donna legata alla crescita economica – era con te che si consigliava e so che vi siete aiutati a vicenda anche quando avevate avuto entrambi bisogno di un prestito.
Non a caso tu e tua sorella siete molto simili come viso alla zia Luisa.

Senza andare troppo sul sentimentale, vorrei raccontare qualcuna delle tante storie che mi hai raccontato e renderle pubbliche su questo giornale on line della memoria di Ponza: perché sono state parte del tuo peculiare modo di essere.

Come la brutta storia dei rospi che avevi dovuto ingoiare, lavorando da sottoposto su una grande nave… Di quella volta che stavi su una petroliera e da Miami dovevi andare a Baltimora, circa quarant’anni fa. Venivi convocato dal comandante nella sua cabina, in qualità di direttore di macchine, e lui ti dice: “Guarda che ci ha chiamato l’armatore; dobbiamo pulire i serbatoi perché dobbiamo fare un carico a Baltimora”.  Trasportavate petrolio. Ovviamente i grandi serbatoi (i tank) erano sporchi, pieni di residui di catrame che bisognava eliminare per fare un altro carico e tu eri non poco, ma molto contrariato. Dici: “Guarda che queste sono cose brutte e pure pericolose… Non  dobbiamo farle!”.
Insiste e si impone il comandante: “È la serata ideale perché c’è la luna quinta” (quella tutta buia che viene dopo  la luna piena)
“E vabbè” – alla fine fosti costretto a obbedire.
E il Comandante: – A mezzanotte, mi raccomando, manco una sigaretta accesa sulla prua, e liberiamo i serbatoi.
C’era una notte così nera che potevi prendere una porta in faccia. Buio pesto che non  si tagliava neanche con un coltello… non si vedeva nulla… Così attaccaste le pompe e pompaste in acqua tutta quella sporcizia.
In tarda mattinata arrivate a Baltimora e la Guardia costiera americana vi aspettava al Porto. Chiedono i documenti della Nave o meglio della petroliera, il Comandante gli dà i documenti e il milite della Guardia costiera, senza battere ciglio, gli mostra una foto con la loro petroliera – sembrava mezzogiorno -: foto a colori scattate di notte che ma sembrava di giorno, tutta la nave illuminata…  e  si vedeva benissimo che noi buttavate questa quantità di catrame a mare. Già allora i satelliti americani schiarivano le foto in maniera impressionante. Vi fecero una multa, mi pare di 10.000 $. Il comandante andò in cabina, prese 10.000 $ e pagò la multa senza fiatare.
– È stato allora che ho capito – dicevi – che ho sbagliato tutto nella vita, perché quando stavo a Gaeta al Nautico, avevo scelto di fare il direttore di macchine. Se avessi  preso l’altro ramo, avrei avuto accesso, come Comandante alla cassaforte, perché  l’armatore gli dà un fondo cassa per risolvere i problemi, in tutte le parti del mondo; non deve dar conto a nessuno quindi se il Comandante dice: Sì è vero ho pagato 10.000 $  però ho dovuto dare altri soldi per evitare che la multa fosse più grossa, l’armatore non diceva niente, quindi lui poteva fare quello che voleva… mentre io sono stato sempre a combattere con viti e grasso.
Ecco, questa è una storia di Angelo.

Un’altra storia, di quando faceva il direttore di macchine sul Maria Maddalena, nave storica che ha sempre onorato e aiutato i ponzesi in ogni situazione. Erano più giorni che non partiva nessuna nave dal continente verso Ponza e il comandante a Terracina dice al direttore di macchine che era Angelo: Dobbiamo partire!
E tu  di rimando: Ma tu sei matto! Co’ ’sta nave e co’ ’sto mare, dove andiamo? Non parte la Caremar che è una nave grossa … partiamo noi da qua!?
E il Comandante: No, no… Dobbiamo partire e dobbiamo partire, perché il Maria Maddalena ha sempre onorato le corse e dobbiamo portare tutti i camion a Ponza se no l’isola rimane generi di prima necessità. Dobbiamo partire e basta!
Comunque alla fine è il Comandante che decide. Racconta Angelo: – Molliamo gli ormeggi dopo aver caricato camion, camioncini, macchine… tutte le vettovaglie che servivano all’isola che era già da tre giorni senza collegamenti.
Usciamo fuori il porto di  Terracina io vado in cabina insieme al Comandante e man mano che uscivamo e risalivamo le onde, quelle diventavano sempre più alte; la nave si arrampicava verso la cresta dell’onda e poi riscendeva dolcemente, le arrampicate diventavano sempre più alte, ad un certo punto un’onda anomala, più alta di tutte le altre, dopo l’arrampicata, superata la cresta, provocava una discesa simile ad una pista nera di sci…
Allora il Comandante fa: E mò ch’amma fai?
E tu rispondesti: Mò agguantati forte, e speriamo che San Silverio ci aiuta che qua ce ne iammo a funn’ comme ’nu missile.
Il Maria Maddalena partiva in picchiata scivolando sull’onda e, grazie a quel muso piatto tipo cane bulldog, col portellone davamo un cazzottone all’onda successiva e non ci siamo sommersi: con una prua diversa saremmo affondati. Però la botta forte che avevamo dato aveva fatto un casino in stiva e tutto il carico nel garage si era ribaltato.
– A questo punto dico al comandate: Addrizza per Gaeta, piano piano, che ’u ’uaio già l’amme fatto.

Un’altra storia.
Siamo tutti fuori al bar Welcome’s e tu già avevi quel dolore al bacino che già ti chiamavano Pinguino gli amici,  perché camminavi come un pinguino. Nel fare la salita ti sorpassa Luisa Spignesi, cent’anni suonati, e tu rivolto a noi: …E pure questa mi è passata davanti!
Ma negli ultimi anni sei riuscito persino a salire fino al Fieno, lasciando tutti meravigliati per la tua caparbietà: arrivavi lì insieme ai ritardatari, ma arrivavi! …per banchettare, insieme agli ultimi contadini del Fieno, con Antonio De Luca è rimasto a mantenere viva la tradizione.

Con te, cugino caro,  si chiude la dinastia della nostra grande famiglia contadina, i Mazzella o meglio un suo ramo: i Mazzella di Santa Maria.
Quanti ne hai trovati lassù? E… stanno tutti bene?
Un abbraccio alla tua Gioconda.
Ciao,
il tuo affezionanto cugino Domenico

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