Racconti

’A varcella, racconto breve

di Francesco De Luca

.

Dove ora c’è la strada bianca che porta fin dove attracca la nave-cisterna dell’acqua potabile erano adagiati nella battigia scogli neri che si congiungevano alla scogliera. Essa, partiva dalla punta gialla (un accenno è ancora visibile) e si protendeva per circa cento metri. A protezione del porto borbonico. E questo aveva prodotto la piccola insenatura della Caletta: un incavo semicircolare che dal Lanternino si incurvava in dentro fino alla stazione della Capitaneria del Porto, configurando una spiaggetta con sabbia bianca e fine, e uno specchio d’acqua bassa. Garanzia di sicurezza per i bagnanti, specie se bambini e ragazzi, i quali potevano fare il bagno lontani dall’occhio dei genitori. Naturalmente protetti dalla scogliera. Fino agli anni ’60 frequentatissima da maschietti e femminucce. Fanciulli, ragazzi e adolescenti.

Una fortuna soprattutto per quelli del Porto. Per gli altri erano disponibili anche le spiagge di Sant’ Antonio, di Giancos, di Santa Maria. Per quelli del Porto una fortuna da sfruttare per tutta l’estate e per l’intera giornata.

Il rito del bagno si consumava nella mattinata insieme ai  compagni. Nei giorni propizi anche con l’aiuto di un pallone. E nel pomeriggio?
Nel pomeriggio, quelli che riuscivano a sottrarsi all’obbligo della controra, ossia del riposo forzato a casa, si incontravano lì, alla Caletta, e, all’ombra del muraglione della banchina, sdraiati sulla rena, si raccontavano storie: incontri con ragazze, giudizi sull’altro sesso, fatti e misfatti per lo più indicibili per la morale di quegli anni. L’ho detto: anni ’50 e ’60.

Frequentava il posto con assiduità Antonio C. che trafficava fra gli scogli affioranti e la spiaggia. Antonio C. era figlio dell’Appuntato dei Carabinieri. Venuto da lattante, svolgeva le elementari a Ponza. Abbastanza inserito nella comunità infantile pur se non del tutto perché, ad esempio, non parlava in dialetto; aveva orari più ferrei dei suoi amici e poi la controra non era rispettata dai suoi e perciò giocava da solo fra gli scogli della Caletta con ’a varcella. Cosa era? Una barchetta. Beh… qualcosa che le somigliava. Ve la descrivo.

Era un pezzo di sughero, grandicello… quaranta centimetri va… e piatto. Lo aveva raccattato presso la falegnameria di Ciro Iacono, mastro d’ascia che lavorava al Mamozio. A poca distanza dalla stazione Carabinieri. 

Le aveva creato la prua, appuntendo una estremità, e, sopra, fatto un buchetto per far scorrere la catena dell’ancora. Ah… la catena l’aveva recuperata nell’officina di Maurino, lì vicino… un metro di catenella di ferro. L’ancora?  Era un pezzo di ferro da buttare, somigliante quanto basta. A proposito… nella spazzatura di quell’officina c’era tanta roba buona per alimentare i sogni dei ragazzi. Accenni di pugnali, abbozzi di pistole, trucioli di ferro da utilizzare nelle guerre coi soldatini di latta. Bah… meglio tralasciare e andare avanti.

A poppa Antonio C. aveva collocato, come da obbligo, il timone… un pezzo di piombo sagomato. Senza, avrebbe preso il comando il vento che spingeva la vela.
Spiego meglio: al centro aveva piantato l’albero maestro, vi aveva legato un pezzo di legno come boma. Fra il boma e l’albero aveva posto un pezzo di stoffa triangolare, legato come una randa.
Vabbè… è inutile sottolineare che a far muovere  ‘a varcella  fosse la spinta a mano di Antonio C.… ma la finzione cercava di imitare la realtà.

E lo faceva con piglio serio perché chella varcella caricava sabbia. Funzionava come linea marittima di commercio fra la spiaggia e i vari scogli affioranti. Dove si affiancava  e depositava il suo carico di sabbia.
Un andirivieni continuo perché la sabbia  scaricata, al primo sbuffo d’onda, si disperdeva in mare. E dunque un nuovo carico e un nuovo viaggio.

Non vi dico quello che succedeva a corollario. Anzi no… ve lo voglio dire.

Talvolta accadeva che nu rangetiello si faceva beccare all’asciutto sullo scoglio. Antonio s’affrettava per catturarlo. Il granchietto è piccolo e perciò fugge veloce. Antonio, pure lui è veloce, e col granchio si ingenera una sfida. Antonio corre, annaspa, il granchietto sceglie la via del mare, e lì è imprendibile.

Intanto  ‘a varcella, bordeggiando fra gli scogli, col leggero soffio d’aria, si allontana, tralascia il percorso consueto e va via. Dove?

Antonio C.… è tutto bagnato per catturare il granchietto. Non c’è riuscito e gira lo sguardo in cerca  d’a varcella. Che s’avvia placida verso l’uscita della  Caletta. Oh mamma!  Antonio C. corre, o meglio, si tuffa in quella poca acqua per essere più veloce. Poi si ferma. Perché? Perché non ci tocca più e lui non galleggia. Gira lo sguardo in cerca d’ aiuto, ma sulla spiaggia chi c’è non s’accorge di nulla.

‘A varcella, lenta e inesorabile s’allontana. Altro che barca da carico… vuole provare il brivido del mare aperto. E se ne va, altera e dimessa, senza più padrone, in balìa del vento.
Col beneplacito del granchietto, tornato all’asciutto, sullo scoglio.

Vi state facendo la domanda… lo so. Rispondo perentorio: la storia è vera… o verosimile…
Di assolutamente vero c’è il piacere di averla raccontata.

NdR: la foto di copertina è di Rossano Di Loreto

1 Comment

1 Comments

  1. silverio lamonica1

    15 Ottobre 2024 at 18:27

    Mio fratello Francesco ed io costruivamo le barchette, usando palette di fico d’india. Le tagliavamo in senso longitudinale; svuotavamo parzialmente della polpa ciascuna delle due parti e per tenerle aperte, fissavamo appena sotto i bordi, all’interno, dei frammenti di canne. Le barchette erano pronte per navigare nel torrente davanti casa in via Padula (anni 1948 – 51).
    Mi sa che noi bambini di una volta sapevamo stimolare la creatività, più dei bambini di oggi, spesso spettatori passivi davanti a queste “diavolerie moderne”: tablet, play station e così via.

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top