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Un prezioso reportage da Venezia dalla “nostra inviata” Lorenza.
Pedro Almodovar, a volte le cose vanno molto bene…
A volte le cose vanno molto bene. E lo si avverte nell’aria, ancor prima che inizino ad andar bene. All’Isola delle Rose il caldo volge al fresco e l’aria si riempie di bollicine come lo champagne. Ci sono passi che volano sulle scale, sorrisi luminosi, gentilezza al posto della tensione che precede, in genere, ogni intervista.
Sul set c’è una bella poltroncina rossa, vasi del colore giallo e rosso e, oltre le finestre, alberi rigogliosi e la distesa del mare. Si ha la sensazione che la storia narrata ne La Stanza Accanto, una morte condivisa da una donna che le va incontro e dall’altra che l’accompagna, si stia svolgendo proprio qui accanto. Che questa sia una delle camere della Casa nel Bosco dove le due protagoniste: Martha ed Ingrid, interpretate da Tilda Swinton e Julianne Moore – qui l’intervista a Tilda Swinton – , trascorrono il loro tempo insieme, conferendo alla morte una veste luminosa. A tendere l’orecchio potremmo sentirne le voci.
Ma ecco, a strapparci ai nostri pensieri, nella stanza entra sorridendo Pedro Almodóvar. Indossa occhiali scuri per proteggersi dalla luce che gli ferisce lo sguardo.
Al Lido, poco fa, è terminata la proiezione per la stampa e si è in attesa del responso. Un lavoro di mesi, persino di anni, si concretizza in quasi due ore di film, su cui in pochi istanti potrà abbattersi una scure.
– È nervoso?
– Non più del solito. Sono in attesa…- sorride con ironia. Ma l’emozione è palpabile.
Già nel varcare la soglia, qualcuno, un messaggero di ritorno da regni lontani, si è avvicinato in fretta portandogli l’annuncio di reazioni molto positive. Il pubblico, la donzella a cui il principe ha inviato i suoi doni, sembra che acconsentirà alle nozze.
Ma oltre al responso portato dai messaggeri ci sono le reazioni sui volti dei giornalisti che sbarcano alla chetichella all’Isola delle Rose, dopo la proiezione. Storditi, emozionati, uno alla volta si siedono davanti a lui.
Dalla sua poltrona rossa, Almodóvar, dietro i suoi occhiali, coglie segnali impercettibili.
– Ho provato un’emozione profonda – dice un giornalista visibilmente scosso – Eppure è un film privo di sentimentalismi, senza eccessi, molto contenuto.
– Sì, sì – Risponde con slancio, come ogni volta che qualcuno coglie esattamente la sua intenzione. – È un film austero, molto contenuto, da qualche tempo ormai evito ogni retorica e vado dritto a ciò che voglio dire. Il tema è già molto forte di per sé: stare accanto, accompagnare in silenzio che è la cosa migliore che si può fare per l’altro. Un grande atto d’amore, ma senza gli inconvenienti dell’amore. Come in Persona di Bergman, a parti rovesciate: è Martha, la donna malata, che parla e Ingrid che ascolta. Ci sarà una trasfusione dell’una nell’altra: Ingrid, vivendo accanto a Martha che, con la sua esuberanza, fa del morire un atto vitale, assorbirà tutto il suo coraggio e ne uscirà trasformata.
Almodóvar, come sempre, spiega il suo film, ne riassume la storia. Come se il giornalista non fosse appena uscito dalla proiezione, non certo perché dubiti della sua perspicacia, ma per un suo bisogno di chiarezza, di definire il quadro, di ribadire a se stesso le sue intenzioni. Anche a questo servono le interviste: a mettere tutto in chiaro. Poi ognuno coglierà ciò che può.
Per questo, oltre alla storia del film, è importante parlare delle circostanze storiche: della politica, delle leggi, del tema fondamentale della morte con dignità.
– Martha vuole poter scegliere liberamente come morire, ma a New York, dove lei vive, ciò non è permesso. In Spagna invece esiste la legge, siamo il quarto Paese in Europa ad averla.
– Le donne sono sempre una presenza molto forte nei suoi film. Qui sono fortissime.
– Io sono stato educato dalle donne. Nei patios della Mancha dove giocavo da bambino, le donne sedevano a cucire, rammendare, cucinare e parlavano di tutto, raccontavano cose tremende, di incesti e violenze. Ascoltando i loro discorsi ho scoperto la vita e la finzione. Quelle donne hanno lasciato in me un’impronta profondissima. Sono loro che, negli anni ’50, hanno salvato la Spagna dalla fame. Erano donne molto libere, in una società terribilmente machista come quella spagnola; erano donne senza pregiudizi perché vivevano a contatto con la vita e con noi bambini.
Le donne nei cortili de La Mancha: è un tema che ricorre nei suoi film e nelle sue parole. La tradizione orale da cui è nata tanta arte, ma oggi c’è qualcosa in più, come se con questo film si fosse chiuso un cerchio, come se questo film, più degli altri, fosse un omaggio a loro, a quelle donne lontane, di cui Martha è una versione moderna, che avevano il coraggio di guardare in faccia le cose.
Un altro giornalista ammira il rosso e il giallo del set che rimanda alla Casa del Bosco. Ai colori saturi dei suoi film.
– Prediligo i colori saturi al pari dei comportamenti estremi: negli uomini e nelle donne. Come regista cerco sempre di dare ai miei personaggi un’enorme autorità morale. Il messaggio più profondo è quella della libertà della persona, non importa quale sia il suo status sociale, quello che mi interessa è la libertà interiore…Non è esattamente l’atmosfera che si respira ora in Spagna…
Non può mancare l’ineluttabile domanda. – Realizzare questo film l’ha aiutata a liberarsi della paura della morte? Ad accettarla?
È cosa nota. Basta averci passato un poco di tempo per conoscere la sua ossessione per la morte. La sua incapacità di accettare che qualcosa che oggi è vivo domani non lo sia più. Che la vita se ne vada.
Sorride con una punta di imbarazzo come un ragazzo che si giustifichi con il suo professore per non aver terminato i compiti:
– Nella Casa del Bosco, con Tilda e Julianne, abbiamo convissuto con la morte per molto tempo… Mi sono abituato alla morte, o almeno credevo di esserci riuscito, ma la scorsa settimana… – esita e sul viso affiora un dolore – Ho perso un animale che mi accompagnava da 14 anni. Abbiamo dovuto abbatterlo. E ho capito che no, non riesco ancora ad accettarla. Poi con una punta di tenera malizia: – Diciamo, però che mi sono avviato sulla strada giusta per farlo…
Si tratta solo di poche interviste. E le interviste, quando sono poche, sono un’occasione, come un’altra, di confronto: di riemergere per un po’ dall’isolamento della creazione artistica. Può capitare anche che si finiscano per dire cose personali e profonde che non sempre i giornalisti hanno il tempo di registrare.
– Fare questo film è stato un sollievo. Io non faccio film terapeutici, né film per trovare una soluzione. C’è sempre qualcosa di misterioso per me nella nascita di un film.
Ed è un sollievo che traspare da tutta la sua persona. Una gioia sotterranea, indipendente dai messaggeri e dalle reazioni della stampa, è sbocciata dentro di lui. Forse in ricordo di Almudena Grandes che una volta gli ha detto: “La gioia è la migliore forma di resistenza”.
C’è tutto lui in questo film: le sue paure e le possibili risposte alle paure e le cose come potrebbero essere e forse saranno. Ha trovato i luoghi e le persone giuste per farlo. E il correlativo oggettivo di Montale: al posto della foglia accartocciata, la neve rosa che cade oltre i vetri dell’ospedale.
– Sono ateo e non ho il sostegno della fede. Ma ho trovato una diversa forma di reincarnazione: la vita di Martha si trasfonde nell’amica Ingrid e nella figlia Michelle…
Insieme ad un’altra trasfusione: il film di John Houston Gente di Dublino che – contiene uno dei finali più belli della letteratura di tutti i tempi – rivive nel finale de La Stanza Accanto. L’arte e la poesia continuano a vivere e ci toccano il cuore.
Davanti a lui si alternano giornalisti spagnoli e italiani. Gli spagnoli un poco straniati, ma anche curiosi di vederlo in versione americana. Perché, sebbene buona parte del film sia girato in Spagna, è comunque un film in lingua inglese. Cosa cercava? Cosa gli ha dato l’America? Forse la distanza? Forse ad un certo punto della vita serve una distanza per guardare in faccia le cose.
E comunque se ne vanno sollevati. The English Almodóvar somiglia moltissimo al loro Almodóvar.
Con gli italiani è una dolcezza, un ritrovarsi nella cultura in cui è cresciuto: la musica, il cinema italiano degli anni ’60 che, all’epoca, era il più distribuito in Spagna, le sue attrici, Mina, il neorealismo. Con gli italiani può parlare di quello che succede in Spagna in modo che tutto il mondo sappia. Parla di una destra mostruosa che avevano creduto scomparsa per sempre, la stessa che, alla fine della dittatura, se ne stava nascosta in casa ma che ora non ha più paura di mostrarsi. Per questo in risposta al messaggio dell’odio, alle storie di migranti minori non accompagnati dichiarati invasori e bloccati sulle coste spagnole dall’esercito, La Stanza Accanto è un film sulla solidarietà e sull’empatia, sul dedicare il proprio tempo all’altro.
– In America ti fanno ingaggiare un sacco di gente, non sempre necessaria… – sorride ironico – Ma il vantaggio è che in un’altra lingua si è più sobri, più contenuti. Per il resto non era molto diverso. Io posso parlare solo delle cose che conosco… Non conosco la società americana e quindi non potrei girare un film americano, ma conosco i tre personaggi: le due amiche e l’uomo che è stato l’amante di entrambe – interpretato da John Turturro. – Appartengono al mondo degli anni ’80 e hanno vissuto una libertà che non è certo la stessa di adesso.
La libertà che lui ha vissuto, una libertà che si riassapora nei suoi film, che ha lasciato le tracce preziose che le sue storie proteggono dall’oblio e dall’incuria del tempo. Anche adesso che gli anni pesano addosso.
– Vede… – confessa alla giovane giornalista spagnola, seduta davanti a lui, e che, emozionata e luminosa, racchiude in sé la giovinezza e tutto ciò che la giovinezza ancora non sa, – da giovane quando pensavo alla vecchiaia, mi dicevo che con il tempo avrei avuto altre necessità. Sarebbero cambiati i desideri… – Scuote la testa stupito. Con una punta di rimpianto, – invece nella testa i desideri sono gli stessi di quando avevi 30 anni, solo che non li assecondi più perché saresti ridicolo.
Intanto i messaggeri continuano a portare buone notizie, le hanno sempre portate a Cannes e a Venezia, ma la vittoria non è mai arrivata. Le sue attrici sì hanno vinto, e chissà che non siano ancora loro a vincere questa volta.
Ma il desiderio di crederci c’è. Il desiderio che l’età, che contiene i desideri, riservi però altre dolci sorprese.
– Lei ha già vinto il Leone alla Carriera, e se ne vincesse un altro?
– Perché no! Io credo nella coppia – Ride, poi si fa serio – Un premio fa sì che la gente vada a vedere il tuo film. Venire a Venezia è stato importante. Ha voluto dire guadagnare un anno. Io monto sempre mentre giro. Quindi due giorni dopo la fine delle riprese il film era fatto. Giusto in tempo per Venezia.
– La storia è tratta da un libro: Attraverso la vita di Sigrid Nunez.
– Sì, o meglio da una parte. Attraverso la vita è un libro molto erratico, va di qua e va di là, in senso positivo. Ma quando ho trovato la storia dell’amica malata, ho capito che era quello che cercavo.
Ho lavorato alla sceneggiatura mentre aspettavo di lavorare con Cate Blanchett che era impegnata con Cuarón (nella meravigliosa serie presentata qui a Venezia Disclaimer – NdA) – Mi è sembrato un progetto perfetto per Tilda, per tornare a lavorare con lei. Un tempo, per Tilda, ho scritto una sceneggiatura che è rimasta incompiuta perché non trovavo il finale. Una storia di sirene infestanti che arrivano a Madrid, Tilda sarebbe una sirena perfetta.
Tilda Swinton interpreta il ruolo della madre Martha e di sua figlia Michelle. È un altro dei temi del film: le nostre scelte hanno un impatto sugli altri, ne determinano il destino. Le decisioni di Martha si ripercuotono sulla figlia: l’ha ritenuta troppo piccola per spiegarle le strane circostanze in cui è stata concepita e questo ha portato a incomprensioni e a un’incolmabile distanza tra una madre e una figlia fisicamente identiche. Eppure anche questa lontananza troverà la sua risoluzione.
Le poche interviste sono finite. Ci si prepara per la conferenza stampa, la proiezione ufficiale e tutto il resto che verrà ed è ancora ignoto. Ma ovunque ci sono bollicine nell’aria, una trepidazione del cuore. Anche se non c’è ancora l’accettazione piena della morte, ed è impossibile capacitarsi che tutto ciò che oggi palpita e vive, domani si fermerà, una nuova speranza si è depositata nel cuore. Un diverso coraggio, un ottimismo senza nome. Tutto questo: le sue attrici radiose, la gente che fa la ressa per gli autografi, Lelouch in cui si imbatte davanti all’ascensore, gli applausi e gli abbracci che compensano la solitudine di tanti giorni, tutto questo non si fermerà, tutto questo misteriosamente resterà, perché le cose non se ne vanno del tutto e qualcosa di noi sempre resta.
Un giorno saremo neve rosa che cade sui vivi e nutre e rinfranca i loro giorni, ma stasera siamo ancora qui. Almodóvar scende dall’auto e nel suo completo rosa avanza sul tappeto rosso e commosso si offre all’abbraccio del mondo.