Ambiente e Natura

L’isola di Vincenzo

di Vincenzo Ambrosino

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A scuola impariamo la definizione di isola: “un pezzo di terra circondato dal mare”. Il pezzo di terra può essere più o meno grande: in alcuni casi è molto esiguo e si parla di “scoglio”. Ecco che molti ponzesi parlano di “amato scoglio”.  Ma anche gli “Scogli” sono tra loro molto diversi. Uno scoglio è Santo Stefano, oppure Ventotene, o Ponza, o Zannone o Palmarola, molto diversi fra loro ma tutti inducono, a chi li ha vissuti profondamente, ricordi unici per cui indimenticabili.
Ma per viverle bene, per comprenderle appieno, bisogna essere noi stessi isole.
L’isola scoglio, è fragile, ogni giorno perde pezzi. Il mare come uno scultore non è mai contento della sua opera e instancabile morde quotidianamente la roccia producendo falesie, faraglioni, archi naturali, grotte marine.
– Un anno fa lì c’era un arco, ora non c’è più.
E l’isola diventa sempre più piccola, più indifesa. Le isole sono destinate a scomparire ingoiate dal mare.
Niente è eterno, ma le isole perdono pezzi sotto ai nostri occhi, ogni giorno di più.

Avere in testa e nel cuore il giusto concetto di isola, non dipende da un certificato anagrafico, ma da uno stato esistenziale.
Essere anche noi isole significa sentirsi fragili. Fragili come può essere un bambino oppure un uomo innamorato.
Noi abbiamo conosciuto l’isola quando eravamo bambini e abbiamo vissuto con lo Scoglio in simbiosi e abbiamo appreso – nelle sue stradine, sulle sue spiagge, tra le case bianche di calce quella meraviglia, quello stupore che solo l’isola può imprimere in un animo predisposto come quello di un bambino o dell’innamorato.
Non solo la gioia, non solo la felicità ma anche e soprattutto la paura di restare soli.

L’isola è sola in mezzo al mare e da sola tenta di resistere per mantenersi in vita.
Ecco con questo pensiero impiantato nell’anima di un bambino o di un’innamorata/o, un tramonto a Chiaia di Luna, un giorno può diventare struggente un altro giorno può diventare uno strazio.
Dall’isola si deve pur partire e troppo lentamente l’isola scompare oltre l’orizzonte lasciando nel cuore una scia di ricordi.
E ancora vecchi ricordiamo quel bambino o quell’amore su quell’isola per curare le ferite inferte dai marosi della vita.

6 Comments

6 Comments

  1. Antonia De Michele

    20 Settembre 2024 at 06:05

    Caro Vincenzo,
    ti ringrazio per questo bel contributo: esprime in maniera densa quanto stretto sia il legame col proprio territorio, e quanto l’isolanità si traduca in uno stato esistenziale che deriva da un’esperienza – personalissima, intrisa di ricordi ed emozioni – che a volte è difficile mettere in forma.
    Da qualche tempo sto ragionando sul concetto di isola, su cui nel corso del tempo si sono proiettati tantissimi immaginari e rappresentazioni, a partire da luogo selvaggio e impervio, fino a paradiso terreste in cui rifugiarsi. E oggi, con l’esplosione di un turismo sempre più pervasivo, l’attrazione esercitata dalle isole sugli immaginari acquista un’ulteriore accelerazione. Una cosa mi pare di vedere come base comune a queste rappresentazioni: c’è sempre uno sguardo esterno che trasforma le isole in oggetti di significazione, di conquista, di svago, di studio o di pianificazione.
    Ecco perché a me interessa invece comprendere e mettere al centro il sentimento che nasce da chi vive l’isola dall’interno, quel qualcosa che “si ha in testa e nel cuore”, e che può essere un punto di partenza per riappropriarsi della stessa narrazione. Mi rendo conto della complessità e della delicatezza dell’operazione: anche io in fin dei conti sono un’esterna, ma come dici tu l’isolanità “non dipende da un certificato anagrafico”; ed inoltre credo si possa vigilare e riflettere criticamente su questo processo di oggettivazione.
    Leggendo il tuo articolo mi viene da chiedere: e se le isole diventassero invece sinonimo di resistenza (o quantomeno adattamento), di possibilità di scambi e collegamenti, di proiezione al futuro? Ovvero, in che misura quelle idee di vulnerabilità, unicità e isolamento, proiettate dall’esterno, hanno influenzato la stessa visione dall’interno? Ed è possibile ribaltarle?

  2. Guido Del Gizzo

    20 Settembre 2024 at 18:28

    “Chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente
    ma lo zingaro è un trucco. E un futuro invadente,
    fossi stato un po’ più giovane,
    l’avrei distrutto con la fantasia,
    l’avrei stracciato con la fantasia”

    (Rimmel, De Gregori,1975)

    Quando leggo articoli come quello di Vincenzo Ambrosino, mi dico che gli intellettuali non servono a niente.

    Si possono fare infiniti viaggi all’interno di un fiore di ginestra e trascorrere la vita a rimirare il proprio ombelico… ma fuori c’è illegalità diffusa e disprezzo dei diritti elementari dei cittadini, proprio ad opera di chi dovrebbe invece garantire legalità e diritti….

    Sono davvero curioso: come fa a fare finta di non vedere?
    E, soprattutto, cosa c’è di divertente nel vivere così?

  3. arturogallia

    21 Settembre 2024 at 01:01

    Eppure la poesia, i sentimenti, le paure e le gioie sono in grado di smuovere il mondo e, talvolta, sistemare la monnezza che sta intorno. A volte sognare è il principio di una rivoluzione, che spazza via chi critica dall’alto del proprio pulpito.

  4. Guido Del Gizzo

    21 Settembre 2024 at 10:43

    Caro prof. Gallia,
    “Non mi sono spiegato bene”, io non sottovaluto minimamente poeti e sognatori, ci mancherebbe: parlavo degli intellettuali, cercando di non scadere nella terminologia mussoliniana (che li definiva, con disprezzo “intellettualoidi”).

    Non è il mio caso e, soprattutto, non stavo commentando un brano di Kazantzakis: stavo commentando lo scritto di un signore che, nel 2019, per Ponzaracconta, somministrò all’attuale ass. Sandolo, all’epoca all’opposizione, un’intervista, a dir poco, accondiscendente (leggi qui: https://www.ponzaracconta.it/2019/03/20/intervista-a-maria-sandolo-consigliere-di-opposizione/)
    Quell’intervista, oggi, è la lista precisa dei fallimenti dell’amministrazione di cui fa parte, al netto degli illeciti su cui stanno intervenendo gli inquirenti: se la legga, soprattutto la prima parte riguardante “i progetti di crescita e sviluppo”.

    Adesso Vincenzo Ambrosino si perde nelle fragilità di un bambino o di un uomo innamorato e merita tutto il nostro rispetto.
    Il guaio è che, probabilmente – ma è una mia illazione – ritiene che non vi siano alternative alla compagine politica oggi al governo dell’isola: questa, a mio parere, è una posizione assai meno rispettabile.

  5. arturogallia

    21 Settembre 2024 at 13:51

    Grazie per il chiarimento, ma allora proporrei di mantenere separati il dialogo poetico dal dibattito politico, che, personalmente, trovo molto poco poetico e soprattutto su cui non posso metter bocca, perché furastiero.
    Ma sono pronto ad assistere alla campagna elettorale pop corn alla mano, come avevo già scritto altrove, sicuro di ascoltare alti voli idealisti, pronti a infrangersi sugli scogli allorquando la macchina politica prenda avvio.
    Andiamo ad accogliere i giovani che nel fine settimana ritornano dalla terraferma e ascoltiamo le loro poesie al sole.

  6. vincenzo ambrosino

    26 Settembre 2024 at 18:11

    Spero che non si voglia confondere l’intervistatore con l’intervistato. Il Sottoscritto ha fatto diverse interviste e su P. R. si possono leggere tutte. Il mio scopo era quello di fare dibattito e poi oggi quelle interviste hanno il merito di far valutare, dell’azione amministrativa dell’assessore o del Sindaco, la distanza che è rimasta tra il dire e il fare.
    Poi Vigorelli è stato battuto da Ferraiuolo che ha festeggiato la vittoria e Ferraiuolo è stato battuto da Ambrosino, che ha festeggiato la vittoria. In democrazia a giudicare l’azione di un Sindaco è il voto popolare o no? Ce ne dobbiamo fare una ragione anche noi “intellettuali” Alle prossime amministrative si formeranno nuove liste che presenteranno programmi di governo e si contenderanno a suon di promesse il Comune ma io dico che sarà sempre più difficile trovare un’alternativa di governo capace di invertire la rotta all’isola. Anzi sarà molto difficile trovare uomini nuovi disposti, in queste condizioni di conflittualità e divisione, a prestare il proprio tempo.

    A questo proposito mi è venuta in mente una “parabolella”:

    “Riunitisi in assemblea gli alberi prima chiesero all’ulivo se volesse regnare su di loro, ma questi non volle rinunciare al suo olio. Allora si rivolsero al fico ma anche questi non volle rinunciare alla sua dolcezza. Poi chiesero alla vite ma pure lei non volle rinunciare alla gioia che veniva agli uomini dal suo vino. Così, alla fine, la proposta fu girata al rovo il quale disse agli alberi: «Se in verità ungete me re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano»

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