di Leone Melillo (*); segnalato da Silverio Lamonica
.
L’autonomia universitaria e la posizione di un paralitico con intelligenza viva
di Leone Melillo
Vittorio Emanuele Orlando, quando parlava di istruzione pubblica, si sofferma sullo “studente” e sugli “studi universitari” e, quindi, sull’“istituzione che andava riformata”, “innanzitutto con l’eliminazione dei difetti propri dell’ordinamento universitario degli studi”.
Un ordinamento che appariva “frantumato in una molteplicità di insegnamenti sparsi, attivati non ai fini della funzionalità scientifica, ma da motivi spesso ad essa estranei”.
Assume rilevo, in questa prospettiva, “la vecchia questione che si ripresenta, l’eterna questione che ha agitato e agita le Università; la questione dell’accentramento governativo statale o della libertà e dell’autonomia, la questione del carattere professionale delle Università o del puro carattere di rappresentanza dell’altra cultura”.
Orlando affrontava, infatti, la dibattuta questione che cerca di comprendere se l’Università debba essere un “ufficio di Stato” o un “ente autonomo”, fornendo una “risposta, favorevole alla seconda ipotesi”, con la tesi della “politica universitaria ispirata al principio della maggiore libertà e dell’autonomia ai corpi accademici” e la “sua predilezione per le piccole università e al decentramento di esse nel territorio”.
Orlando esaminava, quindi, l’“insegnamento”, che “aveva, innanzi tutto, bisogno di bravi professori”, per cui preferiva il “sistema americano mediante il quale il professore veniva assunto per contratto diretto, a tempo determinato, rinnovabile dall’università”.
Un “sistema” che “non vincolava l’università al vincitore per tutto il percorso di una carriera stabilita per legge, che non avrebbe potuto interrompersi, se non in casi di eccezionale gravità”.
Orlando evidenziava, ancora, lo “stato di disagio” delle Università e le “condizioni generali” degli studi universitari, per accedere alla “questione dell’ordinamento universitario, che in Italia – secondo il Palermitano – non era abbastanza di Stato”, “abbastanza libero”, “abbastanza professionale”, “abbastanza scientifico”.
Orlando indugiava anche sulla presumibile “causa principale degli scioperi universitari” e, quindi, sugli “studenti che non hanno spesso un vero, proprio e diretto interesse ad ascoltare le lezioni”, per cui chiedeva di “creare dunque questo interesse, a costo anche di far venire meno gente alla lezione”.
Il Palermitano offriva anche “considerazioni didattiche sulla prevalenza o meno del corso monografico, frutto di ricerche critiche del professore, sul corso generale, che aveva scopi prevalentemente informativi”, che “se non coordinati, non avrebbero offerto”, secondo la sua convinzione, “un’intelligenza sintetica della disciplina”.
Un tema che evidenziava, quindi, la sua “decisa presa di posizione” contro la “simmetria burocratica” che ha aggiunto “materie alle materie”, con la conseguenza negativa di offrire scarsi interessi agli studenti, di privarli delle capacità critiche indispensabili alla professionalità, di bloccarne la “voluntas discendi”.
Orlando “professava la tendenza” che contesta la “logica del sistema statale”: chi ha “vissuto la vita universitaria – precisava il Palermitano – può comprendere che l’autonomia sta ad essa, come l’aria della campagna sta alla salute degli organismi”.
Una scelta che non poteva prescindere, secondo Orlando, dal “bilancio dell’istruzione” e dalla “richiesta di maggiori mezzi finanziari” per garantire i “servizi dell’istruzione”, quando sono “inadeguatamente dotati”, ma anche per “ricostruirli come va fatto”, impiegando, se necessario, anche ingenti risorse.
In realtà, “non era un mistero” che Orlando “avrebbe voluto porre mano ad una riforma universitaria che rispondesse a questi criteri autonomistici, ma si rendeva conto degli umori parlamentari”, per cui “non ebbe ritegno nel definire la sua posizione come quella di un paralitico con intelligenza viva”. L’autonomia – come ha evidenziato anche Roberto Calderoli – non deve cedere ai “pregiudizi puramente ideologici”, ad un “allarmismo immotivato”, a “fantasiose ipotesi di pericolo che evidentemente sono figlie di un’avversione politica alla riforma”, in tema di autonomia.
È questo il tema di ricerca, ancora oggi attuale, che proporrò, con la mia relazione, sabato 21 settembre 2024, dalle ore 9:00, in occasione del Convegno dell’Associazione Italiana di Storia del pensiero politico, che avrà luogo a Milano, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
(*) – L’autore
Leone Melillo è uno studioso di storia Risorgimentale, docente dell’Università Parthenope di Napoli. Ha già pubblicato sul sito: “Il Premio Internazionale Carlo Pisacane a Sapri“.
Il libro di Leone Melillo; Ed. Officina Trinacria, 2018
Nota
(1) – Vittorio Emanuele Orlando. Giurista e politico (Palermo, 1860-Roma, 1952). Professore di diritto in varie università, è considerato il fondatore della scuola italiana di diritto pubblico. Liberale, fu ministro della Pubblica istruzione (1903-05), di Grazia e giustizia (1907-09; 1914-16), dell’Interno (1916-17). Presidente del Consiglio dei ministri dal 1917, dopo la disfatta di Caporetto contribuì a restituire fiducia alla nazione, chiamandola a un nuovo sforzo bellico. A capo della delegazione italiana alla conferenza di pace di Parigi, rivendicò senza successo i territori promessi all’Italia nel patto di Londra del 1915 e la sovranità su Fiume. Di fronte al fascismo tenne in un primo tempo un atteggiamento di aspettativa, ma nel 1924 passò all’opposizione, ritirandosi dalla vita politica e lasciando la cattedra universitaria per non prestare giuramento al governo fascista. Fu membro dell’Assemblea costituente (1946-47) e senatore di diritto (1948-52). Tra le sue opere: Principi di diritto costituzionale (1889), Principi di diritto amministrativo (1890), Diritto pubblico generale e diritto pubblico positivo (1924). [Da Enciclopedia Treccani on line]. Leggi anche qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Emanuele_Orlando