America

Le elezioni americane, la carica delle donne

segnalato da Sandro Russo da la Repubblica

 

Obama, Ocasio-Cortez e Clinton. La carica delle donne democratiche alla conquista dell’America
di Gianni Riotta – Da la Repubblica del 21 agosto 2024

La battaglia sui diritti aiuta a vincere, il “soffitto di cristallo” qui è già crollato

Chicago — «Michelle Obama spiegherà che la sua amicizia con Kamala Harris è personale, va oltre il rapporto tra la vicepresidente e Barack Obama», spiega compunta la funzionaria alla Obama Foundation, il think tank dell’ex presidente che sorge ad Harper Court, vecchio quartiere depresso che un progetto urbanistico con l’Università di Chicago vuole far rifiorire. Qui tutto è “obamiano”, utopia che muta la realtà, la metropoli che da Capodanno ha avuto 364 omicidi sogna rinascita sociale con i capitali dell’ateneo e dell’ex asso del basket Magic Johnson. L’United Center della Convention democratica dista 20 minuti d’auto, sulla Highway 41, lo stato maggiore obamista si gioca il tutto per tutto: «Missione doppia, influenzare Harris e battere i repubblicani di Donald Trump. Michelle sarà importante».

Convention Democratica di Chicago 19-22 aug 2024

Mentre in Europa si favoleggiava di una candidatura fantasma della Obama, la ex First Lady spalleggiava la Lady di Ferro Nancy Pelosi per convincere il marito, sempre Amleto cerebrale davanti alle scelte aut aut, a imporre al presidente Joe Biden il passo indietro. Caduto Biden, che ha detto addio alla politica lunedì, commosso, prolisso, relegato dal partito quando ormai nella East Coast era mezzanotte e gli elettori dormivano, la strategia concordata tra Obamiani e Harrisiani postula moderazione, scarsa attenzione ai temi che dividono, Gaza, Ucraina, inflazione. Meglio enfatizzare le “good vibes”, buone vibrazioni in stile California Dreaming.

La parata di donne leader che Kamala Harris ha convocato a Chicago, l’ex Segretaria di Stato Hillary Clinton, le deputate Jasmine Crockett, accento suadente del Texas, “Ya all!”, Alexandria Ocasio-Cortez di New York, raggiante, elegante, formidabile nella conversione al centro che le assicurerà un futuro di potere a Washington, radica la campagna su diritti e aborto. Trump e il vice J.D. Vance applaudono la Corte Suprema conservatrice, tre toghe trumpiane Doc, che abroga la sentenza “Roe versus Wade”, garanzia di interruzione di gravidanza, mentre Harris ribadisce libertà di scelta e milioni di donne meditano.

Due Americhe per due visioni, paternalismo familista contro la rottura delle discriminazioni, l’oppressivo “soffitto di vetro” deprecato dalla Clinton nell’arringa notturna. Ma, attenzione!, sarebbe un errore scambiare l’offensiva di Kamala Harris per una riedizione delle suffragette che, un secolo fa, sfilavano in città sulle Ford Modello T nere, cappellini e crinoline, per il diritto di voto. Una macchina sofisticata si è messa in moto, da ora a novembre: Harris vuol ripristinare le garanzie di “Roe”, aborto nelle prime settimane, ma senza allargare troppo la pratica, come 400 star della medicina le propongono, in un pubblico appello lasciato senza risposta. Alexis McGill Johnson, presidente dell’organizzazione Planned Parenthood, ascoltata la prima notte della Convention reagisce fredda: «Harris deve andare oltre Biden, estendere i diritti delle donne, ribadirli non ci basta, non vogliamo scegliere questo o quello, vogliamo tutto!». Pronta a scendere in piazza Ivy Czekanski, militante del gruppo Chicago for Abortion Rights, annuncia tosta: «I democratici usano l’aborto per guadagnare voti, ci ricattano, basta, devono approvare una legge, basta appelli!».

Kamala Harris, come sempre in carriera, ascolterà, smusserà, andrà avanti pragmatica, «È il suo stile», osserva caustico il notista di Atlantic David Graham, e infatti la processione di donne che ha preso la parola a Chicago recita storie dolorose, stupri, incesti, malattie, abusi a monte di gravidanze non volute, per poi ritrovarsi sole davanti al tabù reimposto dai repubblicani. Per Harris, ex magistrata, si tratta di un contratto fra cittadine e stato, privacy, sanità pubblica, non rivolta radicale come postula combattiva Nancy Rosenstock nel pamphlet “Inside the second wave of Feminism”.

Il confine è marcato: la scrittrice Karen Attiah ammonisce Harris dal Washington Post a «non svendere le femministe afroamericane», sulla Los Angeles Review of Books l’attivista Marina Magloire contrappone «femminismo nero e sionismo» perché la vicepresidente si schieri senza eufemismi, su aborto, Gaza, Israele.

Negli uffici lindi della Obama Foundation, disegnati dagli architetti Tod Williams e Billie Tsien, il tono rauco delle femministe non buca i cristalli, si sussurra: «Portano alla Harris come modello Angela Davis, ex allieva del filosofo Marcuse, e non sanno che fu decorata dal dittatore Germania Est Honecker, perché difendeva il Muro a Berlino»; poco male purché la maratona Barack 2008-Kamala 2024 arrivi al traguardo, battendo Trump e schivando utopie impossibili nell’America presente.

[Di Gianni RiottaDa la Repubblica del 21 agosto 2024]

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