Ambiente e Natura

Le vacanze intelligenti (3). Aci Trezza, Sicilia

proposto dalla Redazione da la Repubblica

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Riprendiamo con interesse questi articoli per la descrizione del turismo e le molte analogie con Ponza, com’era e com’è.
Il tour con le firme di Repubblica nei luoghi delle vacanze lontani dal turismo mordi e fuggi prosegue in questo borgo siciliano sfiorato da Goethe e che anche Luchino Visconti volle come set.

Il racconto Viaggio sentimentale/5
Tra Verga e i Ciclopi la dolce Aci Trezza di cui ti innamori per poterla lasciare
dell’inviato di Repubblica Stefano Cappellini – la Repubblica del 20 luglio 2024

Difficile trovare un posto dove la granita di mandorle e caffè non sia sublime
Qui nacque Francesco Procopio Cutò, inventore del gelato
Quando il regista de “La terra trema”, ispirato a “I Malavoglia”, terminò le riprese nel 1948 salutò con una cena in piazza le maestranze e i suoi attori improvvisati

Aci Trezza – Ad Aci Trezza i catanesi ricchi ci passavano per la strada Provinciale che costeggia le case di pietra a due piani, diretti a Taormina o Giardini Naxos. I catanesi diversamente ricchi ci si fermavano per provare l’ebbrezza di un mare più esotico della scogliera cittadina di Ognina e un po’ meno affollato della Playa, la spiaggia urbana zeppa di fagottari — non so come si dica in siciliano, anche se di nascita sono catanese — provenienti da San Cristoforo, Cibali, Librino, Canalicchio. Poteva capitare in paese il continentale — in Sicilia continentale è sinonimo di nordico, non basta stare sopra Villa San Giovanni — che si affaccia sulle tracce di Giovanni Verga e cerca subito la casa del Nespolo, il posto delle fragole dei Malavoglia, la casa che lo scrittore prese a modello per la sua storia di pescatori disperati. Ma resta un’eccezione.
Il fascino di Aci Trezza, o anche Acitrezza tutto attaccato, Trìzza per gli indigeni, è che nemmeno l’aver fornito l’ambientazione di un capolavoro della letteratura italiana le ha incollato un’aura chic, e radical meno ancora. A Trìzza non c’è traccia di evoluzione salentina né di gentrificazione maremmana, non aspettatevi il borgo marinaro incantato né quello dove la nettezza urbana fa gli straordinari, è un posto vero, non del tutto instagrammabile, anche se è pieno di palme come a Cannes e di lampade da strada barocche come nella Noto infestata di influencer e di sposini emuli dei Ferragnez, parlandone ancora da maritati, che in dialetto siculo sta per ‘coniugati’, significativo maschile sovraesteso.

La vita è certo meno grama ma non così diversa da quando nel secondo dopoguerra gli abitanti erano meno di mille, ora sono circa cinquemila, anche se all’epoca ovviamente non c’era l’ombra di un turista. I locali sul lungomare, quelli al culmine della pretenziosità, si chiamano Gran Solaire o Diamond Lounge, mica caffè ’Ntoni. La scienza del branding si è fermata a Eboli, minimo.
In compenso resta difficile trovare un posto dove la granita di mandorle e caffè non sia sublime, una consistenza che nessuna pasticceria siciliana in odore di riciclaggio aperta a Brera o in via Veneto potrà mai restituirvi, una garanzia assoluta di eccellenza che forse neanche a Catania e Palermo.
Potrebbe non essere un primato casuale: dalle parti di Aci Trezza nacque in qualche punto del Seicento Francesco Procopio Cutò, traslitterazione dal francese des Couteaux (dei Coltelli), considerato l’inventore del gelato, che emigrò presto a Parigi dove divenne un celebre cuoco e che deve aver lasciato in eredità un certo genius loci.
Racconta Tita Gilberto, la più colta ed esperta delle guide turistiche trezzane, che a favorire l’invenzione fu la tradizione delle neviere dell’Etna, i contenitori dove si stipava la neve che serviva a conservare i cibi e produrre i primi sorbetti.
Comunque la granita chiedetela sempre con brioche, la parola non farà di voi dei sospetti continentali, si dice proprio così.

Ad Aci Trezza c’è più turismo locale che forestiero, non è certo la cittadina di mare dove arrivi e si affaccia la fugace tentazione di pensare: mi trasferisco. Non è difetto, è carattere. Meno conosciuta de I Malavoglia , un’altra novella di Verga intitolata Fantasticheria racconta di una nobildonna che arriva ad Aci Trezza e se ne innamora restandoci per un mese, finché se ne stanca e la lascia chiedendosi come si possa restarci una vita. Le risponde il narratore, spiegando che la filosofia dei trezzani è basata sul «principio dell’ostrica», che non si vuole staccare dallo scoglio e guai se succede, non ne viene niente di buono.
A Trìzza restano solo i suoi abitanti, pescatori di masculini (le alici), bottegai, affittacamere, gelatai, ex percettori di reddito di cittadinanza, gli altri sono ospiti e viandanti — passò di qui pure Goethe — e possono solo godere dell’idea di tornare e trovare di nuovo tutto molto simile a com’era.
Anche Luchino Visconti, quando nel maggio del 1948 terminò sul posto le riprese di La terra trema, ispirato a I Malavoglia, salutò con una cena in piazza le maestranze e i suoi attori improvvisati, presi letteralmente dalle barche più che dalle strade, e si ritirò per sempre nei suoi palazzi lontani abbandonando non solo l’idea di fermarsi, ma pure quella di realizzare una ‘Trilogia sui vinti’ di Sicilia che toccasse, dopo i pescatori, pure zolfatari e contadini.
Si racconta ancora oggi che Visconti fece una gran fatica a ingaggiare le donne perché in quella Sicilia attrice era considerato sinonimo di prostituta.
Ai vecchi seduti in piazza Verga è inutile domandare del set, sono troppo giovani per ricordare Pandolla, al secolo Antonino Valastro, che saluta il regista alla fine della festa e con orgoglio sottoproletario gli dice: «Ora il mondo ci vedrà come siamo».
Il mondo ha visto e, in gran parte, ha dimenticato. Non è detto che sia una disgrazia.

Ci sono ancora dei Pandolla, però, rintracciabili a Trìzza. Guidano barche a remi di legno pitturate di bianco e azzurro, come i modellini souvenir da tinello piccolo-borghese, hanno le facce bruciate dal sole e rughe profonde come canyon, si direbbe già dai quarant’anni, che producono un ipnotizzante effetto anti-botox, il mondo alla rovescia ma in senso buono.
Per un pugno di euro i Pandolla di oggi portano i bagnanti dalle piccole spiagge di scoglio, alcune senza soluzione di continuità con i parcheggi retrostanti, verso i vicini Faraglioni, otto isolotti di pietra lavica ufficialmente detti Isole dei Ciclopi dove è meraviglioso fare il bagno. Perché di Trìzza, ben prima di Verga, si era occupato addirittura Omero nell’Odissea e secondo la leggenda è proprio qui che Ulisse se la svignò dai Ciclopi, giganti mitologici con un occhio solo.

I faraglioni altro non sarebbero che gli enormi massi che il ciclope Polifemo scagliò a casaccio verso il fuggitivo Ulisse dopo esserne stato accecato. Non solo, racconta Virgilio nell’ Eneide che, preso dalla fuga, Ulisse dimenticò sul posto il povero Achemenide, che visse a lungo nascosto e terrorizzato nella terra dei Ciclopi finché non giunse a salvarlo, con grande magnanimità, il troiano Enea. Anche Achemenide deve averlo pensato: bello qui, ma non ci vivrei.

Immagine di copertina. Faraglioni. Gli isolotti di pietra lavica ufficialmente detti Isole dei Ciclopi che si stagliano davanti a Aci Trezza (Rudolf Ernst/ Getty Images/)

In Sicilia. Da sinistra in senso orario: Aci Trezza vista dal mare; la festa di San Giovanni; il piccolo porto del borgo marinaro nel Catanese

L’articolo, in file .pdf: La Repubblica 27.07.2024. Viaggio sentimentale.4. Stefano Cappellini. p. 20

 

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