proposto dalla Redazione da un articolo di Repubblica
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Le Conversazioni a Capri
Pascal Bruckner (*) ha chiuso domenica 7 a Capri a Piazzetta Tragara la 19ma edizione de Le Conversazioni, il festival ideato da Antonio Monda e Davide Azzolini. La Repubblica ha pubblicato parte del suo testo inedito
Carpe diem
Non è il caso di perdere tempo
di Pascal Bruckner – Da la Repubblica di venerdì 5 luglio 2024
Vivere solo nel presente o proiettarsi nel futuro? La lezione degli antichi spiegata da un grande saggista
Io ho tempo, sono in tempo, prendo tempo; il tempo stringe, il tempo sfugge, il tempo si riavvolge, ci sono così tante espressioni sul tempo, e sembrano tante variazioni sul tema del paradosso posto all’inizio della nostra era da Sant’Agostino nelle sue Confessioni: «Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so bene; se qualcuno me lo chiede, non lo so più».
Questa verità può essere la più familiare, ma anche la più enigmatica, ed essere fonte di aporie insormontabili: per esempio, il tempo è il luogo della rottura e della continuità, tutto passa in esso, tranne il tempo, che è l’ambiente in cui si svolge tutta la nostra vita. E la prospettiva cambia se si considera il tempo da un punto di vista religioso, rispetto alla promessa della vita eterna, o il tempo nella visione secolare, in cui l’aldilà non è che un’ipotesi che non cambia nulla nella vita degli uomini.
Che potere abbiamo sul tempo che ci fa e ci disfa simultaneamente, e con il quale possiamo, se non barare, almeno giocare d’astuzia?
Abbiamo almeno due strategie a disposizione: il piacere del momento e la spensieratezza del futuro.
Questo doppio assunto era già stato definito dagli Antichi, che a proposito del tempo formularono due postulati contraddittori: vivi come se dovessi morire da un momento all’altro, vivi come se dovessi non morire mai.
Seneca, come Marco Aurelio ed Epitteto prima di lui, suggeriva di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, sempre ringraziando in anticipo gli dei che ci concedono un domani. Ben prima di loro, Aristotele attribuiva agli uomini una missione nobile: per diventare immortali, bisogna privilegiare la vita dello spirito, la vita contemplativa, l’unica che permette di ottenere una saggezza quasi divina e di non limitare i propri pensieri alle sole cose materiali.
Prendiamo il primo postulato, caro agli Stoici: vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Il proposito è nobile, ma difficile da mettere in pratica, se non per un condannato a morte in attesa di esecuzione, una persona molto malata o un prigioniero politico.
«Prevedere la vita con un giorno d’anticipo non ha alcun senso» sosteneva lo scrittore russo Varlam Chalamov (1907-1982) che avrebbe passato vent’anni della propria in un gulag. Nessuno potrebbe addormentarsi tranquillamente, temendo ogni notte di morire nel sonno. Restiamo in un dogmatismo della suspense che mal si combina con l’esperienza vissuta. Non è possibile alcuna gioia, senza un minimo di ottimismo sul tempo, senza credere che le settimane a venire possano migliorare le cose. Infilarsi nel letto come se non ci dovessimo svegliare mai più è il modo migliore per soffrire di insonnia.
Ma questa posizione è un invito alla prudenza, tanto quanto all’intensità. Vivere e guardare il mondo come se fosse l’ultima volta è anche come dire di guardarlo come se fosse la prima. In un caso, rinnoviamo il nostro sguardo su di esso, nell’altro godiamo a pieno di un bene che potrebbe venirci sottratto. Vogliamo goderci l’attimo per paura che possa non tornare più. È un lampo, una scintilla rubata al tempo.
Si può dire quindi che per vivere bene, a tutte le età, ci sono due propositi complementari: quello del carpe diem, l’arte di cogliere l’attimo, l’ora, l’occasione, e quello del progettare, del tempo lungo di cui non sappiamo immaginare la fine.
Ogni momento è definitivo, ogni attimo è un passaggio. Una gioia, un amore, un’amicizia non hanno altro valore, se non la possibilità di creare un futuro condiviso, fin dal loro principio. È già abbastanza triste dover morire. Se dovessimo anche ossessionarci dalla mattina alla sera sul pensiero di quell’evento funesto, venire al mondo non avrebbe alcun senso.
«La nostra unica gioia è il presente » diceva Diogene. È così anche perché c’è un domani e non è soggetto al vizio infernale dell’adesso e del più tardi. È un postulato filosoficamente seducente, ma esistenzialmente insostenibile.
Bisogna quindi capovolgere gli insegnamenti di Platone e Montaigne: la filosofia non è imparare a morire, ma imparare a vivere e a rivivere, all’orizzonte della fine, cioè di un tempo limitato. Ogni giorno è una metafora dell’esistenza, con il suo mattino trionfante, il suo pomeriggio radioso e il suo crepuscolo, così come ogni vita ha la struttura di un anno, con una primavera piena di promesse, un’estate trionfante, il suo autunno e il suo inverno. Ed è per questo che sogniamo il domani e festeggiamo il nuovo anno. Persino i centenari continuano a fare progetti e a sognare il domani.
Il tempo, prima di essere un concetto, è un’esperienza immediata e costante. Si apre su tre dimensioni, il passato, il presente e il futuro, che secondo tutta la filosofia sono evanescenti per natura e suscettibili di intersezioni e sconfinamenti.
Predire il futuro è difficile, ma lo è ancora di più predire il passato, che continua a cambiare con il passare dei giorni. Lo coloriamo di affetti diversi e lo riscopriamo man mano che ci torna in mente.
Dalla massa dei nostri ricordi possono emergere nuove possibilità, come colombe che un mago tira fuori dal cilindro. Da qui vengono i paradossi temporali tanto cari agli scrittori di romanzi: siamo nostalgici del futuro e profeti dei tempi andati, che non smettono di fare irruzione nel nostro presente per simposi tutti nuovi.
In altri termini, la vita procede su due piani: quello del calendario, che ci porta giorno dopo giorno verso la fine dell’anno, quel tempo oggettivo che è il nostro veicolo diretto verso il futuro. Ma essa procede anche come il gambero: da davanti indietro, da dietro in avanti. Per progredire, bisogna anche saper regredire.
Tutta l’educazione dei bambini è fatta di passi indietro, che non sono fallimenti, ma un modo di tornare sui propri passi per prepararsi a nuovi passi avanti, per riorganizzare in modo diverso un comportamento sbagliato.
Tutto quel freddo passato che ci lasciamo alle spalle, non se ne va mai del tutto. La famosa frase di Faulkner secondo cui «il passato non è mai superato, e non è neanche mai passato» viene generalmente interpretata come una tragedia, come la prova che il peso dei drammi passati non smette mai di intralciarci. Si può invece intenderla con più leggerezza, come un invito ad attingere al nostro vissuto, come fosse un pozzo in cui scendere, come speleologi, per risvegliare periodi sepolti, trasformando il ricordo in avvenire.
[Di Pascal Bruckner – Da la Repubblica di venerdì 5 luglio 2024 – Traduzione di Giorgia Canuso]
Immagine di copertina (dall’articolo di Repubblica). Il dipinto. Johan Zoffany, Autoritratto, olio su tavola (1776 circa), Firenze, Gallerie degli Uffizi. Immagine da Wikipedia: Self-portrait of John Zoffany (1733-1810) with Hourglass and Skull (1776, circa)
(*) – Pascal Bruckner (Parigi, 15 dicembre 1948) è uno scrittore e saggista francese. Partendo dall’analisi dei fenomeni dei consumi di massa e di tutto quello connesso ai metodi di marketing, Bruckner afferma che si stia operando un ritorno a una riunificazione del reale col magico, della razionalità illuministica con la fantasia romantica. (fonte Wikipedia, ibidem)