America

Il tempo dell’anarchia

segnalato dalla Redazione

.

Un necessario sguardo alla politica internazionale, che ci riguarda da vicino, visto che spesso siamo portati a esempio (negativo). Con buona pace di Vigorelli che di Berlusconi ha fatto il suo politico di riferimento (leggi qui). Noi abbiamo sempre pensato che il personaggio abbia fatto all’Italia e agli italiani, danni enormi la cui entità non è stata ancora pienamente realizzata.

Una vignetta di Ellekappa su la Repubblica del 19.12.2019

Stati Uniti
Trump e l’età dell’anarchia
di Moisés Naím (*) – Da la Repubblica del 15 giugno 2024

L’ex presidente americano fomenta la rabbia e alimenta la sfiducia. Per raggiungere i propri obiettivi

La condanna penale dell’ex presidente Donald Trump per falsificazione di documenti mette la prima potenza economica e militare del mondo sulla strada dell’anarchia. Ciò è dovuto in gran parte alla strategia mediatica, politica e legale che Trump ha adottato per salvarsi dal carcere e riconquistare la presidenza.
La sua scommessa è che la manipolazione delle regole dello Stato di diritto e il feroce attacco alle istituzioni e alle leggi gli consentiranno di neutralizzare le molteplici azioni legali contro di lui. È una strategia che fomenta la sfiducia e alimenta l’anarchia.
I Paesi in cui i cittadini si fidano gli uni degli altri, e tutti si fidano delle proprie istituzioni, sono più prosperi e stabili di quelli in cui regna la sfiducia.
E, secondo molti sondaggi, gli americani hanno sempre meno fiducia nei loro concittadini e nelle loro istituzioni. La strategia di Trump si inserisce in questa tendenza e la esaspera. Defenestrare la reputazione di giudici, magistrati, funzionari pubblici, testimoni e istituzioni: questo è l’obiettivo centrale di Trump e dei suoi alleati.
Questa strategia non solo si fonda sulla condotta dell’ex presidente, ma è anche amplificata dall’uso massiccio dei social media e dalla diffusa sfiducia oggi regnante.

Nel 1972, secondo i sondaggi del National Opinion Research Center dell’Università di Chicago, oltre il 45 per cento degli americani riteneva che la maggior parte delle persone fosse degna di fiducia. Nel 2006, questa percentuale era scesa al 30 per cento. La sfiducia è particolarmente acuta tra i giovani: nel 2019, il 73 per cento dei giovani sotto i 30 anni era d’accordo sul fatto che “il più delle volte, la gente si preoccupa solo di se stessa”. Un numero simile riteneva che “la maggior parte delle persone si approfitterebbe di te se ne avesse l’occasione”.

Gli americani non si fidano gli uni degli altri e non si fidano del loro governo. Secondo il Pew Research Trust, negli anni Sessanta il 77 per cento degli americani pensava che il governo meritasse la loro fiducia, ma nel 2023 la percentuale era solo del 16 per cento. La Gallup, da parte sua, evidenzia che solo la metà degli americani ritiene che il sistema della giustizia penale del proprio Paese sia equo.
Peggio ancora, la sfiducia si è polarizzata. Oggi il 73 per cento dei repubblicani afferma che le religioni agiscono per il bene degli Stati Uniti, ma solo il 45 per cento dei democratici è d’accordo.
Divari simili si aprono quando vengono interrogati sui temi della scuola, dell’università e dei sindacati. La cosa più grave è che questa situazione riguarda anche la Corte Suprema: il 68 per cento dei repubblicani esprime fiducia in essa, ma solo il 24 per cento dei democratici è della stessa opinione.

I Paesi che rientrano in questa dinamica non se la passano bene. L’Italia ne è un buon esempio.
Lì, per molti anni, un leader politico carismatico ha gravemente minato la fiducia nei tribunali e nei giudici. L’impatto è stato disastroso. Nei suoi 30 anni di vita pubblica, Silvio Berlusconi è stato processato per un’infinità di reati: evasione fiscale, corruzione, falsificazione dei bilanci delle sue aziende, abuso di potere e altro ancora. Nel 2008, Berlusconi ha dovuto affrontare contemporaneamente 12 cause penali e 8 civili.
Invece di difendersi in ogni caso sulla base di fatti verificabili e di argomentazioni legali, Berlusconi ha sempre scelto di attaccare le istituzioni che lo indagavano. Invece di perdersi nei reconditi dettagli legali contro di lui, si è dedicato ad attaccare giudici e magistrati, definendoli comunisti e corrotti e mettendo in dubbio la legittimità del potere giudiziario.
Mentre era la principale figura politica del suo Paese, Berlusconi riuscì a trasformare il disprezzo per la giustizia in un valore fondamentale per la sua coalizione.
In Italia, essere “di destra” è diventato per molti un’identità basata sulla sfiducia nei confronti dei giudici, dei tribunali e dello Stato in generale.

Quando la polarizzazione viene messa in atto screditando le istituzioni fondamentali dello Stato, diventa tossica. Quale italiano di destra sano di mente vorrebbe pagare le tasse quando il presidente del Consiglio gli dice, giorno dopo giorno, alla radio e alla televisione, che le istituzioni che le riscuotono sono corrotte? Chi rispetterebbe la legge quando il premier sostiene che la legge stessa non è altro che un complotto comunista?

La sfiducia diffusa è una grave condizione preesistente nella società statunitense e Trump l’ha utilizzata in modo magistrale e sfrenato per raggiungere i suoi obiettivi. Molti sono disposti a seguirlo su questa strada, senza rendersi conto che il collasso della fiducia nelle istituzioni non significherà una vittoria politica per loro, ma l’anarchia per tutti.

[Moisés Naím – Da la Repubblica del 15 giugno 2024 (traduzione di Luis E. Moriones)]

(*) – Moisés Naím (Tripoli, 1952) è uno scrittore e giornalista venezuelano, membro dell’International Economics Program del Carnegie Endowment for International Peace.
Moisés Naím è l’editorialista di punta per la politica internazionale di El País, il quotidiano a maggior tiratura in Spagna. La sua rubrica, “The Global Observer”, è pubblicata anche in Italia (La Repubblica), Francia (Slate.fr) e sui principali giornali latino-americani (fonte: Wikipedia)

 

1 Comment

1 Comments

  1. La Redazione

    27 Giugno 2024 at 06:33

    La Redazione propone un’Amaca su Michele Serra, sul tema

    L’amaca
    Il popolo dei miliardari
    di Michele Serra – Da la Repubblica di domenica 23 giugno

    Ma se i populisti sono — lo dice il nome stesso — dalla parte del popolo, come mai il miliardario Trump gode dell’appoggio, e dei finanziamenti elettorali, dei ricconi americani quasi alcompleto? E se i dem sono “lontani dal popolo”, tutti professori di Harvard, star di Hollywood, artiste lesbiche del Village e cantanti rock, insomma i famosi radical chic, come mai Biden, per la sua campagna, ha rastrellato meno dollari di Trump, pur avendo un numero di finanziatori molto più ampio?
    La verità è che il populismo è una menzogna ab ovo. Nasce come inganno, come turlupinatura dei poveri. Cerca i voti del popolo blandendolo, dicendogli quanto è bravo e bello anche quando ne conosce bene le condizioni di subalternità, la precarietà economica e il deficit culturale, il pauroso gap sanitario con i benestanti (negli Usa il gap è anche alimentare: l’obesità dilaga tra i poveri iper-mal-nutriti).
    Ma il vero scopo del populismo, lo stesso che accomuna tutte le forze reazionarie nella storia umana, è che niente di sostanziale cambi nella società. Nessun incremento del Welfare, mai, e anzi l’elogio martellante del liberismo e della riduzione dell’intervento statale. Tutto si risolve in patriottismo tronfio, familismo melenso (spesso evocato da bigami e puttanieri incalliti), clericalismo d’ordine, vocazione poliziesca: ogni possibile slittamento sociale deve essere domato, e bene instradato sotto le consumate bandiere dei “vecchi tempi”.
    Capitò anche al vecchio fascismo di spacciarsi per rivoluzionario anche quando era già il cane da guardia dei proprietari terrieri e degli industriali. Dei populisti di oggi (Trump, Milei, le varie sfumature di nero in Europa) si può dire, mutatis mutandi, la stessa identica cosa.

    [Di Michele Serra – Da la Repubblica di domenica 23 giugno]

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top