di Francesco De Luca
Stamane, 18 giugno, nel cortile mi vedo immerso nella quiete calda e sonnolenta dell’estate.
Da qui sembra essere ritornato il tempo delle vacanze infantili. Le scuole s’erano chiuse e l’organizzazione della giornata doveva ritrovare una sistemazione. Vi provvedeva, per lo più, mamma con le incombenze che ci attribuiva (a me, a mio fratello e a papà). Mio padre di buon mattino doveva recarsi ind’ a padura a comprare gli ortaggi; io dovevo andare al negozio di Scarpati, sulla Banchina, per l’olio, la pasta; Antonio, mio fratello alla panetteria di Temistocle. Poi eravamo liberi per i giochi. Alla mezza, a casa, per il pranzo.
L’estate soccombeva alla quiete.
I pescatori, erano rimasti i vecchi, con le barchette. Il grosso dei pescatori spaziava nel Tirreno, dalla Toscana alla Sardegna, per la stagione di pesca (a corallo e all’aragosta).
I vecchi si dedicavano alla pasca dei polpi (con specchio e lanzaturo), alle nasse, ai nassielli, alle reti radenti alle chiane.
Nei campi si era votati alla cura delle viti, all’innaffiatura dei pomodori, principalmente, e poi alle zucchine, alle cucuzzelle, alle melanzane.
Rompeva la trama abitudinaria la venuta, alle 11, del vapore da Anzio.
Sbarcavano i turisti al molo Musco. Noi ragazzi pronti ad alleggerirli dalle valigie. Le camere in affitto erano quelle di Linda Verde, di Luisa Musco.
I turisti, quei pochi, non scombinavano in nulla l’andare quotidiano del paese. Da Maria Sciammereca si vendevano i pesci catturati lungo le coste: scorfani, qualche aragosta, occhiate, polpi, qualche seppia. Maurino trafficava vicino ai verricelli, Amedeo puliva in mare, giù al Mamozio, i pesci per il suo ristorante ‘L’Aragosta’.
Il 18, in chiesa i preparativi per le cerimonie dell’imminente festa, erano dirette dalla Madre Superiora delle suore, aiutata dalle ragazze dell’ Azione Cattolica.
Tutto era contenuto: gioia, espressioni, fede e fanatismo.
La gente desiderava ritrovarsi, il culto ambiva ostentarsi, ma tutto a dimensione di un paese che sapeva come, finita la festa, riprendeva il vivere di sempre, con abitudini di noia, di sacrifici e di gratificazioni.
Il turismo che si affacciava alla visione della vita di un paese di mare era meravigliato e discreto, attento e rispettoso.
Nessuna ansia, né di prestazione né di sovreccitazione. Tutto modesto, umile, riservato.
La festa, era più forte quella sentita che quella manifestata. Doveva recare gioia, principalmente.
Qui la differenza sostanziale. Oggi la festa deve colpire, deve portare guadagno, deve stupire. E così, i turisti che prima venivano accolti oggi ci devono travolgere.
Si dice: oggi la sussistenza della comunità ponzese dipende totalmente dal turismo, per cui esso non può essere osservato soltanto, no, deve essere guidato e sfruttato. Il paese vive in funzione del ricavo turistico!
Se si giunge a questa conclusione allora è chiaro che il paese non ha più una sua vita, nel senso che non importa come trascorre il resto dell’anno, l’importante è che si ritrovi, al sopraggiungere dell’estate, pronta ad ospitare, sollazzare e trarre sostentamento dal turismo.
La vita reale del paese non ha più valore in sé. Vada come vada, l’importante è essere appetiti dal turismo.
Mi fermo qui. Vedo che le deduzioni indulgono precipitose verso il pessimismo. L’antropologia, ovvero lo studio e la cura dell’esistenza degli uomini, viene cassata dal mercantilismo.
Mi fermo per non deprimermi e, nel farlo, annoiarvi. Ritornerò sull’argomento, spero con argomenti più ottimistici.