Europa

Di Europa, con Paolo Rumiz

segnalato dalla Redazione

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Paolo Rumiz non a certo bisogno di presentazione, per i lettori di Ponzaracconta. Qui sotto e a fondo pagina, solo due delle numerose schermate di suoi articoli, interventi o citazioni presentati sul sito…

Le idee
La Sinistra senza risposte
di Paolo Rumiz– Da la Repubblica dell’11 giugno 2024

Contra la izquierda, Contro la sinistra. Nei giorni caldi della vigilia elettorale trovo un pamphlet con questo titolo in una libreria spagnola. L’attacco non viene da destra. La copertina è rossa, e la firma è di Jordi Gracia, un letterato di area liberale.
L’inizio è fulminante: “L’unico fantasma che oggi scorrazza per l’Europa è il disinganno per una sinistra che non fornisce una risposta ideologica ai disastri del presente” (1).
Il fantasma, per Gracia, non è la “marea nera” di cui scrivono oggi un po’ tutti, ma il vuoto politico che una izquierda staccata dal popolo lascia da troppo tempo alla destra, regalandole l’esclusiva su temi cruciali come il patriottismo o l’identità.

Il voto europeo ha messo pienamente in luce questa debolezza delle sinistre, dalla Germania alla Francia e dalla Polonia all’Italia. La patria non è un concetto di destra. Tenersene alla larga ha prodotto il peggiore degli effetti: la mancanza di un’idea di patria europea da contrapporre alla patria delle nazioni. Quelle nazioni che, con le due guerre mondiali nel secolo scorso, hanno portato il continente al disastro e a breve — in un atto di autolesionismo — rischiano di ripetere l’exploit per la terza volta.

Sono figlio di un confine e quindi geneticamente europeo. Almeno da un decennio racconto pubblicamente la mia appartenenza alla federazione, e ogni volta constato il vuoto narrativo che l’avvolge.
Se si escludono David Sassoli e Romano Prodi, non ricordo di aver sentito un politico di sinistra esprimere con commozione il suo legame all’Unione, a quest’ultima, miracolosa isola delle regole e delle garanzie in un mondo dove il liberismo più sfrenato si muove senza ostacoli. Ed ecco la facilità con cui dei morti viventi come gli Stati nazionali possono occupare questo spazio politico con un trito linguaggio patriottardo che nulla risolve e alza fili spinati alla ricerca compulsiva di nemici, in rapporto ai quali definirsi.

Non è possibile che, dopo tanti anni, non sia ancora spontaneo alzarsi in piedi per l’inno europeo. Assurdo, che, a fronte di mitologie nazionali vecchie di appena qualche secolo, l’Europa non riesca a imporre la sua leggenda, che di anni ne ha almeno tremila. Insensato che, sulle banconote, l’Europa sia rappresentata da edifici disegnati al computer e non dalle facce di Mozart, Gutenberg, Dante o Cervantes. Triste, che la cura dell’immagine di un simile, miracoloso sodalizio nato dal crollo del nazi-fascismo, sia delegata a una società di sondaggi, come se l’Europa fosse un bene di consumo. Un computer o un altro oggetto senza storia.
Lo stesso vale per l’identità. La sinistra fugge da questa parola e consente alla destra di declinarla come sa far meglio, in modo solo muscolare, amplificando le paure di cittadini spaesati, spinti al complottismo dal balbettio dei social e dall’impianto bipolare della Rete.
Non capire che gli enormi cambiamenti mondiali in atto, dalle guerre all’immigrazione senza regole, generano nei popoli un naturale smarrimento, e persino il timore di sentirsi stranieri in casa, equivale a far sì che l’umano riflesso della xenofobia (letteralmente “diffidenza dello straniero”) degeneri in razzismo aggressivo.

È quanto accade in Germania dove, per storico senso di colpa in merito agli orrori del nazismo, persino la parola “popolo” — das Volk — è scrupolosamente evitata perché abusata da Hitler e dai suoi sodali. Meglio dire die Meschen , cioè “la gente”, termine che però non avrà mai analogo impatto sull’emozione dell’uomo medio. Lo stesso per il termine “fratellanza”, Bruderschaft, considerata troppo simile a Bursenschaft, modo con cui si definivano già nell’Ottocento le associazioni studentesche dove è cresciuta l’idea della superiorità razziale del popolo germanico. Risultato: l’Afd, il partito di estrema destra che ha stravinto alle Europee, è stato l’unico a parlare di popolo e fratellanza. Facendo capire che gli altri partiti fossero contro il popolo e la fratellanza. Il politicamente corretto non premia più. Anzi, è controproducente. Impressionante quanto accaduto a Macron che, pur tenendo discorsi di alta rilevanza europea, non sembra aver trovato ancora il linguaggio giusto per rivolgersi ai francesi, un popolo che tende a sentirsi europeo solo nella misura in cui il resto d’Europa somiglia alla Francia o, della Francia, riconosce una leadership culturale, politica e militare.

Il problema è dunque linguistico, sintattico, persino grammaticale, prima ancora che politico. Ed è strano che il mondo degli intellettuali, a partire dagli scrittori, non si sia ancora impegnato su come narrare l’Europa al tempo di TikTok.
Così, è stata di nuovo la destra a sfruttare questo silenzio, appropriandosi dei social con largo anticipo sui concorrenti. Specialmente in Germania e nei Paesi nordici, la propaganda non passa per i comizi o gli incontri pubblici, ma sotto pelle, a quota periscopio, tutta giocata su un digitare notturno, attraverso una serie di siti o podcast mirati a colpire le categorie più deboli, a partire dai giovani in età adolescenziale.
Sono loro gli obiettivi, i giovani più insicuri, spesso in cerca di un branco dove sentirsi protetti, e ai quali basta un like per convincersi della giustezza di idee anche assurde, ripetute a pappagallo da persuasori occulti.

Quando ho visto Meloni scodinzolare davanti a Elon Musk e rispondere con larghi sorrisi alla democristiana Ursula von der Leyen, presidente della Commissione così intima con i poteri globali dell’economia, ho capito che sul terreno del web si saldava un’alleanza “scellerata” a livello europeo, con un patto di mutua convenienza. Da una parte un centro, legato alla finanza e alla grande industria, interessato a ideologie capaci di mettere in riga il popolo dei consumatori e abbassare il costo del lavoro attraverso una pressione crescente sui deboli, a partire dagli immigrati. Dall’altra parte, una destra affascinata dalla capacità della Rete di intontire e rendere sottomesse le masse in modo più efficace di qualsiasi apparato repressivo.
Non so quanto i cosiddetti sovranisti si rendano conto del rischio di diventare portaparola degli stessi poteri globali che poi, in presenza di un’Europa invertebrata, saranno i primi a fare a pezzi proprio le nazioni.

[Paolo Rumiz – Da la Repubblica dell’11 giugno 2024]

Immagine di copertina. “Canto per Europa” è uno dei titoli di Rumiz, Feltrinelli; 2021

 

Nota (a cura della Redazione)

(1) –  Citazione da: «Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. […] È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso ».
È la celebre frase d’apertura de Il Manifesto del Partito Comunista (in tedesco Manifest der Kommunistischen Partei), un saggio del 1848 scritto dai teorici e politici tedeschi Karl Marx e Friedrich Engels. Da allora è stato riconosciuto come uno degli scritti politici più influenti al mondo. Commissionato dalla Lega dei Comunisti, espone gli scopi e il programma della Lega. Il saggio presenta un approccio analitico alla lotta di classe (storica e presente) e ai problemi del capitalismo, piuttosto che una previsione delle potenziali forme future del comunismo [fonte: Wikipedia].

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