di Sandro Russo
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Rose is a rose, is a rose, is a rose
(Geltrud Stein)
Da un pezzo sono fiorite le rose, mai tante e belle come quest’anno, sarà stato il tempo o quel po’ di pioggia, più degli altri anni.
Le mie rose di Santa Rita, con sfondo casale
Ros’e notte (con la luna piena di maggio)
La stessa cascata di rose, di giorno. Sulla destra, Lagerstroëmia indica (fiorirà in piena estate). Notare come (stesso cellulare per fare le foto) cambia la tonalità di colore: questa sopra è una foto pomeridiana, le altre sono fatte di mattina
Rose con palo dell’alta tensione. Sfondo: alla sin. del palo, Jacaranda; alla dx banano e Lagerstroëmia
Rose di Santa Rita in piena fioritura (ravvicinate)
Alla ricerca del nome
Trovo del genio pratico (nazional-popolare) nell’uso ponzese (ma credo anche napoletano e ischitano) di dare ai fiori il nome dei santi del periodo in cui fioriscono. Ci si può sbizzarrire sul sito a cercare (nell’indice) le descrizioni dei “Garofani di San Silverio”, dei “Gigli di Santa Candida”, dei “Gigli di Sant’Antonio”, ecc…
Per le rose questa nomenclatura è particolarmente utile perché sono un fiore antichissimo.
Le rose sono presenti sulla Terra da molto tempo prima che arrivasse l’uomo: i fossili trovati dagli archeologi risalgono a più di 4 milioni di anni fa. Storicamente sono state sempre apprezzate e coltivate e ne troviamo traccia nell’antica Babilonia, in Cina (già nel 500 a.C.) e naturalmente nella cultura greca e romana. Con la nascita della botanica, nel Settecento, sono state identificate le “rose botaniche”, cioè quelle che ci ha donato la natura e sono le “capostipiti” di tutte le rose che oggi conosciamo, e si è sviluppata la produzione di moltissimi ibridi. Esemplari creati con l’intervento dell’uomo per raggiungere molteplici obiettivi: per esempio varietà più resistenti al freddo, con fiori con più petali, più profumate o, banalmente, di tanti colori differenti.
Oggi definiamo con il termine “Rose antiche” le varietà sviluppate prima del 1900; mentre quelle ibridate in seguito vengono chiamate “Rose moderne”.
Le rose antiche si contraddistinguono per i fiori molto appariscenti, ricchi di petali e profumatissimi, che vengono prodotti in abbondanza una sola volta l’anno, in maggio-giugno. Queste varietà, infatti, non hanno la capacità di rifiorire in estate-autunno. Spesso però producono bacche di forma e colore interessante, che perdurano per tutto l’inverno. Oltre alle varietà create dall’uomo, il gruppo comprende naturalmente anche le rose botaniche (da: https://www.capoverde.com/fiori-piante/impariamo-conoscere-coltivare-le-rose-antiche/).
La tipizzazione della nostra rosa non è stata facile, e forse neanche conclusiva; vero che questa “Dorothy Perkins” – nunn’è nu nomme punzese… arradda esse d’i Fforne! – somiglia molto, ma qualcosa non torna, perché la rosa di Santa Rita non è certo rampicante (ovvero non ha mezzi propri per arrampicarsi o auto-sostenersi, tipo radichette avventizie come la bignonia, viticci o filamenti come la vite, propensione all’avvolgimento, come i kiwi), anzi si appoggia dove capita (di dice portamento ‘prostrato’).
È evidente quindi il vantaggio del nome ponzese, anche se di rose di Santa Rita c’è solo questa: tutte le altre sono “rose” (!)
La seconda domanda “che sorge spontanea” è: perché Santa Rita?
E qui devo spiegare che il quesito non che che venga proprio spontaneo a tutti, ma a me sì, per aver avuto due zie ponzesi, zia Olga e zia Rosaria, molto pie (mentre la sorella, mia madre, non lo era per niente) che mi hanno cresciuto a storie (sempre edificanti, a volte crudeli) di Santi e Madonne. L’ imprinting è rimasto, e anche se ero violentemente insofferente al loro indottrinamento ai loro insegnamenti, arrivato a quest’età la curiosità c’è ancora. Eccomi quindi a cercare e a render conto della vita di Santa Rita, una delle sante italiane più venerate e esportate nel mondo: “la santa dell’impossibile”, che riesce a fare miracoli in situazioni in cui tutti gli altri (santi) si sono arresi (…n-y-a pozzo fa’!).
Estátua de Santa Rita de Cássia – O maior monumento católico do mundo – Santa Cruz (RN) – Brasile
È alta 56 metri, 18 in più del Cristo redentore del Corcovado di Rio de Janeiro, che in precedenza deteneva il record d’altezza. A Santa Cruz si organizza il 22 maggio una grande festa dedicata alla Santa. Ad essa partecipano circa 60 000 persone provenienti da ogni angolo del Brasile.
Ed ecco qui, molto in sintesi.
Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti (Roccaporena, 1381 – Cascia, 22 maggio 1457), è stata una religiosa italiana del monastero eremitano di Santa Maria Maddalena. Beatificata da papa Urbano VIII nel 1626, è stata canonizzata da papa Leone XIII nel 1900.
Il luogo di nascita è concorde per Roccaporena, una frazione montagnosa a circa cinque chilometri da Cascia (provincia di Perugia), all’epoca uno dei castelli ghibellini facenti parte del contado del comune di Cascia. Le date di nascita e morte sono incerte
Andò in sposa… e ebbe due figli (forse gemelli); il marito morì durante una delle faide, comuni all’epoca, tra guelfi e ghibellini. La donna cercò di mettere pace e persuadere amici e parenti a non cercare una vendetta. I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente. Si dice che la Santa avesse pregato Dio per la morte dei suoi figli così che non avessero a sporcarsi le mani del sangue degli assassini del padre.
Abbandonata anche dai parenti del marito, Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena, a Cascia.
Dicono le cronache che la badessa del monastero mise a dura prova la vocazione e l’obbedienza di Rita, facendole annaffiare un arbusto di vite secco, presente nel chiostro del monastero. Il legno, dopo un po’ di tempo, riprese vita e dette frutto. Nello stesso chiostro, oggi, è presente una vite risalente al XIX secolo.
Durante i quarant’anni di vita monacale, Rita non solo si dedicò alla preghiera, a penitenze e a digiuni nel monastero, ma uscì spesso per andare in servizio a poveri e ammalati di Cascia.
Secondo la tradizione, la sera del Venerdì Santo 18 aprile 1432, ritiratasi in preghiera per la Passione di Gesù, avrebbe ricevuto una spina dalla corona del Crocifisso, che le si sarebbe conficcata in fronte. Questo episodio avvenne 14 anni prima della morte. In effetti le ricognizioni autoptiche effettuate (nel 1972 e nel 1977) sulle spoglie della santa, riscontrarono un focolaio di osteomielite a carico dell’osso frontale, a sinistra.
Rita rimase malata a letto per molto tempo. Secondo la tradizione devozionale seicentesca, nell’inverno prima di morire Rita mandò sua cugina a prendere una rosa e due fichi nel suo orto a Roccaporena. La cugina, incredula, pensava che delirasse, ma effettivamente trovò tra la neve la rosa rossa e i fichi richiesti, segni interpretati come la salvezza e il candore dell’anima di suo marito e dei suoi figli. Inoltre, la tradizione seicentesca lega strettamente Rita alle api, e dice che come apparvero api bianche sulla sua culla, così apparvero api nere sul suo letto di morte.
Sulla base di questi racconti, le api, le rose e la spina sono diventati gli attributi iconografici più frequenti della Santa.
La monaca agostiniana si spense la notte del 22 maggio 1447 (o, per Papa Leone XIII e per altri, 1457).
Al culto di santa Rita è legato il sacramentale delle rose benedette. Tale devozione è ispirata alla leggenda del roseto del giardino dei suoi genitori fatto miracolosamente fiorire dalla santa d’inverno, nel gennaio 1457, mentre era malata in monastero. Il rito, celebrato il 22 maggio, consiste nella benedizione da parte del sacerdote delle rose presentate dai devoti, i quali portano i fiori benedetti a casa come segno del patrocinio della santa (fonte Wikipedia. Rita da Cascia, ibidem).
Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa!
C’entra poco con Santa Rita, ma molto con le rose, questa frase famosa “Una rosa è una rosa e una rosa…” (di Geltrud Stein), apparentemente semplice su cui si sono fatti fiumi di congetture, tra cui, molto interessanti, quelle di Umberto Eco (santo subito!) che alle rose non è estraneo; ho ripreso appunto nel titolo, quello del suo romanzo più famoso: “Il nome della rosa” (prima edizione Bompiani, 1980).
Rose is a rose is a rose is a rose
Loveliness extreme.
Extra gaiters, Loveliness extreme.
Sweetest ice-cream.
Recitano così, in lingua inglese, alcuni versi di un componimento scritto dalla poetessa statunitense Gertrude Stein (1): la lirica, che si intitola Sacred Emily, scritto nel 1913 e pubblicata nel 1922.
“C’è un eccesso di ridondanza”, osserva Eco nel saggio La struttura assente (La Nave di Teseo), e “la ridondanza genera tensione”, stimolando la nostra curiosità e attenzione.
“Che cosa capisco io di quello che mi sta dicendo Stein? Lei dice soltanto ‘rosa’, e mi lascia libero di riempire quella parola dei significati che più mi appartengono e sento vicini. Chiama in causa letture, sentimenti, congetture. Chiama in causa me” -, prosegue Eco, proponendoci un’interessante chiave di lettura per penetrare il verso di Stein.
Dopo aver sottolineato il principio di identità per cui una rosa è uguale a una rosa, ovvero a sé stessa, la poetessa prosegue non a caso ripetendo che una rosa è una rosa, come se stavolta si stesse riferendo a un’altra rosa, una diversa rispetto alla prima che ci aveva proposto.
La teoria più accreditata, tanto da parte di Eco quanto da parte della critica letteraria, è pertanto che – usando la figura retorica della ripetizione – Gertrude Stein voglia richiamare alla nostra mente le tante accezioni di rosa, con tutte le connotazioni che da secoli portano con sé: “La prima rosa è una rosa, la seconda forse è già l’amore… e la terza? (tenete poi conto che, nella poesia, si nomina a un certo punto un certo Jack Rose…)”. (fonte: https://www.illibraio.it/news/grammatica/una-rosa-e-una-rosa-e-una-rosa-1446693/).
Dire rosa, come d’altronde avremo ormai intuito, può sembrare giusto un modo per nominare un fiore di quattro lettere, ma la verità è che pronunciare questa parola, evocandone il suono e i valori, genera in noi numerose associazioni di idee, che si susseguono in maniera automatica, quasi inconscia, come se fossero seguite l’una dopo l’altra solo da una virgola, trasportandoci in un mondo fatto di echi, di suggestioni, di immagini:
Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa…
Nota
(*) – Gertrude Stein (Allegheny, 3 febbraio 1874 – Neuilly-sur-Seine, 27 luglio 1946) è stata una scrittrice e poetessa statunitense.
Gertrude Stein, fotografata da Carl Van Vechten nel 1935 (da Wikipedia)
Con la sua attività e la sua opera diede un impulso rilevante allo sviluppo dell’arte moderna e della letteratura modernista. Trascorse la maggior parte della sua vita in Francia. Il suo salotto parigino fu un cenacolo importante di molti artisti dell’epoca, tra cui Pablo Picasso (che le dedicò un famoso ritratto (preferiamo non mostrarlo: leggi qui), Henry Matisse, Luis Buñuel, Ezra Pound, Ernest Hemingway. Apertamente lesbica, la sua relazione more uxorio con Alice Toklas è una delle più celebri della storia LGBT. E’ sepolta a Parigi, nel cimitero di Père Lachaise.
Al suo libro più famoso L’autobiografia di Alice B. Toklas (Einaudi, 1972), è in larga parte ispirato il film di Woody Allen, Midnight in Paris (2o11).
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Appendice del 31 maggio 2024 (cfr. Commento di Biagio Vitiello)
L’arbusto delle rose bianche, sfondo rada
La screziatura non è evidente in questa foto, presa in avanzata fase di fioritura; è presente nei boccioli che poco dopo la perdono
Biagio Vitiello
1 Giugno 2024 at 05:41
Anche io ho delle rose particolari da mostrare: le rose di nonna Misuraca (la mamma di mio padre, nata nel 1874). Sono profumatissime, di colore bianco screziate di rosso e molto spinose; il loro profumo, con il vento a favore, lo senti anche a 50 metri di distanza.
Dai petali mia moglie fa una profumata e soave marmellata, mentre dalla capsula dei semi un ottimo tè. La pianta ha oltre un secolo.
Nelle foto la screziatura non si vede, perché la fioritura attualmente è in fase avanzata; lo screziato appare sui boccioli ma lo perdono poco dopo.
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Le foto sono state aggiunte in coda all’articolo di base, a cura della redazione