di Francesco De Luca
A Ponza si può essere considerati omme ‘i terra (uomo di terra) oppure omme ‘i mare (uomo di mare). Le due definizioni si attagliano alla tipologia dei Ponzesi. La cui società originaria, quella costituita forzatamente dai Borbone, nacque come compagine agricola, assoggettata a trarre dall’arido terreno isolano la sussistenza. E poi, gradatamente espansa al mare, alla pesca, alla navigazione.
La qual cosa debordò ampiamente talché gli isolani, e i Ponzesi, sono riconosciuti come uomini avvinti al mare, al suo travaglio e alle sue ricchezze.
Ho detto ‘isolani’ per intendere che l’intera società ponzese può essere riconosciuta come dipendente dalle possibilità che il mare offre e che impone, in quanto a organizzazione familiare, a competenze, a ritmi stagionali di impegno civico, a residenze e ad assenze.
Epperò, nonostante lo straripante peso che la vita del mare ha avuto, ed ha, nella comunità ponzese, l’eredità campagnola non si è persa del tutto, e ancora permangono, in taluni soggetti e presso poche famiglie, la natura ‘agricola’ e la collocazione campagnola. Per cui ci sono ancora ‘uomini di terra’ ovvero quelli che nel lavoro della campagna hanno riposto la loro vita. Sono rimasti in pochissimi.
Uno di questi era Pasquale Mazzella (Pascale Bu’), morto anni fa.
Lo nomino perché è venuta meno in questi giorni la moglie e, per l’occasione, è tornato sull’isola il figlio Giovanni. Vive e lavora a Parigi.
Ci siamo intrattenuti insieme nei ricordi.
Pasquale, il padre, era un ‘uomo di terra’. Per la sua campagna, ma anche per quella altrui, che zappava su ordinazione.
Silenziosissimo (anche per problemi all’udito), scrupolosissimo, amabilissimo. Era abile anche nell’elevare i muri a secco (i parracine), trascinati via dall’incuria e dal lavo.
Abilità manuale e ricchezza d’animo: due caratteristiche dei miei compaesani.
Pascale Bu’ era il soprannome che lo identificava.
Un uomo a cui dedicai questa ode:
Ode a Pasquale Mazzella
Hai monumenti ovunque
uomo di terra
che la montagna non scora e l’impalare non piega.
I solchi e i muri
alzati a braccia
gareggiano col creatore
impietoso verso il lavoro che cuoce la mente.
Concime dei potenti,
hai speso la vita a guadagnarti il nascere,
ogni giorno obbedendo al richiamo del giorno.
Sta’ certo: non ti consumerà.
Le tue orme resisteranno,
pelle aggrinzita ai raggi del tempo,
fede nella posterità.
(Come l’agave – Ponza 1982)
Biagio Vitiello
26 Aprile 2024 at 06:41
Penso che sia incompleta la definizione che dà Francesco De Luca della comunità isolana dei primordi della colonizzazione come prettamente agricola, perché non tiene conto della seconda colonizzazione, del 1772, compiuta da famiglie provenienti da Torre del Greco, che erano gente di mare. Torre del Greco aveva la flotta di navi da pesca più grande del regno borbonico, se non la più grande d’Italia. Se i ponzesi sono stati capaci di navigare il Mediterraneo, è perché avevano le conoscenze dei loro avi torresi. A La Galite, prima che nascesse la comunità ponzese, i torresi andavano da tempo a pesca di corallo e di aragoste.
La differenza tra torresi ed ex-torresi (quelli che si trasferirono a Ponza), è che i secondi non avevano una grande cantieristica, né le possibilità economiche, per cui con barche di max 8-10 m. dovevano costeggiare l’Italia. Poi le cose cambiarono e sviluppandosi a Ponza una florida economia, alcuni ponzesi diventarono armatori. Tra questi, penso il primo armatore, sia stato il mio bisnonno: Salvatore Misuraca, il padre della mamma di mio padre, che con i suoi bastimenti commerciava dalla Sardegna a Napoli, facendo scalo a Ponza.
Conservo tra i più preziosi cimeli di famiglia la polena del suo ultimo veliero: il San Filippo.
Leggi qui: https://www.ponzaracconta.it/2015/08/07/da-fuori-a-ponza-a-cercar-fortuna/