Defunti

Il mio pensiero per Rita che non c’è più

di Luisa Guarino 

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Se n’è andata in silenzio e forse non avrebbe voluto che si parlasse di lei. Però Rita non poteva pensare che nessuno la ricordasse, non io almeno: ma mi voleva molto bene, e certamente mi perdonerà.
La conoscevo da una vita, da quando sono andata a vivere alla Dragonara, a inizio anni ’70, e la sua famiglia era già lì: non ricordo la mamma, ma il padre sì, e poi il fratello Silverio, e la sorella Civita con cui viveva in simbiosi, finché non se n’è andata anche lei. Aveva mille attenzioni per me: era sempre lì sulla porta pronta a offrirmi il caffè ogni volta che arrivavo a Ponza, appena scesa dal taxi, accaldata e piena di valigie e borse. Mi chiedeva subito dei miei: mio marito, mio figlio Flavio che conosceva da piccolissimo, e più di recente anche di mio nipote Francesco, cui aveva regalato un completino di lana fatto a mano, senza averlo mai conosciuto. Mi diceva: hai la faccia stanca, ma ora qui ti potrai riposare un po’.
Ogni occasione era buona per portarmi cose buone da mangiare, prodotti genuini della terra ponzese: fave, more, fichi, cetrioli, pomodori, fichi d’India.
Io ricambiavo a modo mio, offrendole giornali e riviste: ma negli ultimi anni non ci vedeva più bene. E negli ultimi anni aveva anche dovuto lasciare la vecchia casa per trasferirsi a Sant’Antonio, in un appartamento sopra la farmacia: stava in pieno centro, con tutti i negozi vicini, la gente intorno e il mare davanti agli occhi. Glielo dicevo ogni volta che andavo a trovarla: beata te, con questo panorama! Ma Rita era sempre piena di nostalgia per quella casetta della Dragonara, dove secondo lei passavano tutti e c’era sempre movimento, a ogni ora del giorno.
Chiudeva per tempo la porta d’ingresso però: andava a letto presto e dormiva bene. Per questo forse Sant’Antonio non le si confaceva granché. Ogni tanto ci sentivamo per telefono, anche se non era facile che rispondesse: con il passare degli anni ci sentiva poco.

L’ultima foto che ho di lei gliel’ho fatta a San Silverio 2022, davanti al muretto del Monte dei Paschi, mentre aspettavamo il passaggio della processione: accanto a noi c’erano anche Mariano e Gigliola. Era elegante come sempre, cappello e ventaglio come accessori irrinunciabili; del resto anche quando andava a Messa, sempre di pomeriggio, ultimi banchi a destra vicino alla scala d’ingresso, non aveva mai un capello fuori posto, impeccabile nella scelta di abiti e colori.


E a questo proposito ricordo delle sue belle foto scattate da Rita Bosso, un pomeriggio sulla scalinata esterna della chiesa, in cui Rita indossava un bell’abito color Tiffany. Ecco, anche a Rita Bosso lei era molto affezionata, e viceversa: e in un suo prossimo libro, chissà, l’amica scrittrice potrebbe ispirarsi a lei per uno dei suoi personaggi.

Rita Morrone in una mise elegante, Tiffany, ad un matrimonio di vari anni fa

Tornando al San Silverio di due anni fa, qualche giorno dopo, andando a salutarla a casa mi ha fatto trovare una sorpresa: un libro per il mio onomastico (San Luigi) appena trascorso. Sicuramente si sarà consultata con Ricciolino, perché era un libro uscito da poco, di richiamo, e anche bello: un giallo un po’ particolare di un autore italiano, proprio come piace a me, e ideale per una lettura estiva. Mi ha sorpreso davvero Rita, quel giorno.
Ora, anche se ci vedevamo poco, è difficile pensare che non c’è più, non alzare gli occhi su quel terrazzino per controllare se le imposte sono chiuse o aperte.
Per Pasqua non ho neanche provato a chiamarla, chissà perché, e questo mi resterà come un ulteriore vuoto, fra rimpianto e rimorso. Ma forse era già l’inizio dell’addio.

 

 

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