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Non è un commento, ma il riferimento è all’articolo di Bixio pubblicato qualche ora fa, “Contro la scrittura“: un’esternazione ‘a caldo’ si può dire.
Caro Bixio,
sono uno di quelli che scrivono parecchio. Lo faccio perché mi piace scrivere da sempre ma non mi arrischio a dire quella frase mortale: «…perché ho delle cose da dire!». Per carità! Sono pochi, pochissimi, i maestri, spesso inconsapevoli; il resto siamo presuntuosi consumatori di carta e d’inchiostro (o di tastiera).
Eppure ho imparato che se c’è da una parte il bisogno di scrivere è probabile che ci sia da qualche altra parte il bisogno di leggere; da una parte il bisogno di esternare cose che ribollono dentro e altrove il bisogno di trovare parole scritte da altri, capaci di dare risposte ad urgenze che premono dentro.
Anche semplici, se vuoi, le parole, intendo; ché, anzi, più semplici sono e più efficaci possono essere.
Un’opinione banale, un’informazione, l’aggancio per un ricordo, una parola dimenticata, un verso imparato da bambino, a scuola, l’involontario riemergere di un volto… tante di quelle cose che non si possono mettere in pentola o che, anche assommandole, non si possono portare in esattoria per pagare la rata scaduta.
Ma a volte poche parole, una dietro l’altra, servono a superare l’erta di un dolore per una perdita o per una sconfitta, una delle tante che nella vita accumuliamo senza pietà; una dietro l’altra in un ordine casuale permettono a volte a qualcuno di continuare con un filo di speranza il complicato cammino della vita. Complicato, duro, controverso, contraddittorio, spesso sentito come inutile…
Io sono morto molte volte e molte volte sono rinato perché in una pagina ho letto le parole di cui avevo bisogno, sono morto e sono risorto per il verso di una poesia. Molte volte ho ricacciato indietro la paura di scomparire per sempre, di non esserci… e l’ho fatto, non rifiutando il pensiero opprimente, ma rileggendo parole scritte da narratori e poeti, da scrittrici e poetesse, che servono proprio a questo, lenire il dolore di vivere, ridare un barlume di luce, mostrare una via possibile, sfiorare una gota indurita con una carezza lievissima, permettere ad una lacrima salvifica di scorrere su una guancia asciutta da troppo tempo.
Un libro, una poesia non ci permettono di migliorare concretamente la nostra vita, ma ci permettono di affrontarla con maggiore consapevolezza, con maggiore senso di responsabilità, con il necessario coraggio che solo il sapere di essere in tanti e di esserlo stati per tempo immemorabile e per esserci ancora, tutt’insieme per tempi imperscrutabili.
Leggere ci rende fratelli, sorelle, padri, madri, figli, amanti, ci rende ‘meglio’ ciò che già siamo e ci rende consapevolmente altro da ciò che siamo; ci trasforma e ci mostra ciò che altri sono o fanno, diversamente perché diversi, ma nella sostanza simili a noi, da impressionarci, tanto da confonderci e legare le nostre vite a quelle dei personaggi.
Riviviamo nelle pagine dei nostri libri mille altre esistenze, e nel riviverle ci rendiamo consapevoli che le nostre esclusività di fatto sono patrimonio di tutti, con lievi sostanziali sfumature.
Chi legge non è mai solo, chi scrive lo fa anche per trovare compagne e compagni che condividano il cammino, condividano scelte o le contraddicano, se vogliono, dandoci soluzioni diverse. I libri giusti non danno risposte, ma ci insegnano a cercarle meglio e qualche volta, anche a trovarle.
Poi, è vero, la società dei consumi ha ingigantito il fenomeno della scrittura, ma lo ha fatto con ogni merce, dai beni necessari a quelli assolutamente voluttuari: ci vengono somministrati farmaci che non servono (ma quelli che servono li troviamo e ci permettono di sopravvivere, vivere meglio e più a lungo); altri prodotti soddisfano bisogni che non avevamo e non avremmo mai avuto se non fossero stati realizzati soltanto per rispondere a bisogni provocati.
Le stesse storture sono presenti nel mondo della produzione dei libri. Il concetto è semplice: aumentano gli editori, aumenta la concorrenza, deve aumentare la produzione, ma una scrittrice, uno scrittore non si costruisce e allora con pazienza e con i soldi si insegna a scrivere, si aggiusta il prodotto a misura del mercato e bastano poche centinaia di copie moltiplicate per il maggior numero di “scrittori e scrittrici” per tenere su il bilancio della ditta.
In molti sentono la necessità di scrivere, e in tanti il desiderio di essere letti, ma non tutti riescono a scrivere come e cosa il pubblico dei consumatori vorrebbe ed allora si ricorre alla produzione diretta di qualche centinaio di libri, che si presentano in uno o due librerie e poi si regalano ai parenti e agli amici, qualche volta per vanità: un quarto d’ora di notorietà non si rifiuta a nessuno. Qualche volta è il bisogno di misurarsi con sé stessi: dimostrarsi che si è capaci di farlo, senza bisogno di diventare famosi nel mondo, basta esserlo per qualche momento nel proprio cerchio di conoscenze e di amicizie.
Non so se i libri salveranno il mondo, ma certamente senza di loro il sapere, l’ansia di conoscere, il dolore e la felicità degli altri non si sarebbero potuti conoscere; senza libri conosceremmo a stento qualcosa di noi stessi e dei pochi esemplari umani della nostra tribù.
Potrei continuare a scrivere per ore, raccontando le mie esperienze di scrittura e le mie esperienze di lettore… di ogni cosa, dai fumetti alle lettere ai giornali; dalle pecette delle bottiglie di acqua minerale alle enciclopedie ed ai vocabolari; dai libri di lettura delle elementari, che mi piace ancor oggi sfogliare ogni tanto. Libri che non riesco a perforare perché non mi sono impegnato abbastanza… ma che avrei potuto, se avessi studiato di più, se non avessi rinunciato, in qualche periodo della vita, a trovare le ragioni di essa anche nei libri, perseverando invece, in percorsi più ardui e, in ultima analisi, meno efficaci.
Basta così, dunque anche perché mi accorgo di aver scritto più a me stesso, che risposto ai tuoi “appelli” di dolore (o indignazione, che ne è una forma sempre più diffusa e sempre meno curabile). Se desideri continuare, chiedi a Sandro Russo di metterti in contatto con me, sarà un piacere continuare, confrontarmi, bisticciare, aprire processi dialettici, per iscritto e a voce… Altrimenti che ci stiamo a fare? Grazie.
Tano
P.S. – Fra i miei 3952 libri ho anche un’importante collezione di libri di cucina. Anche buttando al macero tutto il resto, questi mi basterebbero a rendere migliore la mia vita.
Gabriella Nardacci
20 Aprile 2024 at 13:20
Negli scritti di Tano ritrovo sempre un comune sentire.
Tra le tante lettere che ho scritto e che vorrei scrivere, ce n’è una dedicata alla scrittura che ho lasciato per ultima, ma a cui penso sempre. A chi rivolgermi? Come motivarla? Quale grado di importanza dare alla scrittura senza mortificare altre forme di arte o creatività o introspezione o altro che ci aiutano (forse) a sentirci meno soli? E’ una materia delicata e non si sa mai come potrebbe arrivare al lettore. Occorre soppesare le parole per dare ai concetti che si esprimono scrivendo, una forma che oltre a prevedere un contenuto, sia però anche priva di presunzione. Sì, perché non tutti riescono a scrivere certi concetti con umiltà e non tutti sono “grandi” a tal punto da potersi permettere il lusso di essere così presuntuosi da sfiorare il limite della sopportazione.
Tano è riuscito a scrivere una lettera bellissima e mi ha dato modo di riflettere e condividere ogni suo pensiero.
Ecco, davvero… avrei voluto scrivere una lettera così!
Lorenza Del Tosto
20 Aprile 2024 at 16:38
Grazie Tano, di questa bellissima lettera di cui mi ha sorpreso, molto apprezzandola, la pacatezza oltre alla solita brillante lucidità che ti caratterizza. Mi capita di pensare, a volte, che arriviamo ad essere pacati nell’espressione delle nostre passioni, solo quando queste sono state a lungo vissute, scandagliate, magari anche respinte e accantonate, e alla fine sono ancora lì immutate e fedeli compagne di vita.