segnalato dalla Redazione
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Onna. Giustino Parisse davanti alla casa dove morirono nel 2009 i suoi due figli: è ancora un cumulo di macerie (foto da la Repubblica)
La lettera ai figli morti sotto le macerie
Cari Maria Paola e Domenico quindici anni dopo il sisma la nostra casa ancora non c’è
di Giustino Parisse
Nonostante gli sforzi che faccio, l’ombra del senso di colpa mi insegue ovunque Resta l’amore spezzato
Ciao ragazzi. Eccomi di nuovo qui. Sono passati 15 anni da quella notte che per voi non è mai finita. Vergare questa lettera ogni 12 mesi è diventata una fatica.
Rammendare su un foglio bianco i fili dei ricordi e tornare a legare il dolore al grande vuoto che ci avete lasciato è arduo. Anche questa volta però non voglio arrendermi e provo a raccontarvi l’anno che abbiamo alle spalle. Fra poco più di un mese tu, Maria Paola, avresti compiuto 31 anni e tu, Domenico, all’inizio di agosto, 33. Non riesco nemmeno immaginare come potrebbe essere la nostra vita se voi foste ancora qui. L’altra sera insieme a mamma Dina, con un velo di malinconia, ci siamo detti che in questa tarda stagione della nostra vita avremmo sognato di passare tanto tempo a baloccarci con i nipotini. Portarli a spasso in carrozzina, cullarli per farli dormire, spazientirsi quando avrebbero fatto i capricci, preparare pranzi e cene per stare insieme come una grande famiglia. Ma ormai ci è vietato persino sognare. Quello che ci resta sono i vostri sguardi e i vostri sorrisi filtrati da 15 anni di rabbia, amarezza, nostalgia, sofferenza, notti tormentate e giorni che non fanno sconti. La vita continua fra mille incognite, bollette da pagare, inciampi a ogni angolo, salute che traballa e che ci ricorda che siamo ormai nelle ore del tramonto.
Quest’anno posso dirvi che finalmente è iniziata la ricostruzione della nostra casa fra via Oppieti e via dei Calzolai. Ma c’è poco da festeggiare. Ci vorranno quasi tre anni per i lavori. Se tutto va bene la riavremo a 20 anni da quei 20-30 secondi che l’hanno distrutta facendone la vostra tomba. Vi risparmio i dettagli di come si è giunti all’avvio del cantiere.
Modello L’Aquila, ricostruzione etica, rinascita sociale. Frasi e parole buone per i convegni. La realtà è ben diversa. La nostra (vostra) biblioteca-archivio tornerà in via Oppieti e sarà scrigno di memorie vecchie e recenti. Oggi a Onna si vedono case ricostruite, macerie, qualche cantiere aperto, altri aggregati in attesa. Ci vorrà tempo per vedere la fine della ricostruzione privata.
La situazione è invece all’anno zero per quanto riguarda gli spazi pubblici e i sottoservizi. Strade, piazze, pavimentazione, slarghi, illuminazione, arredo urbano, verde attrezzato, numeri civici: tutto di là da venire. Per ora sappiamo che le vie man mano che sarà necessario saranno asfaltate (nero vivace) e così resteranno per generazioni fra una toppa e l’altra da mettere all’occorrenza. L’illuminazione sarà casuale: una lampadina dove serve e via. I sottoservizi saranno un rattoppo continuo. Le piazze, così come il selciato delle strade, saranno un antico ricordo. Il numero civico ognuno se lo andrà a comprare al centro commerciale più vicino.
Pessimismo? Sì. Io continuo vedere il mondo da sotto le macerie, un mondo che sembra ormai impazzito e nel quale persino parlare di guerra atomica non è più un tabù.
Ragazzi, i vostri amici, come vi ho sempre scritto in questi anni, in compenso non vi hanno dimenticato.
Cara Maria Paola, la tua amica Paola continua a portarti lettere nella cappellina del cimitero di Paganica. Nell’ultima ha scritto: “Sarai sempre la quindicenne con cui ridevo, parlavo dei primi amori, dei compiti in classe, delle nostre vite che ci sembravano cose impossibili e complicate. Ti ricorderò sempre con il sorriso”.
Frugando fra le montagne di carte che mi circondano ho trovato un tema che tu, Domenico, avevi scritto quando frequentavi la scuola media. Il tema era sulla tua famiglia e in un passaggio leggo: “Le sensazioni che provo sono felicità e tanto amore perché io sto bene con i miei familiari e con gli amici perché mi vogliono bene come io gliene voglio”.
Spero che, dopo ciò che è successo 15 anni fa, tu non abbia cambiato idea. In fondo quella fiducia che avevi in me, io quella notte l’ho tradita. So che ripeto sempre la stessa cosa ma nonostante gli sforzi che faccio l’ombra del senso di colpa mi insegue ovunque. Resta la vostra memoria.
L’amore spezzato. Il pianto dolce che nasce da una complice tenerezza. Ciao ragazzi. Ci sentiamo fra un anno. Se Dio vorrà.
Mamma e papà
L’AQUILA. IL REPORTAGE
La generazione terremoto dalle elementari al liceo senza una scuola vera
dall’inviato di Repubblica Giampaolo Visetti
L’istruzione è il buco nero del miracolo edilizio: le scuole ricostruite sono solo due. Tutte le altre restano in periferici edifici provvisori. Sono stati persi 15mila abitanti, la gente ha paura di tornare “La sfida di una vera prevenzione anti-sismica non è stata colta”
L’Aquila. “La mia vita è finita alle 3.32 della notte del 6 aprile 2009. Dopo quei trenta secondi i compagni della mia esistenza sono diventati il senso di colpa, la rabbia e l’amarezza. Non ho protetto la mia famiglia: da allora mi spinge ad andare avanti la speranza non della ricostruzione edilizia, ma della rinascita umana del paese in cui i miei figli non sono potuti crescere».
Quindici anni dopo Giustino Parisse parla davanti ad un buco aperto dentro un vecchio frutteto misto. Attorno al luogo su cui è crollata la cucina della sua casa, nel centro di Onna, si concentra l’eredità del terremoto che ha sconvolto L’Aquila e i 56 Comuni abruzzesi inghiottiti dentro il cratere sismico ai piedi del Gran Sasso: un misto di edifici nuovi, di macerie abbandonate e di cantieri aperti.
La scossa principale, di una magnitudo pari a 5,9 gradi della Scala Richter, ha causato 309 morti, 1.600 feriti e 110 mila sfollati. Negli alloggi temporanei restano 1.200 famiglie.
Giustino Parisse, assieme alla moglie Dina, è stato risparmiato perché aveva diviso le stanze da letto del figlio Domenico e della figlia Maria Paola, ormai adolescenti, cedendo la propria.
Giornalista del Centro, quella notte ha perso anche il papà. «Continuo a lottare — dice — perché penso che se gli altri vedono resistere uno come me, conservano il coraggio di non mollare e di immaginare un futuro insieme».
A L’Aquila il tempo delle polemiche sugli allarmi ignorati e sulla prevedibilità di un terremoto catastrofico annunciato da mesi, dei processi e delle assoluzioni-scandalo, delle denunce e degli arresti per le infiltrazioni mafiose assetate di appalti, delle telefonate tra costruttori che esultavano mentre la terra ancora tremava, si è consumato assieme all’illusione che l’indifferenza della natura potesse riscattare il cuore degli esseri umani.
Dopo quindici anni la Gerusalemme cristiana d’Europa, aspetta ora il Giubileo del 2025 e si prepara ad essere la capitale italiana della cultura nel 2026.
Aggrappata all’Appennino continua però a vivere per e dentro il suo terremoto. Tutto, ogni parola, ogni sguardo, ogni palazzo privato ricostruito, ogni edificio pubblico nascosto dalle impalcature, ogni cumulo di rovine in attesa di un progetto, rinvia al 6 aprile che ha inciso un prima condiviso e non smette di promettere vagamente un dopo soggettivo.
Chi è rimasto assicura di non sentirsi più prigioniero del passato, ma ostaggio di una prospettiva sociale che rimane imprevedibile.
«Il problema — sintetizza il manager Massimo Alesii — è estrarre dal cemento le idee. Le vittime sono volate via, ma dopo quindici anni nemmeno i sopravvissuti tornano. Una città non rinasce se prima non ridefinisce una vocazione».
Dopo il sisma L’Aquila ha perso 15 mila abitanti. L’università contava 18 mila studenti residenti: ne ha conservati meno di un terzo. Per la ricostruzione lo Stato ha investito 22 miliardi: secondo le stime ne mancano da 3 a 8 per la conclusione di tutti gli interventi. Le cifre ufficiali assicurano che l’80% degli edifici privati sono completati. Più indietro ciò che è pubblico: 65% finanziato e 40% ricostruito. Diversi i numeri di sindacati e associazioni. Secondi questi, la ricostruzione privata è ferma al 64%, quella pubblica al 37%. Le pratiche in attesa di ammissione sono 2.323, i cantieri aperti 944: su 23.240 edifici inagibili, solo 11645 sono già stati oggetto di interventi ricostruttivi. «Rimettere in piedi i palazzi del centro storico — dice Vicenzo Vittorini, rappresentante dei famigliari delle vittime — serve molto alla narrazione politica, poco alla comunità. La sfida della sicurezza e di una vera prevenzione anti-sismica non è stata colta. L’impegno a trasmettere sistematicamente la memoria a chi è nato dopo il 2009, nemmeno. Senza scuole, spazi per la cultura e per lo sport, manca l’ossigeno e si resta terremotati per sempre».
L’istruzione è il misterioso buco nero del miracolo edilizio che ha permesso invece di riaprire negozi, bar e ristoranti. Sul territorio aquilano le scuole ricostruite sono solo due. Tutte le altre restano in periferici edifici provvisori: chi ha iniziato la prima elementare nel 2010, lo scorso anno ha finito le superiori senza mai essere entrato in un’aula adeguata, paragonabile a quelle dei coetanei del resto d’Europa. La zavorra della conoscenza negata, frena sia il ritorno delle famiglie nel centro storico dell’Aquila che la voglia di restare dei giovani nei paesi di montagna. «Pur tra mille complessità — dice il sindaco Pierluigi Biondi — la rapidità della nostra ricostruzione rimane un modello. Le scuole non possono tornare dov’erano una volta, strette nei palazzi del centro e a due passi da casa. Per avere istituti moderni serve spazio e tempo: il nostro futuro dipende da formazione, innovazione, cultura e turismo».
Sotto le macerie della casa dello studente, costruita con la sabbia del mare, morirono otto universitari. Non è stata ancora ricostruita, come promesso. Al suo posto, tre palazzine nuove: dai balconi pendono la foto di un ragazzo scomparso, cartelli con le scritte “Affittasi appartamenti” e “Vendesi locali commerciali”.
Tutto a L’Aquila appare oggi in vendita, o in affitto. Il prezzo delle case è crollato da 8 a 2 mila euro al metro quadro. Grazie all’opportunità della “sostituzione edilizia” chi possedeva un immobile qui ha reinvestito altrove.
Il Comune si ritrova proprietario di un patrimonio immobiliare sconfinato: in gran parte è vuoto, non allacciato a energia, acqua e gas, privo di un destino definito. Una simile incertezza induce a esibire avvisi rassicuranti perfino all’ingresso delle vie pedonali: “Attività commerciali aperte”. Bene, ma il resto?
«L’ossessione comunicativa — dice Concetta Trecco, coordinatrice della Casa del volontariato — ha indotto a concentrare ogni risorsa sulla ricostruzione dei palazzi storici. Si è trascurata la necessità di tornare a vivere prima la normalità. La ripartenza sociale si nutre stando insieme e occupandosi degli altri. Noi abbiamo cominciato a guarire dallo shock post-sisma quando da assistiti siamo diventati assistenti, accogliendo 36 migranti negli alloggi da terremotati».
Ognuno concorda sul fatto che “ricostruita L’Aquila restano da ricostruire gli aquilani”. Ridimensionare l’impegno a recuperare il tesoro della sua bellezza, pur al prezzo di una guerra, sarebbe però ingeneroso.
La mattina del 6 aprile 2009 il cuore dell’Abruzzo non c‘era più, mentre oggi oggettivamente è ritornato a battere.
San Pietro in Coppito, la basilica di Santa Maria di Collemaggio, la chiesa delle Anime Sante, palazzo Margherita e palazzo Ardinghelli, la piazza del Duomo e di San Domenico, sono un giacimento d’arte che guarisce le persone. Presto anche il cantiere di Santa Maria Paganica, simbolo della distruzione, partirà.
«Il punto — dice l’architetto Maurizio D’Antonio — è però rispettare la storia di ogni bene. Il teatro non può aspettare: senza giovani la città è destinata a ridursi a un museo senza vita».
Questo è il pensiero anche di chi, baristi, commercianti e ristoratori, ha deciso di riaprire quando ancora il centro era deserto e chiuso. Lo definiscono “un azzardo sentimentale”: è stata però la follia di queste ripartenze a riaccendere un motore che nelle provvisorie “case di Berlusconi”, si è invece spento. A fare la differenza, la profondità delle radici. Grazie a queste nel centro antico la gente impara di nuovo a sorridere e ostinatamente vive: ovunque gru e mostre, inaugurazioni e commemorazioni, progetti meravigliosi anche se si rivelassero soltanto sogni. Così gli alberi sono un’altra volta pieni di fiori, come in quella notte di quindici anni fa: solo quando questa città ricostruirà anche le sue scuole e rimetterà con i fatti la vita dei bambini davanti a tutto il resto, il debito verso 309 vittime di superficialità e sottovalutazione potrà però considerarsi onorato.
[Da la Repubblica di sabato 6 aprile 2024, anniversario dei 15 anni del sisma]
In formato .pdf: Terremoto L’Aquila. 6 aprile 2009. Repubblica 06.04.2024