segnalato dalla Redazione
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Proponiamo un nuovo capitolo della notevole serie di Serenella Iovino – la prima delle schermate dei suoi articoli a fondo pagina – sui grandi personaggi del pensiero ambientalista e animalista.
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Peter Singer: “Fratello non umano io ti salverò”
di Serenella Iovino – Da Robinson, la Repubblica del 14 marzo 2024
Parla il filosofo-influencer che, in cinquant’anni, ha cambiato lo stile di vita di milioni di persone. Il suo saggio sulla liberazione degli animali è ormai un classico, adesso ristampato in una nuova versione. Proponendo un sistema morale che abbraccia tutti i temi di oggi
A maggio l’Università di Princeton lo saluterà con una grande cerimonia pubblica. Ha vinto premi e onorificenze, scritto decine di libri, fondato una ong, The Life You Can Save, e una rivista, il Journal of Controversial Ideas. Ed è vero: le sue idee possono essere controverse, ma è proprio questo che fa di Peter Singer, australiano, classe 1946, uno degli intellettuali più potenti della nostra epoca. Anzi, insieme a Noam Chomsky, è il filosofo-influencer per eccellenza.
Peter Singer infatti ha rivoluzionato il modo in cui vediamo gli altri animali e misuriamo su di loro il nostro agire. È lui che ci ha fatto capire che l’etica non riguarda solo la nostra specie, ma ogni essere capace di provare piacere o dolore, dai primati ai molluschi. E il suo influsso è andato ben oltre la filosofia. Ha parlato alla politica e alla medicina, ha ispirato attivisti, artisti, scrittori, si è attirato elogi e anatemi, ma soprattutto ha cambiato lo stile di vita di milioni di persone.
Peter Singer è nato a Melbourne, in Australia, nel 1946. Professore di Bioetica presso l’Università di Princeton, è considerato tra i più autorevoli filosofi viventi nel campo dell’etica per il lavoro che ha svolto negli ultimi cinquant’anni in favore dei diritti degli animali. Terrà una lectio magistralis dal titolo Animal Liberation. Then and Now nell’Aula Magna dell’Università Statale di Milano il 3 giugno alle ore 16.
Ci è riuscito perché ha avuto la capacità di uscire dalle aule universitarie e mettere in pratica le sue teorie, dando corpo ai concetti e portando l’etica nei macelli, nei laboratori farmaceutici, nei nostri piatti e nei nostri vestiti.
Tutto è cominciato nel 1975 con Liberazione animale, libro che ha canonizzato l’animalismo e attorno al quale è fiorito un sistema morale che abbraccia temi umanissimi: la sofferenza, l’altruismo, la povertà, la politica, la globalizzazione, la spiritualità, la vita, la morte, il diritto di scegliere.
In due lunghe conversazioni abbiamo ragionato con lui di animali, dilemmi, altruismo, letteratura, psicoanalisi, buddismo, e perfino dell’etica (inesistente) di Donald Trump. Il pretesto è stato proprio il suo libro-culto, che si ripropone al pubblico di oggi forte e giovane come non mai. Nuova liberazione animale, edito in Italia dal Saggiatore, è infatti la terza incarnazione di una ricerca che non ha smesso di crescere e di adattarsi al mondo che cambia. Sembra quasi dotato di vita propria, questo libro, sembra un animale.
Glielo diciamo e l’idea gli piace. Anche per lui Animal Liberation è vivo e lotta insieme a noi. L’obiettivo della lotta è sempre lo stesso: lo specismo, quel “razzismo di specie” che mette noi umani al di sopra di tutti gli altri viventi.
Peter Singer, finirà mai lo specismo?
«Potremmo chiederci la stessa cosa del razzismo e del sessismo. Sono stati smascherati molto prima, ma sono ancora qui. Con lo specismo è diverso perché ci costringe a cambiare idea su qualcosa che consumiamo ogni giorno. Fuori dallo specismo gli animali che abbiamo nel piatto ritornano creature con uno status morale, esseri dotati di interessi».
Torna in libreria in edizione aggiornata il libro che Peter Singer pubblicò nel 1975 e che è diventato uno dei saggi più influenti del secondo Novecento: Nuova liberazione animale (il Saggiatore, pagg. 440, euro 25) ha la traduzione di Valeria Lucia Gili e la prefazione di Yuval Noah Harari. Tra le altre opere di Singer edite in Italia dal Saggiatore: Salvare una vita si può (2009) e Come mangiamo (2021) con Jim Mason
Eppure in una società come la nostra alcuni animali sono più amati di molti esseri umani.
«Certo, molti amano i loro animali domestici e spendono per loro migliaia di dollari, ma poi mangiano pollo e maiale. La gente non vuole vedere che non c’è differenza tra il cane che accarezza e il prosciutto che mangia. Anche questo è specismo, perché privilegia alcune specie su altre. Ma quel maiale ha le stesse capacità del cane di fare esperienza del mondo e di essere felice».
Tutti gli animali sono uguali, scrive. Ma dove tiriamo la linea?
«La linea la tiriamo dove finisce la capacità di percepire piacere o dolore. Per mammiferi, uccelli e pesci non ci sono dubbi. Esistono zone grigie: gli insetti, per esempio, e alcuni molluschi, fatta eccezione per cefalopodi come i polpi, che mostrano chiaramente di avere coscienza».
Vedere gli animali nel nostro piatto è facile, molto meno quelli usati per i farmaci. C’è redenzione per i test sugli animali? E per i carnivori?
«Penso che, davanti al rischio di una malattia seria, sia giustificato curarsi con medicine testate su animali. Però occorre tener presente che oggi si potrebbe tranquillamente fare a meno dei test su animali, non solo perché in molti casi sono sostituibili con test in vitro, ma anche perché non sempre sono affidabili. E tanto ci possiamo aspettare anche dall’Intelligenza Artificiale. Non ritengo invece moralmente giustificabili test su animali per cosmetici e prodotti di uso comune. E non credo ci sia redenzione per i carnivori, perché della carne possiamo fare a meno».
Vita umana e vita animale. In casi estremi, che cosa fa la differenza?
«La differenza tra due esseri senzienti la fa il modo in cui hanno esperienza della propria vita. Di fronte ad alternative estreme, come la scelta se salvare un essere umano “normale”, con la capacità di identificarsi nel tempo e fare progetti per il futuro magari per molti anni a venire, o salvare un essere che questa capacità non ce l’abbia e sia solo in grado di vivere nel presente e nell’immediato futuro, ci sono ragioni per salvare il primo».
Ciò apre questioni bioetiche controverse: per esempio la vita di un umano in coma irreversibile per lei non è di principio superiore a quella di un cane o una scimmia.
«Da laico, non sono sostenitore della sacralità della vita. La vita non porta alcun beneficio a una persona in coma irreversibile, perché non può fare esperienza di nulla, mentre un cane o una scimmia possono fare esperienza di molte cose. E se la loro vita ha un bilancio positivo del piacere sul dolore, non è etico farli soffrire o ucciderli. Una vita è degna di essere vissuta quando accoglie più esperienze positive che negative: è sbagliato uccidere un essere che vuole continuare a vivere ed è capace di pensare al proprio futuro».
Ci spiega perché la liberazione animale non è un anti-umanesimo?
«La liberazione è un progetto che coinvolge tutti gli oppressi. Uno dei più grandi attivisti per i diritti animali, Henry Spira, per tutta la vita ha lottato per i diritti degli ultimi: i neri nel Sud degli Stati Uniti, i contadini a Cuba prima della rivoluzione, i lavoratori sfruttati. Poi, anche grazie al mio libro, si è accorto che gli ultimi degli ultimi erano gli animali. Da qui è partita la sua campagna contro i test sui cosmetici che ha condotto alla loro limitazione negli Usa e quindi in Europa. Ma i diritti umani e quelli animali non sono per forza in conflitto».
Perché abbiamo così tanta difficoltà a vedere le vittime?
«È sgradevole vedere le vittime, specie quando sono causate dalle nostre azioni. Nel caso degli animali, creiamo un mercato sulla loro sofferenza e questo ci consente di evitare di guardarli come individui. In più, vederli come vittime ci costringerebbe ad ammettere di essere complici nella loro oppressione».
E le vittime umane?
«Non è che non le vediamo, ma certo siamo più attenti a chi ci è vicino invece che a persone lontane. Perciò spesso ci sembra che basti firmare una petizione o fare una donazione. Non guasta, ma dovremmo coltivare in maniera produttiva il nostro altruismo».
È il suo tema dell’“altruismo efficace”. Ne parla anche in “La cosa migliore che tu puoi fare”. Ce lo spiega?
«Penso che ci siano impulsi altruistici in tutti noi. Spesso però sono limitati a persone care e a contesti prossimi a noi. L’altruismo efficace prova a estendere questi impulsi verso un obiettivo universale, riconoscendo gli interessi di ogni persona ed essere senziente. Quest’approccio ci spinge a pensare in modo più ampio, a guardare oltre l’immediato. Ma l’altruismo è efficace anche quando utilizziamo le nostre risorse — denaro, tempo, competenze — in modo che producano davvero tutto il bene possibile. La scelta di come e dove donare può fare una grande differenza, poiché alcune organizzazioni sono molto più incisive di altre».
E come ci si orienta, quando i social media ci tempestano di annunci e petizioni?
«Scegliere tra i diversi enti benefici può essere complicato, ma se l’obiettivo è soccorrere persone in povertà estrema o ridurre la sofferenza degli animali, organismi di valutazione indipendenti come The Life You Can Save, GiveWell e Animal Charity Evaluators ci facilitano il lavoro. Certo, non ci diranno quale petizione firmare. Io stesso ne firmo alcune, ma è difficile capire che impatto avranno».
Torniamo agli animali, letteralmente. Perché ci si dimentica che “animale” viene da “anima”? Che cos’è l’anima secondo lei?
«È il vecchio problema del dualismo cartesiano. Da un lato il corpo, la materia, dall’altro la mente, l’anima. Gli animali in questo schema sono macchine, l’essere umano invece è libero e dotato di anima. Da ateo posso dire che se gli animali sono macchine, anche gli umani lo sono. Anche noi, come loro, abbiamo una corporeità che vive di stimoli e facoltà cognitive, emotive, affettive. Quindi, o siamo tutti macchine o nessuno lo è. Non credo che esista un’anima, ma non per questo credo che gli animali o gli esseri umani siano semplici macchine».
Lei è ateo, ma la spiritualità le interessa. Uno dei suoi ultimi libri, “The Buddhist and the Ethicist”, è un dialogo con una monaca buddista, la filosofa Shih Chao-Hwei.
«L’ho conosciuta a un convegno a Taiwan. Mi ha colpito il suo discorso sulla compassione per tutti gli esseri senzienti e ci siamo ritrovati in consonanza. La sofferenza è ovunque e si può cercare di ridurla aiutando gli altri. Questo per i buddisti è una via verso l’illuminazione e il nirvana: non una fuga dal mondo, al contrario. Ho capito allora che il buddismo è molto vicino alla mia etica. Soprattutto perché non ti impone credenze o dogmi, neanche la fede in un creatore. Io ad esempio trovo difficile accettare la reincarnazione, e Shih ammette che non ci sono prove scientifiche».
Parlando di carne: cambierebbe qualcosa se vedessimo noi stessi come prede?
«In un libro che ho curato con Tom Regan negli anni Ottanta, Diritti animali, obblighi umani, c’è un racconto di uno scrittore inglese, Desmond Stewart. S’intitola “Vennero i Troog e dominarono la terra”. I Troog sono alieni che ci conquistano e ci trovano squisiti. Non solo: ci infliggono tutte le violenze che noi infliggiamo agli altri animali. I Troog però non sono crudeli: hanno solo visto noi e ci hanno copiato. Ecco, secondo me questo racconto dà un’idea di come ci si sente a essere prede».
La letteratura la frequenta spesso. Di recente ha scritto la postfazione per “L’Asino d’oro” di Apuleio. E ha anche curato con sua moglie Renata Singer “The Moral of the Story”, un’antologia letteraria di temi etici.
«The Moral of the Story lo devo a Renata (la chiama). È in ogni libro, ma qui di più. Io leggo fiction sì, ma tra noi due l’esperta di letteratura è lei. (Renata gli dà una pacca sulla spalla e si allontana)».
Talora però è la letteratura a chiamare in causa lei. È capitato con J. M. Coetzee.
«Coetzee si è trasferito dal Sudafrica in Australia e vive ad Adelaide. Lo vedo spesso, ma l’ho conosciuto nel 1998 a Princeton, quando venne per le Tanner Lectures. Anziché tenere le classiche conferenze, immaginò che a parlare fosse un’anziana scrittrice animalista che porta scompiglio nella comunità accademica. Io fui invitato a rispondere e lo feci con un breve racconto. Così sono finito anch’io ne La vita degli animali».
Coetzee paragona gli allevamenti intensivi a un Olocausto. Lei non lo fa.
«Ne parla anche Charles Patterson in Un’eterna Treblinka: per gli animali, dice, l’Olocausto non finisce mai. Può valere in termini di dolore, ma non penso sia un paragone rigoroso. Una differenza, dicevo, è nella capacità delle vittime di vedere la propria vita come un percorso unitario che si sviluppa nel tempo, e di sapere ciò che stanno perdendo».
Alla Shoah la sua famiglia ha pagato un tributo. Suo nonno, David Oppenheim, è morto in un lager polacco. Gli ha dedicato “Ciò che ci unisce non ha tempo”, libro incantevole. Chi era David?
«Era uno psicoanalista viennese, veniva da un’antica famiglia di rabbini. Collaborò con Freud e scrisse con lui un articolo. Poi però scelse Adler e Freud non la prese bene. Non pensavo di scrivere la sua biografia, ma ho trovato un pacco pieno di lettere ed è saltata fuori una storia di sentimenti e di idee che mi ha fatto ripercorrere i primordi della psicoanalisi».
La psicoanalisi gli animali li conosce. Che siano oggetto di rimozione è innegabile.
«Credo che la rimozione nel nostro rapporto con gli animali riguardi non solo il rifiuto di vedere come vengono trattati, ma anche quello di vederli come soggetti. In un esperimento psicologico a due gruppi sono stati mostrati filmati su animali. Poi a un gruppo è stato servito un pasto di carne e all’altro un pasto vegetariano. Seguiva un questionario. Rispetto al gruppo vegetariano, il gruppo carnivoro tendeva a sminuire le capacità e l’intelligenza degli animali mangiati. Segno che pensarli passivi ci aiuta ad assolverci».
Restando nell’inconscio, sogna mai animali?
«Molto raramente, credo. Sogno più spesso di perdere l’aereo».
Animali politici. Un suo noto pamphlet s’intitola “Una sinistra darwiniana”. Sembra però che, nella lotta evolutiva, nel mondo stiano prevalendo le destre.
«In quel libro sostenevo che l’altruismo è una strategia di sopravvivenza vincente, e solo la sinistra può farsene carico. La destra infatti è storicamente più propensa a un darwinismo sociale, mai teorizzato da Darwin, secondo cui un popolo è più forte se abbandona a se stessi i deboli. Ma la destra oggi si sta effettivamente mostrando più adatta ai tempi, perché risponde a istanze trascurate dalla sinistra, come quelle relative alle identità nazionali. La sinistra dovrebbe fare i conti con queste istanze e recuperarle nel suo discorso. Lasciare il potere alle destre, spesso morbide nelle politiche climatiche se non negazioniste, potrebbe avere conseguenze catastrofiche. Pensiamo a Trump».
Appunto. Ha scritto un libro sull’etica di George W. Bush. E Trump?
Bush aveva temi etici nella sua agenda. Nel primo discorso televisivo parlò dei risvolti della ricerca sugli embrioni. Si immagina Donald Trump che fa una cosa del genere? Lui non si pone questioni morali, nemmeno sbagliate. Scrivere sull’etica di Trump è impossibile, perché non esiste».
Il suo prossimo libro?
«S’intitola Consider the Turkey, “Considera il tacchino”, e uscirà per il Giorno del Ringraziamento. È un atto dovuto ai milioni di tacchini sacrificati in questo rito patriottico. Che culmina nel paradosso: ogni anno il Presidente concede il “perdono”, ossia la grazia, a un paio di tacchini. La verità è che sono i tacchini che dovrebbero perdonare noi».
La finirà mai di scrivere “Animal Liberation”?
«(Sorride) Non sono eterno, ma finché la lotta dura e io avrò qualcosa da dire, perché dovrei smettere?».
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Sandro Russo
16 Marzo 2024 at 11:26
Non so quanti hanno notato il nome dell’autore della prefazione al libro di Peter Singer, presentato da Serenella Iovino.
Si tratta di Yuval Noah Harari , autore di un libro ‘culto’ – Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità (numerose edizioni dal 2014 in poi) di cui il ‘nostro’ Tano Pirrone cita intero brani a memoria, che anche i nostri lettori dovrebbero conoscere: leggi qui e qui.
E parlando del suo intervistato Singer, Serenella dice che è un filosofo–influencer dei più importanti; fino a poco tempo fa si diceva maître-à-penser.
La sua galleria de “I Guardiani della Terra” ha questa funzione. La storia dell’umanità per quanto riguarda l’etica e la comune sensibilità ha proceduto per salti, propiziati da alcune ‘grandi anime’. Molte cose che ci sembrano adesso ovvie e acquisite non lo erano per niente anche solo un secolo fa.
Mi viene immediato l’esempio di come gli americani, anche cristiani e benpensanti, consideravano i negri: neanche esseri umani.
Dice la Iovino che Singer “ha cambiato lo stile di vita di milioni di persone (…) portando l’etica nei macelli, nei laboratori farmaceutici, nei nostri piatti e nei nostri vestiti” Più banalmente mi viene da pensare alla riprovazione morale per le pellicce, che solo al tempo di mia madre erano viste come uno status symbol e solo dopo averle viste macchiare di sangue durante le proteste animaliste alle ‘prime’ della Scala abbiamo cominciato a considerarle diversamente.
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E per restare alla sensibilità verso gli animali, per me paradigmatico è un brano dal bel libro di Karen Blixen “La mia Africa” in cui lei e il suo grande amore Denys Finch-Hatton hanno appena ucciso due leoni per il puro brivido del rischio, e si apprestano a scuoiarli, notando i muscoli lucidi e (già) guizzanti, senza notare la minima contraddizione con i loro ideali etici ed estetici (leggi qui). Eppure Karen Blixen era donna e scrittrice di elevata sensibilità, ma scriveva nei primi decenni del ‘900, e il suo pensiero arrivava solo fino a un certo punto.
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E che dire del punto più basso dell’umanità – almeno per quanto attiene alla sensibilità nei confronti degli animali -, che ho visto con i miei occhi in un viaggio in Cina, al mercato alimentare di Canton.
Leggi qui:
https://www.ponzaracconta.it/2011/05/12/quinto-non-uccidere-1/
https://www.ponzaracconta.it/2011/05/17/quinto-non-uccidere-2/