di Francesco De Luca
“L’albero con poche radici non resiste e muore, così come la necessità di lasciare e abbandonare i luoghi dove siamo nati, la nostra fanciullezza, la spensieratezza di un tempo felice, privo di responsabilità, per affrontare nuovi luoghi e nuove mete, per lavoro, per studio, per essere qualcuno che conta, che si inserisce e progredisce e vale, con l’isola che può garantire a pochi tali privilegi e si abbandona portandosi con sé una valigia carica di lacrime amare” ( pag 194 ). Sono parole di Salvatore Balzano, confessate nel libro: Navigando la vita.
Sono parole piene di verità per lui, e per tanti della sua generazione. I nati dal ‘45 al ‘60, maschi e femmine, abbiamo patito l’allontanamento dall’isola, e questo ha acuito in noi il ricordo, la nostalgia, il rimpianto per ciò che si è lasciato e che aveva integro il fascino dell’autenticità, del familiare, del paesano. Ecco perché Salvatore si esprime così accoratamente.
Lo fa passando in rassegna i giochi che praticava, e che oggi fanno parte del folklore. Lui li descrive uno per uno e io, invece, li elenco per rimarcare la loro completa estraneità alla vita dei ragazzi di oggi.
– ‘A nguattarella ossia ‘a nascondino’;
– ‘U chirchio, ossia il ‘cerchio’ di metallo che ‘con un ferro sagomato spingevamo avanti’;
– ‘A pantanella, o ‘a funtanella’, o tics tocs e funtanella’, con le biglie, a far andare con colpetti delle dita, nella fossetta;
– ‘A primma luna monta;
– Tiene tiene cavallo tuosto ca mo me ne vengo;
– ‘A ciomma, la fionda;
– Il ‘fucile’ con la molletta e l’elastico;
– La ‘capanna’ fatta con le canne, come gli indiani;
– ‘A carretta, costruita con la cassetta di frutta vuota di Meneghino ‘u iscaiuolo;
– Le ‘guerre’ combattute con le pale dei fichi d’ India;
– La ‘zattera’, per andare nei pantani a caccia di rane;
– ‘U strummelo, la trottola;
– La ‘campana’ da saltare con un piede solo;
– La ‘cerbottana’ costruita con una canna;
– La ‘cavallina’;
– Il ‘calcio’ infine “la nostra droga, e bastava trovare un piccolo spazio per dare calci a una palla, di pezza, di carta, di gomma… a Giancos o sulla spiaggia di Sant’ Antonio…” ( pag 195 ).
Tutto questo può confrontarsi con oggi? No.
Tralascio ogni paragone e mi allontano velocemente dalle implicazioni che potrebbero trarsi. Sarebbero masturbazioni mentali. Ogni epoca si esprime nei suoi modi. Le rimembranze di Salvatore potrebbero offrire insegnamenti ma a me appare più opportuno godere delle caratteristiche epocali come scenari antropologici di perduta bellezza.
“In seguito il mio passatempo erano le povere lucertole, che catturavo con un filo d’erba, alla cui estremità praticavo un cappio con un nodo scorsoio, come l’attrezzo che si usava per impiccare i condannati, e quindi mi avvicinavo ad esse, che erano ferme al sole, su un sasso o su un pianoro, e con un movimento leggero, per non farle scappare, facevo aderire tale cappio al collo delle bestioline e con uno strattone il nodo si stringeva e il gioco era fatto”( pag 182 ).