Libri

Storielle di Salvatore Balzano (2). Zia Giovanna

di Francesco De Luca

 

“Navigando la vita”, il libro di Salvatore Balzano, narra la vita dei Fornesi sulla falsariga della sua esistenza. E’, allora, una autobiografia? No, perché Salvatore descrive alcuni eventi, portando in evidenza le usanze dei Fornesi e i ‘tipi umani’ che in quel borgo, nel dopoguerra, hanno vissuto in modo  ‘esemplare’, quasi eroico.

Desumo questa conclusione dalla lettura del capitolo  ‘nove’, centrato su zia Giovanna.

Sorella di suo padre, Giovanna, sposata con Vittorio, il quale era tornato dalla guerra con patologie croniche ai polmoni, che curava ad Anzio, dove abitava sua sorella.

Vittorio e Giovanna, senza figli, vissero praticamente distanti. La cosa non era singolare. A Ponza molte famiglie avevano il perno centrale e il fulcro nella donna. I maschi andavano lontano, o a pesca o imbarcati, e a casa rimaneva la moglie: custode della casa, della proprietà e cultrice di quanto le sue forze potevano affrontare. Vuoi il lavoro nei campi vuoi l’allevamento degli animali. Accudendo la prole, quando c’era, o, come per zia Giovanna, combattendo la solitudine. In modo proficuo: “ … lunghe giornate fino al buio totale, imbracciando un tridente per zappare la terra arida, piena di sassi, uno strumento più grande di lei, ma col quale sapeva rendere tutto fertile concimando con lo sterco dei conigli e delle galline che allevava. Potava e legava le viti e produceva una discreta quantità di vino che conservava per il marito quando tornava e che mandava ad Anzio… per sé conservava solo il necessario, anzi, quei pochi soldi che il marito le mandava li raddoppiava andando a servizio da altre persone e vendendo il formaggio, il latte di pecora, i legumi e le galline”.

“Anche lei… produceva il formaggio fresco, dal quale toglieva il siero servendosi delle fruscelle di giunco e canne, che poi salava e vendeva o regalava alle donne del vicinato, in cambio di qualche vestito usato” ( pagg. 104 – 105 ).

“Zia Giovanna viveva nella solitudine più completa, con una lampadina di pochi watt che a malapena illuminava la stanza e spesso si accovacciava sul divano, stanca, dove riposava, senza disfare il lettone troppo grande per lei così minuta ( pag.106 )”.
“Costruiva anche i cappelli, che usava e regalava, le borse, e sapeva intrecciare i giunchi, i cutele e le canne per fare i canestri col manico” ( pag. 108 “Vedere lavorare zia era uno spettacolo, senza lamentarsi, in silenzio, curva sotto il sole o la pioggia, con la testa china, mai stanca…”.

 

Esistenze ‘eroiche’, consumate in ossequio al dovere, alla responsabilità d’essere nati. Non al  ‘regalo’  d’essere venuti al mondo.
Una umanità al servizio dell’esistenza.

E’ questo  ‘ufficio’  che mi gonfia di orgoglio per un verso, e ne parlo e desidero che si sappia; per un altro verso mi deprime il confronto con la visione, oggi predominante, della vita.

Ognuno partorisca il proprio giudizio, io mi limito a presentare il caso. Indotto dalla lettura delle pagine di Salvatore Balzano.

 

NdR: l’immagine di copertina è una tela di Luca Celano, pittore neorealista materano nato a Colobraro, uno dei tanti borghi della valle del Sinni

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