di Sandro Russo
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Sono vent’anni che Umberto Di Mario non c’è più. Non riesco a pensarci… mi sembra l’altro ieri!
Umberto Di Mario, medico, professore universitario e ricercatore di fama internazionale.
Amico mio fraterno; rapporti molto stretti anche con la sua famiglia, i tre figli e la moglie, già pediatra (Patrizia Montani, che ho trascinato anche a scrivere sul sito).
Abbiamo cominciato insieme, Umberto, Patrizia e io, la nostra vita professionale e pur nelle scelte diverse, siamo rimasti molto legati.
Negli anni della Specializzazione e dell’internato nella II Clinica Medica del Policlinico – Università di Roma ‘La Sapienza”, studiavamo insieme e quando ci vedevamo a casa mia (gloriosa residenza di via dei Monti di Pietralata), Umberto ha conosciuto gli studenti universitari di Ponza che bazzicavamo casa; quelli di medicina, ma anche gli altri: Isidoro Feola, Gennaro Di Fazio, Maurizio Iodice; per non dire di Silverio Guarino e mio fratello Renzo.
All’ultimo, quando era già malato, sono riuscito a trascinarlo (insieme a Patrizia) a Ponza, dove non era mai voluto venire, per un’antica avversione nei confronti del mare.
La sua figura e il suo sguardo sulle cose e sui panorami di Ponza – li accompagnammo a visitare tutti gli scorci più suggestivi – , quando si staccava da noi e rimaneva isolato, sovrappensiero – è una delle immagini più struggenti che mi sono rimaste, di quegli ultimi anni.
Oggi sarà rievocato al Policlinico di Roma, in un incontro organizzato dai suoi colleghi e collaboratori del gruppo di ricerca che ha fondato ed è ancora attivo.
Il programma con gli interventi (in formato .pdf):
Programma Umberto Di Mario
Patrizia Montani
18 Febbraio 2024 at 06:33
Volevo ringraziare gli organizzatori del Convegno; lo faccio su questo sito, approfittando dell’ospitalità di Sandro e dei suoi amici di Ponza.
Carissima Raffaella,
Voglio, ancora una volta, ringraziare te, Frida e Giuseppe per l’evento dell’altro giorno.
Vi ringrazio per lo sforzo organizzativo, per l’impegno e le energie profuse nelle ricerche diabetologiche da Umberto ispirate e anche per le manifestazioni di affetto nei miei confronti.
La giornata del 16 febbraio, a vent’anni dalla morte, ha restituito a tutti noi una persona viva e intera, con pregi, difetti, punti di forza, umane debolezze.
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“Umberto Di Mario, mio marito, un idealista che voleva cambiare il mondo”.
Così sarebbe cominciato il mio breve discorso, che poi non ho avuto la forza di fare.
Un uomo con una forte tensione, una inquietudine, un’ansia di futuro che permeò tutta la sua vita.
Studio, lavoro, ricerca, politica, volontariato.
Mille progetti, mille interessi. Tutti al massimo, tutti subito, perché la vita è breve e va vissuta intensamente.
Questo avrei detto io, e proprio questo avete detto voi, sia pure con diverse voci e diverse sfumature.
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Credo che la capacità di sognare il futuro tenendo i piedi ben piantati per terra, la tenacia nello studio e nel lavoro e l’ombra, appena percettibile, di un lutto mai dimenticato, fossero la miscela magnetica che attirava le persone intorno a lui e che attrasse tutti voi, a cominciare dai ricercatori della prima ora, Claudio, Emanuela, Susanna, Giuseppe, Francesco e Gaetano e poi voialtri più recenti, che sceglieste di lavorare con lui quando era giovane e sconosciuto, “accettando di aspettare con lui un incerto domani”, direbbe Sergio Endrigo, invece di cercare altre opportunità più facili e remunerative.
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Avrei voluto accennare ad alcuni aneddoti di quel periodo eroico, quando c’erano pochi soldi e molti progetti (gli ormai famosi topi diabetici nella Panda rossa) ed avrei evocato con infinita nostalgia le nostre giornate, che incominciavano con i bambini che si preparavano ad andare a scuola, il cane Guelfo che voleva uscire, Umberto con indosso gli ineffabili pantaloncini gialli, pronto per andare a correre, quando arrivava qualcuno dei ragazzi (Claudio o Gaetano), naturalmente per parlare di lavoro. Giornate intense, lunghissime, che si concludevano spesso con cene a casa nostra, ospite qualche ricercatore straniero.
E certo non avrei dimenticato le feste, le grigliate, le cene, le gite in montagna, i campeggi, le serate intorno al camino. Insomma la nostra giovinezza.
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Questo, più o meno, avrei voluto dirvi.
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Umberto Di Mario, mio marito,
I suoi sogni erano i miei sogni, le sue sconfitte erano le mie sconfitte.
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Ha lasciato a voi una eredità etica, prima ancora che scientifica,
a me la vostra amicizia che rende più lieve la vita senza di lui.
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Patrizia
Sandro Russo
18 Febbraio 2024 at 08:12
Parlando ieri con Tano, che non ha conosciuto Umberto ma è diventato amico di Patrizia tramite la mia frequentazione, cercavo di spiegargli quanto tenessi in conto il suo parere sugli eventi del mondo. Gli ho detto che per molto tempo dopo la (loro) scomparsa, davanti a fatti difficili da capire o accettare spesso mi sono detto: chissà che ne penserebbe Umberto Eco… E chissà che direbbe Umberto (Di Mario). Allo stesso livello!
E riandavo alle tante mattine che passavo a casa loro per colazione, la mattina presto, prima di andare a lavorare al Policlinico (abitavano lì a due passi). Per le sei e mezza la colazione era in tavola, con l’immancabile uovo in camicia (che mangiavo solo lì), il giornale già scorso (erano abbonati a la Repubblica che trovavano fuori dalla porta al risveglio) e poi restava spiegazzato, in fogli sparsi al fianco del letto. Per colazione, le notizie del mattino erano già acquisite e se ne parlava.
L’altra cosa che ho ricordato è stata una delle mie prime uscite con Patrizia, parecchio tempo dopo la perdita (siamo andati a un cinema e poi a cena), quando è riuscita almeno a parlarne. Mi ha detto di aver vissuto il periodo della malattia di Umberto con tanta intensità e compenetrazione, da pensare che stava morendo, e solo dopo ha capito che era solo lui che moriva.
Lo racconto perché mi ha colpito; ho parlato con altre persone che avevano subìto una perdita importante, ma non l’avevo mai sentito dire con quelle parole.
Queste erano/sono le persone di cui stiamo parlando.