di Guido Del Gizzo
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Finora, ho ristrutturato e armato cinque barche d’altura, d’epoca e classiche: due cutter Sangermani, di 11 e 13 mt, rispettivamente del 1957 e 1956, trovati in Italia; poi uno schooner di Anker&Jensen di 24 mt, trovato nel vecchio porto di Atene, prima che fosse costruita Marina Zea, semidistrutto da un incendio, costruito in Norvegia nel 1931; quindi uno yawl disegnato da William Fife III ( progetto 815 ) di 17 mt, costruito in Svezia nel 1937, che ancora possiedo; infine uno Swan 65, ketch disegnato da Sparkman&Stephens e costruito in Finlandia nel 1981, dal quale mi sono separato da poco.
Tranne il primo Sangermani, distrutto da una tempesta, nel porto di Catania, mentre era in secca, nell’85, tutte le altre sono ancora a galla.
Mi sono sposato tardi e quindi, fino ai quarant’anni, ho trascorso il mio tempo libero solo tra barche e cantieri navali, da Atene a Viareggio, passando per Catania.
Tranne la carpenteria strutturale, sono capace di fare molti lavori in barca, soprattutto sul legno: mi sono detto molte volte che avrei fatto bene a fare solo quello, nella vita, invece di perdere tempo con tutto il resto, ma è andata così.
Ponza, come moltissimi altri posti in Italia, sta perdendo una grande tradizione di carpenteria e manutenzione navale: c’è poca produzione e poco o nessun ricambio generazionale.
Questo è un grande dolore, per noi che abbiamo cominciato quando i materiali si compravano dal ferramenta, il legno si riconosceva dall’odore che emanava e gli ship chandlers non esistevano ancora.
I nuovi materiali, che per fortuna sono stati inventati, sono di uso relativamente più semplice ma non sedimentano, in chi li usa, la cultura che derivava dalla carpenteria tradizionale: inoltre, molti legni non si possono nemmeno più raccogliere e il tavolato di teak ben stagionato di 6 cm, quando si trova, costa un’autentica fortuna.
Così, ho cominciato ad interessarmi ad altri materiali: l’alluminio e l’acciaio.
Sono molto interessanti, soprattutto l’alluminio: paradossalmente, consente di progettare una barca come una scatola di montaggio, con tutte le componenti strutturali disegnate e prodotte da macchine a controllo digitale; con la totale libertà di montare poi lo scafo in un luogo diverso e allestire gli interni in totale autonomia, di materiali e soluzioni.
Di queste cose mi scopro spesso a fantasticare, quando ragiono su Cala dell’Acqua e il suo destino: un cantiere navale ampio, costruito su un depuratore, per raccogliere tutto ciò che possa inquinare; dove gli esperti carpentieri ponzesi potrebbero ampliare le loro attività e, magari, partecipare a progetti di formazione per giovani, come insegnanti…
Poi, vagando sul web, mi sono imbattuto in queste immagini:
Si tratta di uno splendido scafo in acciaio, di oltre 30 metri, realizzato da un cantiere prestigioso e specializzato in questo materiale, negli anni 2010, costruito su commissione e rimasto incompiuto, per problemi legali, in buone condizioni di conservazione.
E’ la replica precisa di uno schooner aurico, disegnato da uno dei più grandi architetti della storia navale, all’inizio del ‘900, realizzato, all’epoca, anch’esso in acciaio.
E’ in vendita da oltre un decennio, ma la dimensione richiede un notevole impegno finanziario, la ricerca di soluzioni tecniche complesse, grande disponibilità di spazio e di competenze.
Però, se Ponza fosse coinvolta in un simile progetto, si potrebbero fare molte cose.
L’allestimento degli interni, in legno, richiederebbe molto lavoro e, contemporaneamente, sarebbe un’opportunità di formazione concreta, per chi volesse affrontarla.
Sull’isola, tra i tre cantieri che mi sembra siano ancora in attività, sono certamente presenti le competenze necessarie.
La parte impiantistica è ugualmente impegnativa, ma più semplice: infine, per quanto riguarda invece armo e vele, un po’ me ne intendo e, comunque, ho amici espertissimi.
Un’imbarcazione del genere, se basata su Ponza, consentirebbe una serie di attività nautiche in grado di attrarre turismo fuori stagione, senza difficoltà: e per i ponzesi, sarebbe un’alternativa in più, oltre il calcio a 5.
E potrebbe servire per crociere didattiche, per partecipare ad eventi internazionali e svolgere attività di promozione per l’isola.
Qualche giorno fa ho preso un aereo e sono andato a vederlo: ho fatto una visita accurata, sono entrato in un ventre di balena da decine di tonnellate di acciaio, costruito in maniera mirabile, con ordinate ogni 50 cm.
Ho iniziato una trattativa.
Vedrò di venirne a capo: poi, però, avrei bisogno di un porto…anche se, su questo tema, mi pare che il Comune abbia voglia di far perdere tempo, a noi, e opportunità e soldi ai Ponzesi.
Avremo modo di riparlarne.
Voglio dire intanto a Vincenzo Ambrosino che non ha senso agitare l’unità ponzese contro il mondo esterno, come rimedio ai problemi irrisolti dell’isola.
I problemi dell’isola sono irrisolti perché l’isola non ha le risorse, umane e finanziarie, per affrontarli e non è stata in grado, finora, di dialogare in modo efficace con il resto del mondo: non sto parlando dell’attuale amministrazione, ma degli ultimi cinquant’anni, con poche e dimenticate eccezioni.
La “ponzesità” non è la soluzione al problema dei collegamenti marittimi, dell’assistenza sanitaria e della continuità territoriale: in compenso, caro Vincenzo, possono esserlo l’adesione ai progetti e ai sistemi regionali, la partecipazione a reti e circuiti , le collaborazioni scientifiche e territoriali… tutte cose che funzionano abbastanza bene, nel resto del mondo.
Quanto ai privati, brutti e cattivi, il loro compito è investire e creare opportunità per tutti, ottenendo un ragionevole profitto, a fronte di progetti di pubblica utilità: queste sono le regole che tutti i privati, i“furastiere” e anche i ponzesi, sono tenuti a rispettare.
Infine, Vincenzo, il diritto dei Ponzesi alla continuità territoriale sarebbe oggetto di ben altra attenzione, da parte degli Enti locali e del Governo, se questi dovessero occuparsi, invece che di uno splendido Lunapark estivo, aperto tre mesi l’anno, di una vera comunità isolana, attiva tutto l’anno, coesa e di grande valore culturale, come Ponza potrebbe, finalmente, decidere di diventare.
.Due storie (2) – Fine
Per la prima parte, leggi qui