Economia

La protesta dei trattori e l’isola di Ponza

di Guido Del Gizzo

.

Il memorandum di Mansholt del 1968 – all’epoca Sicco Mansholt, olandese, era commissario all’Agricoltura della CEE – fissava, come punto di riferimento, la superficie di 200 ha per le politiche agricole comunitarie: in Italia la media era inferiore ai 5…
Il nostro ministro Marcora, con l’appoggio del mondo cooperativo (sia “rosso” che “bianco”) e di Confagricoltura, ne condivise l’impostazione.
Da allora, la politica europea ha sistematicamente favorito l’aumento della SAU (superficie agricola utile, misura della dimensione aziendale), cioè le concentrazioni aziendali, da un lato e favorito l’abbandono dell’attività attraverso le politiche di set aside, dall’altro.
Solo i francesi, più bravi di tutti in materia, hanno perseguito, negli anni, una politica di deroghe autorizzate per le piccole aziende e i loro prodotti tipici, che ne hanno assicurato la sopravvivenza.

Near Beersel, Belgium, 29 January 2024 (foto EPA Olivier Matthys)

In Italia invece abbiamo inserito, nel disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana, la possibilità di congelarla: non proprio una difesa ad oltranza della qualità!
Poi si è applicato il sistema dei marchi comunitari, le (nefaste) DOP, che si sono sostituite alle certificazione dei consorzi di tutela per i prodotti principali, come ad esempio l’olio di oliva, e per i prodotti biologici: quello è stato l’inizio della fine.
In Facoltà di Agraria, nel 1975, al corso di Principi di Economia, la battuta era che un piatto di minestra ed una denominazione di origine, non si negano a nessuno.

Il sistema europeo delle DOP è stato concepito come condizione di accesso ai fondi comunitari, mentre i marchi di tutela servivano a garantire livelli qualitativi: tutti i paesi hanno deviato sulle DOP, cercando di applicarle nel modo più ampio possibile e garantire i finanziamenti alla platea più ampia possibile.
Oggi, un olio DOP può essere un prodotto mediocre e negli ultimi anni abbiamo assistito ad un florilegio di scandali in tutta Europa: e la Toscana, sua terra d’elezione, sul tema non si è fatta mancare nulla.
Paradossalmente, oggi, la qualità dei prodotti alimentari è garantita solo dal marchio aziendale, quando si lavora bene, certo non dalla Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) o marchi similari.

La qualità media dell’olio di oliva italiano, oggi, è talmente mediocre che il prodotto è completamente esposto alla concorrenza di produzioni molto lontane:
Il vincitore del premio Evooleum 2023 Absolute Best, l’Oscar dell’olio extravergine d’oliva, è andato per la prima volta a un Paese terzo, non la Grecia, non la Turchia, bensì il Sudafrica, un Paese marginale per la produzione di olio.
Discorsi simili possono essere fatti per il prosciutto, il parmigiano, i pelati….

La grande distribuzione, con il suo affermarsi, è stata la pietra tombale della qualità agro-alimentare italiana: alla praticità di acquisto e alla completezza di offerta, sono state sacrificate la qualità e la varietà delle derrate disponibili.
Solo poche varietà di ortaggi e verdure, mai frutta matura, mai profumi, monopolio dei prezzi.

E l’Agricoltura Biologica, in particolare, è stata davvero la grande occasione persa della seconda metà dello scorso secolo, anch’essa vittima del predominio delle strutture di distribuzione, soprattutto tedesche, ma non solo, sulla produzione: una sconfitta che pagheremo tutti molto cara.

Nelle città, i piccoli commercianti hanno solo due alternative: specializzarsi nei prodotti di lusso o chiudere.

I trattori che protestano, oggi, lo fanno per i motivi sbagliati e contro il bersaglio sbagliato: manifestano contro il maggese e i costi del Green Deal, che è invece la soluzione per contrastare la concorrenza sleale dei produttori internazionali; e manifestano contro le istituzioni europee, che sono le uniche a poter costruire un quadro normativo a loro difesa, invece di attaccare il monopolio della GDO, che impone loro prezzi da fame.

In sintesi, quello che intendo con questo sproloquio introduttivo, è che tutto il sistema è progettato su parametri che non appartengono al mondo mediterraneo e che i paesi mediterranei, nei decenni, hanno sbagliato molti bivi importanti: la politica dei marchi soprattutto, che ha considerato che la qualità dei prodotti fosse una conseguenza obbligata e non è così.

Paradossalmente, gli unici produttori che se la passano bene sono quelli che, in ogni tipologia, si sono specializzati in prodotti di qualità, hanno saputo comunicarlo in modo efficace: in questo modo, si sono sottratti all’omologazione dei concetti di “prodotto”, perché si sono inventati la categoria delle “eccellenze”, ed hanno superato i criteri diffusi di qualità, inventandone di propri e garantendoli con il proprio nome, come le persone serie..

Non illudiamoci che nel comparto turistico le cose vadano in maniera diversa.
I grandi flussi turistici ed i loro Players fissano i parametri e i modelli del turismo.
Le “Grandi Navi Veloci” sfornano migliaia di turisti che, come i consumatori al supermercato, si aspettano di non cambiare nulla delle loro abitudini quotidiane, dal cibo che mangiano al tempo libero, che decidono semplicemente di trascorrere altrove, per un breve periodo di tempo: non crediate che dal Quirino o dalla nave Don Francesco scendano persone diverse, in agosto.

Anche Ponza è difronte ad una scelta che dovrà fare.
Sarà capace Ponza di inventare i progetti che promuovano la qualità e la tipicità dell’isola o crede, invece, di poterne fare a meno?

Oggi l’isola è concentrata sul tema dei collegamenti, che riguarda merci e servizio, prima ancora che il flusso turistico sull’isola, e su quello delle concessioni demaniali, che è incombente, sullo sfondo, e interagisce con il tema della portualità, sia quella esistente che quella possibile.
Su tutti questi fronti, o non ci sono progetti, o non ci sono idee, o non ci sono i soldi: ma ciò che è incomprensibile è che non ci sia quasi più tempo e che l’isola sia in affanno, senza certezze di collegamento efficace, a due mesi e mezzo dall’inizio della stagione.

Non ci sono i soldi per intervenire sul porto principale: la riqualificazione del porto borbonico, il cui finanziamento è stato annunciato ieri, si riferisce al progetto presentato dall’arch. Giocondi, in Consiglio Comunale, che ha poche possibilità di essere realizzato e che, comunque, non affronta nemmeno il tema della protezione delle attività previste.

La questione dei collegamenti, invece, richiederebbe una forte autorevolezza politica, che al momento non è stata espressa.

Del porto alle Forna, parleremo più avanti, quando capiremo l’orientamento del Comune: ancora opposizione, muro di gomma, dialogo? Vedremo.
Per intanto, registriamo che l’unico progetto di sviluppo – che potrebbe concludere il suo iter autorizzativo in poco più di un anno e che implicherebbe il rilancio di quella parte dell’isola che più ne avrebbe bisogno -, è proprio quello che il comune ha osteggiato, con il solo risultato di far perdere tempo a noi e soldi ai ponzesi: 4000 € di danni decisi dal Tribunale, oltre all’onorario dell’avv. Zaza…

Quanto alle concessioni demaniali invece, possiamo anche rinviare all’anno prossimo: ricomincerà la solita, poco edificante trafila negli uffici del Comune, da qui a maggio, con i buoni che le ottengono subito e i cattivi che aspetteranno fino a stagione iniziata.

E invece, che isola immaginiamo, tra dieci anni?
Di una cosa possiamo essere certi: o sarà diversa, perché lo avremo scelto, o sarà peggiore, perché non avremo fatto nulla…

1 Comment

1 Comments

  1. Daniela Sialbani

    2 Febbraio 2024 at 10:46

    Grazie per l’articolo che analizza alcuni aspetti della questione. Alla base c è il fatto che questa trasformazione agricola è in atto da troppo tempo e non credo proprio che si possa invertire la tendenza.
    Il futuro che si prospetta non è roseo ed il discorso è molto complicato perché coinvolge diversi ambiti sia al vertice (le scelte attuate da chi ci comanda) che alla base (chi consuma o beneficia dei servizi).
    Hanno educato i contadini ad un certo tipo di coltivazioni che avrebbero soddisfatto un certo tipo di consumatore a discapito della biodiversità e della salute. Sempre unicamente nell’ottica del guadagno e del risparmio a discapito della salute. Si è puntato alla produzione di enormi quantità e poco prezzo con uno spreco enorme.

    Ecco era in questo sistema marcio che dovevano inserirsi le proteste sia da parte dei produttori che dei consumatori. I produttori dovevano subodorare che nell’elemosina data dall’Europa per “non coltivare” c’era dietro un progetto molto più grande e il consumatore doveva comprendere che nell’acquisto del cibo a poco prezzo c’è sempre dietro qualcosa che non va. Ma le grandi multinazionali si sono mosse bene e senza fretta non lasciando apparentemente scelta a nessuno.
    Calcolando che l’ultima preoccupazione dell’Europa è l’inquinamento si possono vedere con altri occhi le scelte e gli obblighi imposti dall’Europa.

    Non sono in grado di fare un discorso che metta in relazione tutti gli aspetti della questione ma posso dire alcune cose sulle quali è interessante riflettere
    Come ad esempio il fatto che l’Europa continua a rimandare il divieto del glifosato (chiaramente cancerogeno), che la Bayer ha acquistato i brevetti dei semi e che nel tempo potrebbe essere vietato di usare semi autoprodotti a discapito della sovranità alimentare (discorso interessante ma terrificante), che da anni come avviene in ambito medico con le aziende farmaceutiche che fanno i corsi di aggiornamento ai medici, le grandi aziende di fitofarmaci fanno i corsi ai contadini, oppure si potrebbe riflettere sulla geniale idea del nostro paese di mandare come rappresentanti in Europa gente del calibro di Iva Zanicchi in un totale disinteresse del ruolo del nostro paese in Europa, guarderei inoltre con preoccupazione la costante cessione delle terre per l’istallazione di pannelli solari per continuare ad alimentare questo teatrino del Green e dell’elettrico. Per fortuna qualcuno inizia a capire che forse le cose non stanno proprio come ci vogliono far vedere.
    Comunque secondo me le proteste dei contadini non sono per distrarre da temi più importanti in ambito agricolo e gli slogan chiaramente fanno emergere solo una parte delle motivazioni; ma almeno una parte del popolo fa sentire il suo disappunto mentre altre categorie che dovrebbero preoccuparsi del loro futuro tacciono sperando di restare indenni in questa enorme e pessima trasformazione globale.
    Mi verrebbero in mente tante criticità ma credo sia abbastanza!

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top