proposto da Sandro Russo: “Com’è stato che natura e uomo ‘civilizzato’ hanno preso strade diverse”
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Il Manifesto. Cultura. Into the wild/10
Il caso dell’orsa JJ4 e il suo contrastato rapporto con l’altra specie – quella umana – ha dato l’avvio a questa serie di pagine culturali che indagano la relazione con il selvatico da diverse prospettive. C’è quella «reale» (che comunque sconfina nell’immaginario), e quella della finzione letteraria, come il puma di Hollywood, o storie dai tratti leggendari: dalle fiabe alla scoperta (spesso non veritiera) dei «bambini delle foreste», per l’intima familiarità con la selva dello scrittore uruguayano Quiroga, passando per le simbologie risvegliate dai lupi alle porte della città, E poi ci sono le orse di Artemide, i meravigliosi incontri sottomarini, il desiderio di tornare «indigeni», l’empatia con animali e le fantasie equine di Turgenev a Tolstoj. Senza dimenticare le commistioni di uomini e maiali irlandesi e l’utopia vegetale di riunire diversi mondi in un unico giardino assai «indisciplinato».
Il Manifesto. Cultura. Into the wild/10
Lupo, il desiderio dell’altrove
di Lia Tagliacozzo – Da Il Manifesto del 25 agosto 2023
Dal mito della fondazione di Roma a san Francesco fino a Jack London, passando per Cappuccetto rosso. Il «cucciolo d’uomo» Mowgli, allevato da un branco, dovrà scegliere tra «civiltà» e mondo selvatico. Animale dai molti significati, accompagna la presenza umana, nemico giurato di greggi e armenti, cacciato fino al rischio di estinzione, è protagonista di folklore, leggende e fede. «Lo si odia da quando, nel Medioevo, i medici diagnosticarono una malattia fisiologica assai particolare: la licantropia», scrive Hèléne Grimaud
L’antico nome dell’inverno, nella Germania del sud, è «Wolfsmond», il mese del lupo
Alla fine del mese di luglio una coppia è stata attaccata da un lupoide solitario a Vasto, in provincia di Chieti. Segnalazioni di aggressioni primaverili sono avvenute in provincia di Lucca. Nel Salento, un gregge è stato assalito da un branco di lupi e segnalazioni giungono dalle colline intorno a Torino. C’è chi assicura di averlo sentito ululare nei pressi di Isola Farnese, tracce certe sono state rilevate a Castelnuovo di Porto: il lupo insomma è tornato alle porte di Roma – senza suscitare, per ora, il panico riservato ai cinghiali.
Eppure questo animale è il selvatico più prossimo all’esperienza umana, progenitore del cane domestico, l’antenato del «più fedele amico dell’uomo» rappresenta nelle leggende, nella storia e nella letteratura «l’altro» da noi per eccellenza, la natura selvaggia che innerva il mito e la superstizione. Il rapporto con il lupo racconta spesso l’immagine che noi, la storia e la società abbiamo con il selvatico che corre nella nostra ombra, la nostra faccia forastica: «Lo si odia da quando, nel Medioevo, i medici diagnosticarono una malattia fisiologica molto particolare: la licantropia, appunto – scrive Hèléne Grimaud, una delle pianiste contemporanee più affermate, nel suo Variazioni selvagge (Bollati Boringhieri, 2006) – Questa ’follia lupesca’ sprofonda le donne più giovani e attraenti nella lussuria, nella frenesia sessuale, e le fa ululare alla luna, i seni rivolti alle stelle e il sesso esposto, un sesso che divora l’anima». L’ombra inquieta della donna a cui l’accomuna l’ululare alla luna e cicli lunari.
È tornato nella capitale, si diceva, e al lupo, anzi alla lupa, Roma deve uno dei suoi miti di fondazione. Secondo la versione più nota, il padre dei gemelli all’origine della leggenda era Marte, dio guerriero, della primavera e della giovinezza a cui erano sacri, appunto, il lupo e il picchio. Quella di Romolo e Remo è una nascita illegittima che Amulio, lo zio della madre Rea, punisce con la prigione e esponendo i neonati sulle rive del Tevere, dove poi vennero raccolti dalla lupa e salvati. Attribuire però a una donna l’appellativo di «lupa» non era un complimento e, nella città eterna, i lupanari erano nel corso di tutta l’epoca romana i luoghi deputati al piacere mercenario.
Un accudimento salvifico analogo è raccontato dall’altro lato del mondo – in India – da Rudyard Kipling nel Libro della giungla del 1894, oggetto di innumerevoli edizioni per ragazzi compresa la versione in cartone animato di Walt Disney (1967) con cui sono cresciute intere generazioni. Il «cucciolo d’uomo» Mowgli, viene anche lui allevato dai lupi e costretto, dopo mille avventure, a scegliere tra uomo e foresta, tra «civiltà» e mondo selvatico.
Tuttavia, «le leggende dei paesi celtici e scandinavi delle notti invernali interminabili – scrive ancora Grimaud – cieli di puro cristallo nella bianca rapsodia del Nord, ne hanno fatto il simbolo della luce. Mentre altrove lo si fa ululare alla luna, qui il lupo personifica il sole». Animale dai molti significati, il lupo accompagna così la presenza umana, nemico giurato di greggi e armenti e per questo cacciato fino al rischio di estinzione, eppure, solitario o in branchi partecipa del folklore, delle leggende e della fede, a cominciare dal gigantesco lupo ammansito da San Francesco d’Assisi chiamandolo «fratello». Un lupo su cui vi è però incertezza di genere: proprio sulla facciata della Chiesa della Vittorina infatti, a Gubbio, si legge: «Qui Francesco placò la perniciosa lupa». E non solo: nella chiesa di San Francesco della Pace il santo è raffigurato nell’atto di ammansire un esemplare visibilmente femminile.
In Germania del sud, l’antico nome dell’inverno è Wolfsmond, il mese del lupo: «Quando Fenrir (gigantesco lupo della mitologia norrena – ndr) e gli dei smettono di combattere – scrive ancora Grimaud – l’acqua ricopre il mondo affinché possa emergere una nuova terra; distruggendo il lupo rende possibile il passaggio da una condizione all’altra». «Con Apollo – prosegue più avanti – dio nato dal lupo, ci saluta lo spirito della conoscenza intuitiva; spirito che tiene testa, con una libertà senza pari, all’esistenza e al mondo».
Il lupo, nostro altro ferino, mette d’accordo tutti gli studiosi: è stato il primo animale addomesticato dall’uomo trasformandosi in cane ma il suo gemello selvatico partecipa, perseguitato, della vita italiana: nel 1939 fu incluso tra gli animali classificati come nocivi e se ne definiscono le nuove norme per la caccia tra cui tagliole, trappole e bocconi avvelenati. Si deve giungere al 1970 quando, alle soglie dell’estinzione – solo un centinaio di esemplari sopravvivono nascosti tra le foreste impervie dell’Appennino – se ne proibisce la caccia a tempo indeterminato.
Ora però il lupo appenninico si riscatta e il canis lupus italico va espandendo il suo areale: è diffuso sulle Alpi, in Austria, in Slovenia (dove esiste anche il canis lupus lupus, un altro tipo di lupo) e in Francia, raggiunta attraverso il corridoio faunistico delle Alpi liguri. Un esemplare pare sia stato avvistato anche sui Pirenei.
L’espandersi della presenza del lupo, secondo i dati Ispra del maggio del 2022, ha raggiunto oramai i 950 esemplari sulle Alpi e 2400 quelli distribuiti nel resto della penisola: giungono segnalazioni anche dalle spiagge pugliesi ma la paura atavica agita e agisce: gli avvelenamenti e gli strazi continuano così fino all’orrore di Coriano dove, nel 2017, un lupo avvelenato e poi bastonato venne appeso alla fermata dell’autobus.
Eppure il lupo, animale notturno, timoroso ed elusivo, non rappresenta un pericolo per l’uomo, gli allevatori invece che vogliono ottenere il rimborso degli armenti lasciati al pascolo brado e predati devono dimostrare di avere messo reti elettrificate e poderosi pastori maremmani a guardia del gregge.
La presenza di miti, fiabe e leggende (1) sui lupi pullula quasi ovunque: in Russia la Favola del principe Ivan, dell’uccello di fuoco e del lupo grigio raccolta da Aleksandr N. Afanasjev è probabilmente collegata anche all’«Uomo dei lupi», il caso clinico studiato e pubblicato da Sigmund Freud. Non esiste invece nel folklore italiano un racconto dalla fortuna di Cappuccetto rosso, stampata per la prima volta nel 1697 da Charles Perrault e successivamente dai fratelli Grimm nel 1857: la prima versione raccolta non ha affatto il lieto fine a cui ci hanno abituato le moltissime edizioni della letteratura per bambini e ragazzi: Cappuccetto Rosso, infatti, finisce tragicamente e il testo, tutt’altro che innocente, contiene espliciti riferimenti sessuali.
Ma l’errare del racconto – come quello del lupo – prosegue comunque e la storia viene tradotta in Italia per la prima volta da Carlo Collodi nel 1875. Alcuni lupi compaiono nelle Fiabe Italiane di Italo Calvino (Einaudi, 1956): una origina dal Lago di Garda – «Il lupo e le tre ragazze» – e se anche ad essere ammalata è la mamma e non la nonna della più famosa raccolta francese la più piccina di tre sorelle riesce a consegnare il cibo alla malata per poi essere prima mangiata dal lupo e poi salvata dai contadini che lo uccidono. Dalla Romagna viene la storia di Zio Lupo e di un cesto di frittelle che termina, più simile al racconto francese, «così zio Lupo mangia sempre le bambine golose». Di focacce narra invece «La finta nonna» che, invece di un lupo, è un’Orca ma il cui svolgersi richiama il modello originale.
Eppure nulla ha infiammato l’animo e acceso passione per la natura selvaggia e gli spazi liberi e incontaminati come i due volumi di Jack London Il richiamo della foresta (1903) e Zanna bianca (1906), inseriti anche questi nella letteratura per ragazzi con riduzioni che spesso non rendono giustizia alla lingua e alla tessitura narrativa dello scrittore statunitense.
I due romanzi si parlano, rimandano l’uno all’altro, evocano quella natura indomabile che abbiamo abbandonato e della quale abbiamo incerta e ineffabile nostalgia. Narrano di un cane che diventa lupo e di un lupo che diventa cane ma più che il rapporto con l’uomo – comunque pessimo – London descrive quello con i paesaggi sterminati, con l’istinto, con una natura né madre né matrigna. Scrive London nell’annunciare all’editore Macmillan che si è rimesso a scrivere: «Zanna bianca è il libro compagno, non il seguito del Richiamo della foresta».
Buck, il cane che si farà lupo, lascia in eredità nelle terre del nord est canadese e dell’Alaska la leggenda del cane fantasma che sceglie i boschi dopo che «nel profondo della foresta risuonava un richiamo, ed ogni volta che egli lo udiva, che misteriosamente ne era attratto ed elettrizzato (…viene) spinto a volgere le spalle al fuoco e alla terra battuta intorno a lui, a immergersi nella foresta, sempre più addentro, senza sapere dove andasse e perché, né si domandava dove andasse e perché quando quel richiamo imperiosamente risuonava nel profondo della foresta».
Un cane fantasma che anima i sogni di tanti, adulti e adulte, ragazzi e ragazze. «Tra i personaggi della natura è quello più amato – scrive Raffaele La Capria – per la sua fierezza e per la sua sopportazione ma anche per la sua capacità di amore e riconoscenza». E compagni, i due libri e i due protagonisti, lo sono nell’immaginario e nell’animo, nella nostalgia di terre e di spazi dove, grazie alla letteratura, a noi tutti è dato conoscere la potenza infinita di una natura ancora inviolata, un desiderio di altrove, una mancanza imperiosa.
[Into the wild/10 – Continua]
Nota della redazione
(1) – Al seguito della letteratura, il cinema ha attinto a piene mani all’immaginario animale, tra tutte le trasformazioni uomo-lupo sono state le più frequentate. Nella tabella sottostante la proposta di un elenco (dal sito: https://www.orroreaprimavista.it/film-lupi-mannari/) e la locandina di un film emblematico.
Un lupo mannaro americano a Londra (An American Werewolf in London) è un film horror
del 1981 diretto da John Landis.