di Francesco De Luca
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A Giancos mi avvicino al furgoncino della frutta. Massimo si districa fra le richieste delle signore. Col cappuccio della felpa sul capo si difende dal venticello che lì domina. È mattino alto. Mare all’apparenza calmo, ma fuori deve essere alquanto agitato. Nel porto nessuna barca è in movimento e, se non erro, il postale nemmeno verrà.
Un’isola isolata e noi isolani, di conseguenza, isolati. Ma non ce ne curiamo e, nemmeno ce ne rammarichiamo. La nostra condizione l’abbiamo assunta col latte materno, e non ci disturba. Al contrario, sembra rinvigorire i vincoli di comunità.
Vedo nelle cassette i carciofi. E’ da tempo che non ne mangio. Mi si sollecita un desiderio. Avviene oggi che sono in pensione. Era impensabile allorché ero in servizio. Eppoi, fare la spesa non è mai stata una mia incombenza. Di conseguenza sono incompetente e inadatto. Ma il pensionamento immette in una condizione di vita del tutto nuova, tanto da ingenerare curiosità insospettate. Anche voglie.
I carciofi, stanno lì, nelle cassette. Avvizziti, dimessi all’apparenza. Epperò mi avvicino per comprarli.
“Quanto al chilo?”
“Fra’ – si gira di scatto Massimo e sorride, e, dietro, le donne presenti – i carciofi si vendono a capo e non a peso”.
Accuso la gaffe e riempio la borsa. Mi si accosta, paziente, Maria, una delle donne, prende la borsa, toglie alcuni carciofi, li sostituisce. “Fa’ fa’ a mme” – dice. È una conoscente. Maria ha intuito i miei limiti e da saggia donna di casa mi aiuta a non essere redarguito da mia moglie, una volta a casa.
Questi sono rapporti fra compaesani.
Mi sovvengono i versi:
I Punzìse?
So’ tanti e so’ uno
Peggio ‘i lloro è chino ‘u munno,
nesciuno
è comme lloro cumpagnune