di Luigi Maria Dies
Questa è la lettura che Luigi Dies, nipote amatissimo di don Luigi “zio Monsignore” – di cui, lui ancora vivente, ha preso il nome – ha tenuto alla rievocazione di Ponza, ieri 16 dicembre. Recapitata dall’autore alla Redazione, con la quale ha interagito durante il periodo preparatorio dell’evento. Lo ringraziamo per la fiducia, oltre che per la testimonianza.
La memoria sarà pubblicata sul sito in tre parti.
La Redazione
Carissimi!
Come ogni anno si ripete la dimostrazione di affetto verso zio Monsignore nel ricordo di quanto ci ha trasmesso.Ci auguriamo che questa diventi una eredità per i figli affinché crescano con i nostri stessi valori.
Ci sono stati altri anniversari. E tanto è già stato detto.
La vita e la storia di Monsignore sono state analizzate e raccontate con ricchezza di particolari. Una vita fatta di attività continue ed instancabili.
Racconti, aneddoti, storie vere, tristi ed esaltanti; sono stati pubblicati articoli.
Al riguardo di un personaggio così poliedrico c’è sicuramente ancora tanto da aggiungere, da confermare e in qualche caso, correggere.
Non mancheranno in futuro occasioni per completarne, con altri dettagli, il ritratto.
In tutte le precedenti commemorazioni, io non sono mai intervenuto, neanche per cantare. Sono stonato, e mio zio stesso, quando lo accompagnavamo noi tutti nipoti che eravamo il suo coro, a me, sottovoce, a denti stretti, diceva: tu statti zitto.
E chi fiata, pensavo io. Non ha mai fatto sconti a nessuno.
Non c’erano figli e figliastri. Neppure quando qualcuno cercò di suscitare gelosie tra i suoi giovani, insinuando favoritismi.
Oggi intervengo, ma per toccare il tema dell’eredità morale e spirituale che Monsignore ha lasciato alla sua famiglia, e non solo. Lo ha fatto esortando, dando l’esempio, tenendo per quanto possibile saldi i contatti.
Proverò a farlo in modo stringato. Però, almeno ogni cinquanta anni, qualche minuto in più concedetemelo.
Sono sicuro che lui è qui dietro di me, e questa volta, non mi dirà di stare zitto.
Monsignore nasce a Gaeta il 14/ottobre/1912. Qualche mese fa sarebbe stato il suo 111º compleanno.
Gli anni dell’adolescenza sono segnati dalla guerra.
I bombardamenti portano via la casa al numero 1 del vico 3 dell’attuale Villa delle Sirene. Il rudere e ancora lì. Non sarà più ricostruita.
La famiglia si trasferisce, in affitto, in prossimità della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, ai piedi della scalinata degli Scalzi. I genitori hanno una pasticceria e in quei vicoli “Gigiotto”, come lo chiamavano, ha il suo bel da fare. Soprattutto la domenica, quando in chiesa è chierichetto ma, subito dopo, nel vicolo, radunando tutti i gli amici, allestisce un piccolo altare e dice messa imitando fedelmente gesti e linguaggio del sacerdote. Celebra in latino, fa le prediche.
Luigi Dies ‘vuole’ essere sacerdote.
Ma non ci sono le possibilità economiche. Sono gli anni di crisi del primo dopoguerra.
La pasticceria è in difficoltà. In questi casi tocca al maggiore dei fratelli rimboccarsi le maniche, e, dei quattro fratelli, il più grande è Luigi.
Niente seminario, dicono i genitori.
Ma noi tutti abbiamo un destino. Per cui, convinta che fosse la cosa giusta da fare, a rendere realizzabile questo desiderio riesce zia Teresa Di Janni, una cugina della madre.
Zia Teresa. Cresciuta formandosi con la lettura dei tanti libri sacri e non, avuti in regalo da uno zio sacerdote. Una vita totalmente divisa tra famiglia, preghiera e dedizione al prossimo.
La figlia, suor Maria Magliozzi, con il suo aiuto economico costruirà un convento a Pastena (Frosinone).
Teresa dedicherà completamente ai poveri energie e sostanze.
È esattamente la figura di donna nella Chiesa che verrà tratteggiata pochi anni dopo dal Concilio Vaticano II. Nel 1994 Teresa fu proclamata Beata.
Sono questi i frutti che maturano quando una famiglia unisce le forze, si abbraccia e si sostiene. Di Teresa Di Janni c’è un breve profilo che ho stampato e distribuito.
Teresa convince tutti: Gigiotto può realizzare il suo sogno. Dall’altarino nel vicolo al seminario.
Sono gli anni in cui studia e si prepara, pieno di entusiasmo.
Dal seminario, sono tante le lettere verso casa. Ne leggerò, di alcune, poche righe. Al fratello.
“Amatissimo fratello mio, ho ricevuto i tuoi soldi riconfermandomi sempre più nell’ottima opinione che ho di te e del tuo ottimo buon cuore. Veramente io non meriterei tutte queste finezze d’affetto che mi prodighi ma son sicuro che se tu non lo facessi non rimarresti soddisfatto nel tuo cuore che, amo ripetere ancora: è nobile davvero. Grazie Salvatore mio, grazie. Mamma mi ha fatto sapere che sei passato in saletta (…)”.
Salvatore ha lasciato gli studi e il Nautico per imbarcarsi. Qualcuno i soldi a casa li deve pur portare.
– Ci penso io – dice (Salvatore) alla madre -, ma tu, Sisina a servizio da quello non ce la mandi più (… e zia Mimma che mi racconta di alcune “persone ambigue” che bisognava tenere a distanza.)
Il legame tra fratelli è molto saldo. E lo vedremo.
Continua la lettera.
“Tu intanto non dimenticare che sei cristiano, hai ricevuto tante grazie dal Signore, e hai un fratello dedicato a Dio. La tua condotta deve essere esemplare, devi tenere a vile il divertimento pericoloso e ti devi ricordare che hai la famiglia e l’avvenire che ti sorride pieno di belle speranze”.
E ancora…
“Fratello mio, il pensiero di Dio che ti guida e il ricordo costante dei tuoi cari che ti seguono dovranno essere i pensieri atti a formare di te un vero uomo avendone tu l’età sufficiente”.
(…)
“Caro fratello, quando puoi, mandami un po’ di soldi… – “sfusi” -… per i miei bisogni” (…).
Questo termine ora ci fa sorridere e ci fa fare un tuffo in quegli anni dove si andava a comprare il latte e l’olio portandosi la bottiglia e il pane con il pezzo di giunta per completare il peso.
“Forse ti secco troppo ma so bene che a te mi posso rivolgere sicuro di essere accontentato. Quelli che mi hai mandato sono serviti per la retta di marzo, e così sono a posto. Coraggio mio caro, e spera in Dio. Tuo fratello Luigi, Chierico dì Gesù”.
Gli anni del seminario passarono e, il bambino generoso e devoto del vicolo da Posillipo tornò a Gaeta sacerdote colto e preparato in ogni campo.
Un’eccellenza che aveva già fatto breccia nel cuore del suo vescovo (monsignor Dionigio Casaroli. vescovo dal 1927 fino al 1966, a 97 anni). Un vescovo illuminato che vedeva il giovane Don Luigi simile a lui, pronto e destinato a ruoli di grandi responsabilità.
A Gaeta fu vice parroco proprio ai Santi Cosma e Damiano.
Qui fu subito chiaro che quelle spalle che il vescovo pensava di privilegiare con ruoli di grandi responsabilità, qualcun altro aveva già deciso di caricare con le tribolazioni di un lungo calvario.
In parrocchia qualcuno alimentò il sospetto che fosse lui l’autore di calunnie riguardanti il parroco. Il vescovo, a malincuore, fu costretto a destinarlo ad altra parrocchia e poi a Ponza. A Ponza, di lì a poco, giunsero a don Luigi le scuse di chi lo aveva ingiustamente accusato. Ma restò la ferita.
***
Monsignore arriva sull’isola con tutta la famiglia: la sorella Sisina, la madre donna Gilda, il fratello Mimì, neanche quindici anni, e Salvatore, che naviga, ha lavorato e studiato e sarà presto comandante di lungo corso, e che quando può rientra a Ponza, dove si sposerà.
Anche il comandante che scrive questa lettera è uno zio. Speciale anche lui.
Da Silverstone, Texas.
“Gentilissima signorina, se il suo fidanzato le ha scritto che il principale responsabile del ritardo del suo matrimonio è il qui sottoscritto suo comandante, non ha fatto altro che dirle la verità, perché io non ho permesso che sbarcasse da qui per ritornare in Italia. Le ragioni di tanta durezza di cuore? Ho molti anni di vita di mare e una ben chiara idea dei sacrifici che tale vita impone al nostro cuore. Se avessi acconsentito a sbarcare il suo fidanzato avrei mancato di preparare lui e lei a ciò che sarà il vostro futuro. Se lo avessi sbarcato gli avrei posticipato i suoi esami di patente facendogli mancare ad uno dei doveri suoi verso di lei e la sua facoltà di progredire. In ultimo avrei privato la nave di un ottimo ufficiale. Al suo fidanzato voglio bene come se fosse un mio figlio. Abbia ancora qualche mese di pazienza. Ma desidero che il suo fidanzato metta al più presto avanti al suo nome il titolo di capitano di lungo corso. E vedremo un po’ se potrà riservarmi due confetti dati di cuore”.
Anche queste figure vanno raccontate ai nostri figli.
Era il 2 giugno del 1939 quando a Ponza sbarcò un ragazzone di neppure ventisette anni, alto quasi due metri e un po’ disorientato (come mi raccontò la carissima Genoveffa D’Atri, che era al molo, tenuta per mano dal suo papà Silverio, medico condotto a Ventotene, mio futuro padrino.)
Per Ponza si accesero i motori di un ventennio per passare dal ’700 al ’900.
[Su don Luigi Dies lo sguardo della Famiglia. (1) – Continua]