Editoriale

Epicrisi 455. Il vecchio non basta, il nuovo non decolla

di Enzo Di Giovanni

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Partiamo senz’altro dalla lieta novella, che è stata anche la prima notizia della settimana appena trascorsa: E’ nata Eleonora! A mamma Simonetta ed a papà Elio gli auguri della redazione, e miei personali.

Si parla poco di Ponza, questa settimana.
Non è una novità: ne discutiamo spesso tra di noi, nella redazione, quando ci interroghiamo sul futuro del sito che, dall’alto dei suoi 12 anni circa di vita si è arrogato ormai il diritto di crescere in maniera autonoma, e girare per il mondo in attesa di decidere cosa fare da grande.

Abbiamo saccheggiato ampiamente le scorte di memoria, come da epigrafe, per raccontare a noi stessi ed a chi ci legge il senso di un mondo del tutto particolare come può essere un’isola minore del Mediterraneo.
Ce lo siamo raccontato in tutte le salse, condendo il piatto con le sensibilità e gli umori personali, ed ancora tanto abbiamo da scrivere, ma con sempre crescente preoccupazione.
Preoccupazione non verso Ponzaracconta: il sito è vivo e riesce a stuzzicare nuove storie e nuove penne, pur dopo tanti anni.

Infatti il punto è un altro: la preoccupazione vera non è nella quantità di pezzi che si richiamano in maniera esplicita all’isola, ma la povertà di una comunità che ci appare sempre più disarmonica.

E’ vero che la storicizzazione consegna ai posteri forme di verità che alla contemporaneità non appaiono chiari, come ci ricorda il pezzo di Del Gizzo a proposito dell’anniversario della morte di Giuseppe Pinelli, ma non possiamo non chiederci cosa Ponza produce, cosa stia producendo di vivo che possa un domani essere degno di memoria, ed oggi foriero di sviluppo.

Ecco, i pezzi su Ponza di questa settimana, sarà forse complice la melanconia tipica di inizio inverno, ci parlano di occasioni perse, di amici che se ne vanno e con essi un mondo che non esiste più.

Giuliano Massari in questo contesto è stato una figura emblematica, non solo perché ci ha lasciato diversi scritti su Ponza e i ponzesi che gettano nuova luce sulla storia e sugli usi e costumi dei suoi concittadini acquisiti, come ci ricorda Silverio Lamonica in ci ha lasciato Giuliano Massari.

Personalmente ricordo quando mi chiese di scrivere una prefazione per una delle sue tante opere, un volumetto-omaggio alla memoria di Pierino Coppa.
Credo che l’interesse genuino di Giuliano verso Ponza e soprattutto i ponzesi fosse legato alla consapevolezza di essere un personaggio-ponte: giunto a Ponza come tanti negli anni ’50, quando la nostra isola era in grado di esprimere un cultura e delle tradizioni riconoscibili, se ne era immediatamente impossessato.
E sono certo che gli attestati di stima e di affetto giunti da più parti nei suoi confronti li avrebbe apprezzati sicuramente, perché chi sceglie di approdare su queste sponde, in questa terra fatta di silenzi, solitudini e natura indomabile, ha solo un desiderio: essere riconosciuto.

Per dirla con le parole di Vincenzo Ambrosino nel suo Giuliano, uno di noi: lui non era nato su quell’isola ma la sentiva sua perché aveva avuto il privilegio di averla conosciuta veramente.

Quanti oggi potrebbero dire la stessa cosa?
Quanto resta, oggi, del mondo descritto da Vincenzo nel salutare Giuliano?
Per capirci: il mio non è uno sterile e nostalgico amarcord.

Quella Ponza esprimeva saperi tramandati e da tramandare, frutto di secoli di colonizzazione. Conoscenze forti, che bastavano a giustificare il senso di una comunità e a consegnarla ai posteri.
E capaci di attrarre persone di alto profilo come il nostro Giuliano, affascinati da una comunità che sembrava bastare a se stessa, e al contempo fortemente inclusiva.
Che le cose non siano più così, è evidente da tempo.

In Oggi, 12 dicembre, Del Gizzo, tra altre cose, si interroga sul senso di rappresentare: sul fatto che tutti noi vorremmo riconoscerci – ed essere appunto  rappresentati – da qualcuno che rappresenti il meglio di ciò che siamo. O che almeno così dovrebbe essere…

In Muretti a secco, una tipicità anche ponzese, segnalato da Biagio Vitiello, si parla di una iniziativa del Parco Nazionale delle Cinque Terre, in Liguria, che aderendo ad un progetto europeo, formerà 18 operatori sulle tecniche costruttive di muri a secco. Tradotto: un’altra occasione mancata.

Qualche commento al messaggio natalizio del sindaco, e Rifiuti urbani, lettera aperta al sindaco, rispettivamente di Guido Del Gizzo e Tonino Impagliazzo, lamentano la mancanza, a più livelli da parte dell’Amministrazione di un profilo, o per meglio dire di una visione tale da rappresentare un progetto di sviluppo che sia virtuoso sia economicamente che in prospettiva, in un ambito di economia circolare e identitaria per l’isola.

Ci sono altre persone da ricordare questa settimana a Ponza.
C’è da ricordare Silverio Morlè, che ci ha lasciato dopo una vita sul mare, come pescatore e marittimo.

E’ sabato 16 dicembre l’incontro per ricordare monsignor Luigi Dies. Figura cardine della vita religiosa e socio-culturale dell’isola per ben 34 anni, dal 1939 al 1973, anno della morte. Agli albori della modernità, monsignor Dies è stato un riferimento fondamentale della comunità ponzese. Si potrebbe dire che la sua morte corrisponde alla nascita del turismo, e con esso ad un cambio di prospettive e di segni. Un passaggio di testimone che viene raccontato in Il passato, il presente e un breve ricordo di monsignor Dies da Pasquale Scarpati, che si immerge con una serie di flashback in quegli anni tracciandone valori e criticità, visti con gli occhi di un ragazzo.

Anni difficili, come se il Cristo fosse stato innalzato sulla Croce per i nostri peccati (quindi noi colpevoli) e non per redimere gli stessi.
Il mondo cambia, e non solo a Ponza.

Tra i pezzi proposti dalla Redazione c’è un articolo di Luigi Manconi sulla famiglia. Partendo da famiglie devastate dal dolore, come quelle di Giulia Cecchettin e di Giulio Regeni, che hanno saputo fare del loro dolore un interesse pubblico, necessario per un cambiamento non procrastinabile in una società profondamente mutata. Per Manconi la disgregazione delle forme tradizionali di organizzazione familiare non ha creato il deserto. Le famiglie cosiddette arcobaleno, perciò, non rappresentano una eccentricità esistenziale, bensì uno tra gli effetti di quella crisi e, allo stesso tempo, un suo antidoto.
Insomma c’è speranza, se si coglie il cambiamento senza snaturare e al contempo senza chiudersi alle nuove conoscenze.
Sul ruolo del padre, figura cardine perchè quella più in crisi – non a caso si parla di fine del patriarcato -, consiglio il bel testo di Luigi Zoja Il gesto di Ettore. Preistoria. storia, attualità e scomparsa del padre.

A Roma, invece, Una mostra su Enrico Berlinguer, segnalata da Luisa Guarino, ci offre l’opportunità di una disamina sullo stato di salute -pessimo – della nostra democrazia. Perché Berlinguer era “un intellettuale ancor prima che un politico, quando il Parlamento non era concepito, a destra come a sinistra, come un inutile intralcio ai ‘pieni poteri’ del – o della – premier: con leggi che il Pci da lui guidato contribuì a varare in Parlamento dall’opposizione”.
Ahimè. Difficile non essere d’accordo.

Per chiudere, segnalo i 3 pezzi Green & Blue, racconti di acque, proposti dalla Redazione.

Il grande fiume, ovvero il Po. Ed è un atto di accusa verso un mondo sempre più orientato verso il profitto: “Non abbiamo fatto abbastanza. Quando era il momento. La colpa è tutta nostra. Avremmo dovuto dire, per esempio: ma noi umani siamo fatti d’acqua. Se lo danno alle sorgenti e alle cascate, ai fiumi e alle gocce di pioggia, allora si finirà per dare un prezzo a ciascun essere umano. Un neonato contiene più acqua di quanta ne contiene un vecchio come me”.

Il Riso parte da un mondo perduto, quello delle mondine e del loro canto solidale. Ma anche di un possibile salvifico passaggio di testimone: “Nelle risaie le mondine hanno creato un laboratorio popolare straordinario ma se non cambiamo, il nostro riso si impantana e nessuno lo canterà più”.
Si potrebbe ancora approfittare di questo canto antico per cambiare musica, proporre una nuova metrica: quella della ricerca. Che parte dagli agricoltori, ed è fondamentale per costruire una nuova risaia. È necessario sperimentare strumenti moderni, vedi quelle biotecnologie che vanno sotto il nome di TEA (*), utili a creare nuove cultivar resistenti e adatte ai cambiamenti climatici.

L’Alluvione descrive i tanti effetti dei cambiamenti climatici, tra siccità e piogge insistenti, visti con gli occhi di un novello Noè.

Buona domenica.

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