di Francesco De Luca
Vorrei non ricordare… o, quanto meno, non essere oberato dai ricordi.
Vorrei sentirmi appagato da quanto vivo nella realtà quotidiana.
Ho salute (bastevole), famiglia (compiacente), amicizie (solide) e credenze. Dubito di quello che penso non di quello che vedo scorrere sotto gli occhi.
La realtà, che mi travolge e sconvolge, la miro per la sua poliedricità, per il suo intrigato tessuto, fra natura, cultura, anima e società. Mi meraviglia e mi abbaglia.
I ricordi dovrebbero essere ai margini, e comparire se evocati. E invece no. Essi valicano gli sbarramenti della quotidianità e si piantano nel mezzo del fluire degli eventi presenti. Ingombranti come macigni, e pesanti, e… dolorosi. Di quel dolore sottile come la puntura dell’ago. Non si avverte quasi, non distoglie quasi, ma sta lì, nella coscienza aperta. Fastidioso, non al punto da eliminarlo, insinuante non sino a scacciarlo. Piacevolmente doloroso.
Meglio il suo sottile dispiacere che la perdita.
E’ il velo fatuo che avvolge la vita ad essere elusivo.
Forse è l’età a privilegiare il chiaroscuro, piuttosto che l’acceso folgorio. Mentre il nero della perdita definitiva, di per sé, è il reale padrone del futuro, e nessuno ne può scalfire la presenza.
Il vero si imbroda di desiderio; il passato si intesse di bonarietà; il giusto perde i connotati della necessità, e diviene possibile.
La volontà? E’ attratta dalla desiderabilità, ma qui c’è da mettere in campo il proprio convincimento. Qui, almeno qui, la vecchiaia, nella sua dimensione di deplorevole fiacchezza, va ostacolata e, col favore delle circostanze, vinta.
Il presente, per quanto cagionevole, sia l’unico vento a spirare sull’andamento del tempo, delle sue novità, delle inattese. Perché il ricordo, pur se non previsto, è un già-vissuto, epurato dalle asperità e, seppur con note dolenti, esse sono carezzevoli, blande, delicate.