di Francesco De Luca
C’è un’atmosfera rarefatta. Questo pomeriggio di novembre vorrebbe prolungarsi a dispetto del sole che si sta chinando, come avesse fretta. Dopo una giornata splendida, calma di mare e di vento, e di sentore antico, quando l’isola non aveva scopi da agguantare se non quello di trascorrere il tempo nella serenità dei rapporti.
L’autunno si dipinge malinconico, se lo si paragona all’estate e alla frenesia che la pervade e che non permette di saziarsene. Troppa fretta, troppo consumo, troppa avidità.
Non era così quando per lo più gli isolani l’autunno li invogliava a sistemare le barche, gli attrezzi da pesca, ad ordinare la cantina, a pulire la campagna.
A dare il senso della condizione umana dei Ponzesi era il fuoco dell’erba secca e della ramaglia. Al fuoco non si può imprimere accelerazioni, la combustione segue il suo processo. E il fumo viene agli occhi. Ti allontani e s’alza come un pinnacolo. Le canne secche generano fiamma, ì pugniente d’ asparece sfrigolano. Bianca, la colonna si inerpica nel cielo, chiamando un’altra che si leva dal cavone sotto monte Pagliaro, e ancora, con quella che da Frontone dispiega appieno la sua presenza. L’una chiama l’altra, e sembrano parlarsi.
Nel porto le barche stanno quietate. C’è sentore di maltempo, che dovrà alzarsi domani, e i pescatori sui gozzi danno sistemazione agli attrezzi.
Le strade vedono i soliti pensionati oziosi. Che gghiurnata ‘i pace ! Ciascuno a badare alle proprie mansioni. Quella signora col passo svelto deve essere un’insegnante furastera che si ritira dopo le ore di lezione. E il pensiero va alla signora Lola ( vedova Scotti ): insegnante di un corpo docente che dava al paese esempi di signorilità e di professionalità.
C’era un desiderio di serenità in novembre. Nonostante la caccia venatoria aperta. La configurazione a baccello del territorio ponzese fa sì che gli spari provenienti dalla massaria, così come quelli da Frontone e dai Conti, trovino amplificazione nel cavo del Porto borbonico. Michele sarà contento del passo d‘ i merule ( merli ). Gli uccelli anticipano i temporali che stanno scendendo lungo la dorsale appenninica.
C’è la medesima attesa. Di..? Di quello che accadrà. Le guerre del mondo appaiono lontane, dalla carne ma non dal cuore. Gli isolani vivono le vicissitudini nazionali di rimbalzo. E’ bene? E’ male? E’ così. Il che non genera indifferenza, lontananza, no,… genera una più serena partecipazione. Non distanza emotiva. La reazione è più soppesata.
C’era un desiderio di compartecipazione. Si avvertiva che il centro del mondo non dimorava fra questi scogli, ma ci si sentiva, e ci si voleva sentire affratellati.
C’è la stessa aria di dolce attesa, di pacata solidarietà, di sereno andare del tempo.
La sera cala con un silenzio umano discreto. Domani il ponente disarticolerà ogni ordito e riaffermerà con forza il potere della natura.
Gli isolani sanno attendere. Il volto e il colore della luna al tramonto suggerirà loro motivi d’esistenza, andature di vita serena.