proposto da Sandro Russo
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Non appaia strano introdurre un argomento di filosofia sul sito. L’occasione è data dal libro di Luca Sommi, ‘La Bellezza’ di recente presentato – da cui questo scritto è ripreso -, e il tema trattato è quello dell’illuminismo. Ma continuando a leggere vedrete che non si parla di cose astratte, ma delle basi stesse del pensiero moderno, come di recente letto in Lezioni di politica (7). Il cuore della Sinistra. E grandi uomini del passato citati sono sì Voltaire e Kant, ma anche Dante, Calvino e Paul Klee… e perfino Stanlio e Ollio.
Il migliore dei mondo (im)possibili. Voltaire
di Luca Sommi
È il momento in cui l’umanità smette di essere «minorenne» ed entra nell’età «adulta». Rispose così Immanuel Kant quando gli chiesero cos’era l’Illuminismo. Lo fece con un saggio pubblicato sulla rivista tedesca «Berlinische Monatsschrift» nel 1784.
Ecco il passo fondamentale: «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato dí minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo» (1).
E fino a quel momento, un po’ per indolenza – spesso è più comodo demandare ad altri – un po’ per paura – l’ignoto è assai poco confortevole: «Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che pensa per me… io non ho più bisogno di darmi pensiero di me. Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare…» (2).
Tradotto: dogmi, superstizioni, potenti, scaltri hanno avuto vita facile finché l’umanità non si è svegliata. L’Illuminismo, dunque, offre a tutti la possibilità di pensare con la propria testa, avere un autonomia critica, emanciparsi dalle superstizioni, insomma di decidere in autonomia ciò che è bene e ciò che è male per la propria vita.
Il poeta latino Virgilio esorta Dante per tutta la Commedia a sviluppare «lo libero arbitrio» fino alle ultime parole che gli rivolge prima del congedo: «Non aspettar mio più dir né mio cenno; libero, dritto e sano è tuo arbitrio» — (non serve parafrasi, vero?).
E Dante poco prima si rivolge al suo maestro evocando il lume della ragione, lui, poeta cristiano seguace della Scolastica di Tommaso d’Aquino: «Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte». Ossia: facesti come quelli che camminano di notte portando il lume dietro a sé, e non davanti per giovarsi della luce, però dietro di te fai le persone consapevoli.
Ecco, un verso che si può considerare antesignano dell’intera epoca dei Lumi, con quattrocento anni di anticipo.
Uno dei testi fondamentali dell’Illuminismo è Candido, ovvero l’ottimismo di Voltaire, ossia il filosofo che a ragion veduta è da tutti considerato il patriarca dell’Illuminismo. Una sua frase su tutte: «Le streghe hanno smesso di esi-stere quando noi abbiamo smesso di bruciarle»
La storia raccontata in Candido è molto semplice e inizia così: «C’era in Vestfalia, nel castello del signore barone di Thunder-ten-tronckh, un giovinetto che la natura aveva dotato di costumi assai mansueti». Questo giovinetto di nome fa Candido, è orfano – si dice che sia figlio della sorella del barone e di un suo amante – e ha un precettore, un maestro che si chiama Pangloss.
Candido – Voltaire segue attentamente le sue lezioni insieme alla figlia del barone, Cunegonda, della quale si innamora. La dottrina di Pangloss è categorica: «Viviamo nel migliore dei mondi possibili» e «tutto ciò che esiste ha ragione di esistere». Voltaire attribuisce a Pangloss tutti i capisaldi della dottrina del filosofo tedesco Leibniz, mentre lui, incarnatosi in Candido, crede (in breve) che il migliore dei mondi possibili lo facciamo noi.
La storia si sviluppa sull’amore tra i due ragazzi che, colti nel bacio, provoca l’espulsione di Candido dal castello: «Cacciato dal paradiso terrestre, Candido camminò a lungo senza sapere dove, piangendo, alzando gli occhi al cielo, volgendosi spesso verso il più bello dei castelli che racchiudeva la più bella delle baronessine».
Destino vuole che poco dopo il castello venga saccheggiato e la famiglia trucidata, si salva solo la baronessina anche se è preda dei soldati e Candido finisce per arruolarsi suo malgrado con questi bulgari prussiani.
Da qui inizia una vicenda molto intricata che vedrà Candido e Cunegonda protagonisti, Pangloss rischiare la condanna a morte, un viaggio oltreoceano per fuggire e trovare una terra di pietre preziose, El Dorado (che garantirà loro ricchezze per vivere), nuovi amici «illuminati» e il ritorno in Europa. Si ritirano tutti in una fattoria, fatta di poche cose, semplicità del vivere, dove ognuno sviluppa i propri talenti e contribuisce alla vita della piccola comunità.
Pangloss lo racconta chiaro a Candido, a Cunegonda e a tutti gli amici presenti: «Le grandezze sono assai pericolose, riferiscono tutti i filosofi: perché insomma…» e segue elenco di grandi finiti male, da Pirro a Perseo, da Cesare a Nerone fino a tutti gli Enrichi di Francia. E Candido spiazza tutti: «So anche che bisogna coltivare il proprio giardino».
Ecco la metafora su cui tutto ruota, coltivare il proprio giardino, il libero arbitrio. E anche Pangloss gli dà ragione: «L’uomo non è fatto per il riposo».
Martino uno degli amici, filosofo anch’egli: «L’uomo è fatto per vivere nelle convulsioni dell’inquietudine o nel letargo della noia».
Insomma, dietro la leggerezza di Candido e dei suoi amici si cela un’aspra critica alla vita vissuta «per delega», raccontata come un romanzo d’avventura, a volte quasi d’amore.
Una critica di Voltaire alla civiltà contemporanea, tanto da creargli non pochi problemi. Ammirato da Leopardi e Valery – per dirne due, la lista completa sarebbe infinita -, Voltaire descrive un Candido che usa la satira come strumento di denuncia. Nega sia l’ottimismo acritico sia il pessimismo fatalista.
Lui, come Candido, è un ottimista razionale. A patto che lo si lasci «coltivare il suo orto»: dopo i settant’anni, raccontava quanto amasse zapparlo a Ferney e quanto fosse grande il piacere che ne ricavava.
Italo Calvino scrisse pagine meravigliose su questo libretto, descrivendone ciò che ne esce in modo limpido: «Un mondo che va a catafascio, in cui nessuno si salva in nessun posto. […] La connessione tra felicità e ricchezza dovrebbe essere esclusa, dato che gli Incas ignorano che la polvere d’oro delle loro strade abbia tanto valore per gli uomini del Vecchio Mondo».
E Calvino evoca un artista, Paul Klee, che nel 1911 illustra il Candido con personaggi filiformi «animati da guizzante mobilità», quasi a dare una forma visuale «all’allegria energetica» di questo libro. Sì, perché per lui la vera forza di questo testo è il ritmo, più del racconto filosofico, più della pulsione satirica, più della morale che, di pagina in pagina, prende forma il ritmo «direi musicale», dice Calvino. Un ritmo talmente vorticoso che ci descrive un Candido mansueto, mite, che improvvisamente si ritrova con due cadaveri sulla coscienza.
Cosa che gli viene rinfacciata proprio da Cunegonda: «Come hai mai fatto, tu che sei nato così mansueto, ad ammazzare in due minuti un giudeo e un prelato?» E poi nel volgere di poche pagine magari si ride di gusto.
Sì, perché è proprio in questo avvicendarsi continuo e contiguo di tragedia e farsa che si annida il genio del filosofo: «La grande trovata di Voltaire umorista», dice Calvino, «è quella che diventerà uno degli affetti più sicuri del cinema comico: l’accumularsi di disastri a grande velocità». Avete presente quando Stanlio e Ollio devono far salire il pianoforte sulla scalinata? Ecco, questo intende. Portare al parossismo il senso dell’assurdo. Sempre Calvino: «È un gran cinematografo mondiale che Voltaire proietta nei suoi fulminei fotogrammi, è il giro del mondo in ottanta pagine» quello che porta il Nostro dalla Vestfalia all’America, dall’Inghilterra a Venezia alla Turchia. E poi c’è un Bengodi, chiamato qui El Dorado, che ha tanto di vago come tanto di poco credibile da renderlo perfetta utopia. E al suo interno – dell’utopia – ci sono i moniti del mondo reale, le esortazioni esistenziali e sociali che devono farci riflettere. «È a questo prezzo mangiate zucchero in Europa», dice il ragazzo di colore della Guinea olandese dopo aver informato quali supplizi è costretto a subire. Oppure la cortigiana veneziana, stessa risma morale: «Ah, signore, se lei potesse immaginare cos’è, dover carezzare indifferentemente un vecchio mercante, un avvocato, un frate, un gondoliere un abate; essere esposta a tutti gli insulti; essere spesso ridotta a chiedere in prestito una gonna per andare a farsela togliere da un uomo ributtante; essere derubata da uno di quanto si è guadagnato con l’altro».
Eccolo là il mondo che non è il migliore possibile, ma che l’arbitrio dell’uomo potrebbe far cambiare in un istante. Tutto cambia, basta volerlo. Dunque queste sono pagine contro l’ottimismo provvidenzialistico di Pangloss, ma anche contro il pessimismo acuto di Martin, che a ben vedere – rileva Calvino – è il mentore che accompagna più a lungo Candido lungo la storia. Ma è vano «cercare una spiegazione metafisica del male, come fanno l’ottimista Pangloss e il pessimista Martin, perché questo male è soggettivo, indefinibile e non misurabile».
Come dire che se c’è un disegno nell’Universo non spetta certo all’uomo scoprirlo né conoscerlo, al massimo spetta a Dio.
E allora a cosa serve coltivare il proprio giardino?
«Il faut cultiver notre jardin»: questa esortazione, che oggi può suonare egoistica, in fondo ci dice che forse non serve porsi altri problemi se non quelli che possiamo risolvere con la nostra diretta applicazione. «Non è un caso», fa notare ancora Calvino, «che essa sia enunciata nell’ultima pagina, quasi già fuori da questo libro, […] ma non è neppure un caso che sia la frase del Candide che ha avuto più fortuna, tanto da diventare proverbiale». E aggiunge il fatto che viene scritta nel 1759, esattamente trent’anni prima, della presa della Bastiglia: «L’uomo giudicato non più nel suo rapporto con un bene e un male trascendenti ma in quel poco o tanto che può fare».
Quel poco o tanto che possiamo fare. Avete già voglia di salvare il mondo, vero? Bene! Perché solo chi è così folle da credere di salvare il mondo… lo salva davvero.
Paul Klee, Candide chapitre 1 « Cap. chassa Candide du château à grands coups de pied dans le derrière», 1911, Plume sur papier, Zentrum Paul Klee, Berne
Note
(1) – (2) Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, 1784, in: Immanuel Kant, Maria Chiara Pievatolo (a cura di), Sette scritti politici liberi, traduzione di F. Di Donato, Firenze University Press, Firenze 2011. (Creative Commons)
(3) – Tutte le citazioni a cui si fa riferimento nel presente capitolo provengono da Voltaire, Candido, ovvero l’ottimismo; testo francese a fronte, illustrato da Paul Klee, introduzione di Italo Calvino, BUR, Milano 2001.
(a cura della Redazione) – L’illuminismo fu un movimento culturale diffusosi nell’Europa del ‘700 che faceva appello ai “lumi” della ragione dell’uomo e della scienza come strumenti di lotta contro l’ignoranza e la superstizione dei secoli precedenti.
Raggiunse i suoi massimi in Francia con Montesquieu, Voltaire e gli enciclopedisti intorno alla metà del secolo XVIII. (Una posizione un po’ particolare fu quella di Rousseau.)
Il Settecento può essere denominato il secolo della ragione se si guardano soprattutto gli aspetti politici e sociali, o dell’Illuminismo, se si considerano soprattutto gli aspetti culturali (da Wikipedia, definizione e sintesi)