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Ci avete fatto caso anche voi ? A me appare come un’ossessione. Le gambe si sono inarcate e, forse per lo stesso principio fisico che ignoro, le braccia si sono allontanate dal tronco; l’andatura è divenuta semi-dondolante; la testa, rada di capelli, si evidenzia arrotondata come un pallone; il busto si è appesantito, o meglio, si è dimensionato come una botticella.
Così, con queste fattezze, mi vengono incontro i compagni della mia generazione. Ci salutiamo, commentiamo i fatti dell’attualità, e ci allontaniamo, ognuno per assolvere il proprio impegno mattutino, perlopiù domestico: andare in farmacia, comprare il pane, portare a spasso il cane. Sciamiamo per il Corso, lungo le banchine, al Porto, a passo insicuro.
Sto parlando dei coetanei maschietti, oggi nonni o padri, taluni vedovi, o con moglie (ma a casa).
Così io vedo loro, e così loro vedono me.
Mi ossessiona questa trasformazione che, anno dopo anno, muta il fisico e l’andatura. Che è ciò che si vede. E quel che non si vede? Non mi arrischio ad addentrarmi in questa indagine scivolosa e intrigata perché in ciascuno la trasformazione opera in modo unico, anche se gli aspetti comuni mi balzano agli occhi evidenti e raccapriccianti.
Impressionante mi appare come la vecchiaia, perché di questo sto parlando, muti le procedure mentali della logica. Si diviene più timorosi e dunque più possibilisti, più propensi a soluzioni migliorative e tuttavia più scettici che il meglio possa avverarsi.
Si dice che l’invecchiamento della popolazione sia causa del suo decadimento. Trovo la conclusione appropriata. Le esperienze segnano un percorso logico che la mente preferisce percorrere. Esse insegnano, certo, ma condizionano pure. Nel senso che amano approdare a certe conclusioni piuttosto che ad altre. A quali? A quelle che abbiamo conosciuto nel corso degli anni; a quelle desiderate e… insomma a quelle del passato (bello o brutto che sia stato).
Mentre i giovani, ed è questa la discriminante risolutiva, si lanciano in soluzioni innovative, ipotizzano scenari non sovrapponibili a quelli passati.
Anche questa posizione ha i suoi lati critici. Evidenziati dalla Storia umana. La ‘criticità’ non è sinonimo di fallimento. La criticità, se fatta procedere fra i binari correttivi, non è negativa.
I binari correttivi? Quali sono ?
Lo studio anzitutto. L’ignoranza è la peggiore delle compagnie. L’ onestà intellettuale, quella che coltiva il dubbio, la discussione, il confronto, l’errore. Fattori questi che valgono anche per un intelletto gonfio di esperienze e di anni.
Anche la vecchiaia può controllare il suo declino verso l’usuale, il già detto e fatto. Le costa più fatica ma può rasserenare la sua visione delle cose se dismette la saccenteria, il cinismo, la fede nella reiterazione a scapito dell’innovazione.
È difficile, lo ammetto. Negli scambi d’opinione coi coetanei è dominante la pre-conoscenza della conclusione. Non scalfibile e ineluttabile.
Colpa del degrado del corpo, del nostro corpo, che si vorrebbe fermare, e che coniuga soltanto l’inarrestabilità della decadenza.
“Il dottore mi ha tolto il vino – dice Gennaro, con rimpianto”.
“Io – soggiunge Ciccio – la sera non ceno più… un pezzo di formaggio, qualche biscotto…”
“Sì… e che devo dire io che devo prendere ogni giorno la pasticca per la pressione…”
Tutto è già scritto. Non c’è possibilità di infrazione.
Infrazione? Ma non era l’infrazione il bello della vita?
Ho fatto un discorso discontinuo. E già… perché la vecchiaia è un argomento non gradito… dei suoi corollari poi… meglio non parlarne.
Cerco di dare amenità al tutto con una digressione ulteriore, così …
‘A Rasacca
‘A rasacca va e vene,
sbatte i scoglie, sciacqua e ‘nse frena,
scumma appena, fa ‘nu poco ‘i rummore,
scenne e ‘ind’i fussetelle ‘ntrona.
I pullece (1) fuieno iucanno,
‘u range se bagne e ‘nse bagne,
‘a patella fa finta ‘i niente:
tutto ‘stu sciacquo l’accuntenta.
‘Ind’a ‘stu fragne leggero e quieto
l’occhiatelle (2) luccecanno ‘u sole, tenene arrete
all’aleghe, danne morze
comme ponno, a deritto e a orze (3).
‘A pelosa, annascuosta comme ‘u mammone (4)
‘ind’a paccata è ‘nu mautone (5),
l’acqua ce passa ‘a coppa
essa c’a ranfa (6) sta pronta e tocca.
Addo’ guarde guarde è ‘na palpetazzione,
comme ‘a natura tenesse emozzione.
Tutto se move, niente sta a lutto
e ‘a rasacca vene, va, bagna e s’asciutta.
Note: 1 – pulci di mare; 2 – le piccole occhiate; 3 – a destra e a sinistra: 4 – uomo nero; 5 – immobile; 6 – chela.
Qui la versione recitata:
Immagine di copertina: vignetta di Altan (da Pinterest)