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Il cane possiede la bellezza senza vanità, la forza senza l’insolenza, il coraggio senza superbia,
la ferocia senza crudeltà. E tutte le virtù dell’uomo senza i suoi vizi (L. Byron)
Ripropongo una formula che i lettori del sito sembrano gradire: la proposizione di un film accompagnata dalle mie impressioni a caldo (sintetiche e non rifinite); una recensione (quella che più condivido delle varie che mi trovo a leggere), qualche volta il trailer del film.
Quando facevo le recensioni, per Omero, per Visioni e per il Movieforum di Paola Dell’Uomo non ero molto professionale; prendevo accordi prima per non essere costretto a scrivere (anche) dei film che non mi erano piaciuti, mentre mi profondevo in uno esagerato entusiasmo per quelli che avevo apprezzato.
Per il film di cui voglio qui render conto ho mandato un messaggio whatsapp agli amici più fidati: “Dogman di Besson: Capolavoro! Un western canino con tanto di “arrivano i nostri!”, i buoni vincono, i cattivi fanno una brutta fine. Ci mandiamo Tano di corsa, se si fida. Regia fluida: Besson ha mestiere da vendere (anche come sceneggiatore!); il soggetto che è originalissimo e l’attore (che non conoscevo) è straordinario!”.
Uomini e cani
di Alessandra Azzali – del 3 settembre 2023 – https://www.fatamorganaweb.it/
Dogman di Luc Besson.
«Ovunque ci sia un infelice, Dio manda un cane», è la frase del poeta francese Alphonse de Lamartine che apre Dogman di Luc Besson. Siamo dentro a quello che è il tema centrale del film, elaborato in forma intensamente favolistica: l’infelicità umana e la possibilità che la presenza di un cane la lenisca.
In piena notte la polizia ferma un furgone carico di cani, guidato da un uomo in sedia a rotelle, confuso e ferito, travestito da Marilyn Monroe. Per capirne meglio l’identità e comprendere cosa sia accaduto, viene chiamata una psichiatra – Evelyn –, che riesce ad instaurare un rapporto con lui. Comincia così un lungo colloquio tra i due dal quale emerge, in flashback, la storia di una vita.
Il ragazzo fermato si chiama Douglas, abbreviato Doug (dal suono simile a dog), la sua infanzia è segnata da brutalità e maltrattamenti che lo costringono sulla sedia a rotelle e poi in casa famiglia dove, grazie a una giovane educatrice illuminata ed entusiasta, scopre la bellezza della lettura e del teatro, in particolare di Shakespeare. Non avendo qualcuno che gli dia attenzioni o affetto, “un bambino prende l’affetto che trova”, e l’unico affetto che Douglas trova è quello dei suoi cani, con i quali riesce a comunicare e interagire come se fossero “i suoi bambini”. I cani capaci di coraggio senza superbia, di ferocia senza crudeltà, per lui “hanno soltanto un difetto: si fidano degli umani”.
Una volta adulto, Doug ha difficoltà a trovare lavoro, ma riesce ad ottiene un ingaggio per una volta alla settimana, in un teatro che fa spettacoli di Drag queen. “Se puoi recitare Shakespeare puoi recitare qualsiasi cosa” le aveva detto la sua insegnante. L’esperienza del palcoscenico gli regala gioia e vitalità e la forza di resistere in piedi sulle sue gambe, senza sedia a rotelle, per l’intera durata della sua esibizione. “Mi sono sempre piaciuti i travestimenti. È questo che fai se non sai bene chi sei, giusto? Ti travesti, ti inventi un passato, dimentichi il tuo”.
Così Douglas, travestito da Marlene Dietrich canta Lili Marleen, o si esibisce in playback nelle vesti di Édith Piaf, e Marilyn Monroe, creature devastate, come lui, nell’anima e nel corpo. Nonostante il suo animo sia fondamentalmente gentile, Douglas è capace di violente vendette, che riesce a compiere con l’aiuto dei suoi cani, in grado di capire ogni cosa che egli dica e di compiere meticolosamente azioni precise, come in una favola disneyana. Cercando di vendicarsi di ingiustizie e soprusi subiti, si scontra con una pericolosa gang di criminali generando una carneficina: “cane mangia cane”. L’incontro tra Douglas e Evelyn – con qualche rimando a Il silenzio degli innocenti – è l’incontro tra due persone che trovano nel dolore un punto di intimo e profondo contatto, che conduce ognuno dei due a riflettere sulla propria vita.
Il grande punto di forza dell’intero film è sicuramente l’interpretazione di Caleb Landry Jones che offre una notevolissima prova attoriale, ricca di sfumature, tra innocenza, crudeltà, tristezza, remissività, gentilezza e disperazione, mai sovraccarica e spesso struggente.
Apparentemente un mix tra Joker di Todd Phillips e La carica dei cento e uno, Dogman è in realtà una parabola di dolore e desolazione declinata alla maniera di Luc Besson, in cui, sotto una cifra rocambolesca e roboante, si mette in scena un ennesimo protagonista antieroico, animato non tanto dal mito di vendetta, ma dal disperato desiderio di amore, dal bisogno di trovare un posto nel mondo. E quel posto, in questo caso, è in mezzo ai cani.
Douglas è un drop out, un rifiuto della società :“Il mondo reale non ha fatto altro che rispingermi”. La cinofilia non assume il taglio di un convenzionale animalismo ma i cani rappresentano semplicemente degli esseri viventi capaci di quell’amore salvifico in grado di curare il dolore della vita. I cani come compagni inseparabili, capaci addirittura di salvare la vita. Cosi il cinema ci ha già raccontato che un uomo reietto, escluso e diseredato dal mondo può inaspettatamente trovare salvezza e nuova vita semplicemente grazie a un cane, come accade nello straordinario finale di Umberto D. (di De Sica, 1952 – ndr)
Besson costruisce una sorta di favola nera in cui azione, thriller, horror, elementi fumettistici, si mescolano e si alternano in modo pirotecnico e spettacolare, a tratti kitsch, intorno a questo antieroe malinconico, solo contro il mondo, come Nikita e Leon.
Nonostante lo spunto della storia provenga da un fatto di cronaca (un bambino francese tenuto in gabbia dai genitori), il film evita l’approfondimento sociale, tranne una battuta sull’idea di “ridistribuzione della ricchezza” (che alcuni chiamano “furto”), e dunque ingiustizia ed emarginazione sono sofferenze vissute come stigma individuale, lasciando emergere il ritratto di un’umanità diseredata, in cerca di salvezza attraverso la lettura, il teatro, Shakespeare, il travestimento e l’amore incondizionato dei cani.
Dogman. Regia: Luc Besson; sceneggiatura: Luc Besson; fotografia: Colin Wandersman; montaggio: Julien Rey; interpreti: Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Christopher Denham, Clemens Schick; produzione: LBP, EuropaCorp, TF1 Films Production; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia; durata: 114′; anno: 2023.
Da YouTube, trailer ufficiale del film:
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Sandro Russo
17 Ottobre 2023 at 06:52
Ho recuperato quanto ha scritto sul film Mariarosa Mancuso dalla Mostra del Cinema di Venezia.
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Il primo film per cui fare il tifo – e per candidare l’attore Caleb Landry Jones all’Oscar, diamo per scontata la coppa Volpi a Venezia – è “Dogman” di Luc Besson. Scritto e diretto dal più americano dei registi francesi, racconta di un bambino chiuso dal padre violento nella gabbia dei cani. Saranno la sua unica compagnia – e quando perde l’uso delle gambe la sua unica risorsa per campare. Attaccano i gangster che chiedono il pizzo nel quartiere, entrano nelle case disabitate e escono con quel che luccica.
Per il casting dei cani, una settantina, Besson ha impiegato più di tre mesi. C’era qualche star, con addestratore e la roulotte personale – un dobermann francese che ha richiesto un giorno di riprese tutto per lui. Gli altri facevano gruppo: sul set c’erano 25 ammaestratori, ognuno con la responsabilità di due attori a quattro zampe. E tutti urlavano, mentre Caleb Landry Jones (il nome tenetelo a mente, è uno che scompare nei ruoli che fa) leggeva Shakespeare.
Il primo amore del ragazzino solitario era stata l’insegnante di teatro, più grande di lui. Da qui la parrucca bionda e l’abito rosa da Marilyn Monroe che indossa quando lo vediamo nella prima scena, ferito dopo un incidente. In conferenza stampa l’attore-camaleonte parlava con accento scozzese, esercitandosi per il prossimo ruolo. Dovessimo fare un paragone, a 30 anni ha la bravura colossale di Philip Seymour Hoffman.