Ambiente e Natura

Le grandi Bellezze

di Pasquale Scarpati

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La bellezza artificiale
Vista dallo spazio la nostra Terra sembra più bella di tutti gli altri pianeti. È avvolta da un bell’azzurro intenso. Scorrono nuvole bianche e sulla sua superficie si alternano acque e terre.

L’uomo fin dall’antichità ha sfruttato questi elementi ed ha creato grandi e piccole opere frutto del suo ingegno e della sua immaginazione.
Dalla Natura ha preso esempi ed ogni tipo di materiale: pietre e marmi, sabbia e calce… Li ha manipolati; ha creato, pertanto, ed elevato al cielo, piramidi, cattedrali, archi di trionfo e grattacieli ed ancora monumenti e palazzi di ogni forma e dimensione.
Dal sottosuolo ha estratto materiali informi o anche maleodoranti e con essi ha creato ciò che ne poteva ricavare. Ha usato zolfo e lava. Dal marmo ha estratto immagini di animali, cose e persone.
Ha schiacciato, triturato altri esseri viventi e piante e rocce per ricavarne colori. Con essi ha illustrato e ha dato voce a pareti altrimenti mute; ha fatto vivere tele (in base alla sua creatività ed immaginazione) altrimenti insignificanti. Le ha incorniciate ed appese alle pareti per essere ammirate ed anche analizzate.
Ha impresso il colore sulla roccia (nelle grotte rupestri) e sulla carta (anch’essa ricavata dalla Natura) esplicitando e tramandando in prosa ed in versi il suo pensiero. Ha impresso le immagini su pellicole e le ha proiettate nelle sale e nell’etere Ha usato ed usa le particelle dello spazio per comunicare attraverso suoni ed immagini.
Senza le opere d’arte, città e paesi sarebbero insignificanti ed aridi. Ma non solo le città, anche piccoli paesi arroccati su cucuzzoli di montagna o distesi in amene vallate si avvinghiano alle loro antiche piazze ed ai castelli anche se, a volte, semi-diroccati.
“Giostrano” intorno ad essi attraverso manifestazioni di ogni genere (frutti anch’essi, a volte, dell’immaginazione popolare): palii e sagre, mercatini e processioni; vi si narra l’arrivo di un alto prelato, o quello dei saraceni, qualcuno si rifà alle Gaite, chi ai terzieri e chi alle botti e tantissime altre che sarebbe troppo lungo elencare. Ogni Paese, insomma, a modo suo ama raccontare la sua storia. Per godere, ammirare e… preservare queste bellezze “artificiali”, l’uomo dà il suo contributo anche in moneta sonante. È doveroso, infatti, manutenere ciò che l’uomo ha eretto nel corso dei millenni: dalla preistoria ai giorni nostri.

La bellezza naturale
Ma il Dio Creatore ha dato all’uomo anche quelle Bellezze Naturali che l’uomo ha trovato sul suo cammino ed ha fruito ed usufruito senza mettere nulla di suo, dico nulla: le ha trovate e basta!

Cale e calette, spiagge di tutti i tipi e di tutti i colori, grotte dove le stalattiti e le stalagmiti hanno creato paesaggi incantevoli, anfratti grandi e piccoli, archi naturali, cime innevate, rocce che il vento e la pioggia e la neve hanno disegnato dando loro le forme più strane a cui l’uomo ha dato nomi che per lui avevano un significato. Troviamo così, ad esempio, la roccia dell’Orso e quella dell’Elefante, ’a foca e ’u moneche, faraglioni con storie reali e/o immaginarie.

Cosa ha fatto e cosa fa l’uomo per preservare le bellezze che ha ottenuto gratuitamente? Quasi nulla o nulla del tutto. Le sfrutta soltanto e, stupidamente, nulla fa per tutelare ciò che gli dà sostentamento.
Così mentre le bellezze artificiali in qualche modo vengono tutelate, quelle naturali rimangono allo stato “brado”.
Qualcuno dice che devono essere così: “naturali”, per tener fede al proprio nome!
Se, però, esse non vengono tutelate, potrebbe attuarsi ciò che il mugnaio disse al suo re: “Maestà, se ho acqua, bevo vino; se acqua non ne ho, vino non ne bevo”. Laddove per acqua s’intende, per l’appunto, l’elemento naturale. A sua volta chi ne fruisce, anche se soltanto momentaneamente, dovrebbe anzi deve rispettare i luoghi. Ma dei due, la priorità morale e materiale spetta a chi l’ha in custodia: è lui che deve dettare tempi e modi di fruizione, anche se per attuare ciò, a volte, ci vuole lo stesso ingegno che l’uomo mette per creare, corredato anche da un po’ di coraggio.
Quelle decisioni, infatti, non sono per nulla facili e, come tutte le decisioni difficili, non trovano tutti consenzienti, anzi… Ma, a mio avviso, ne va della vita futura: sua (del custode) e delle Bellezze Naturali. Gli avventori, infatti, vanno e vengono e quando non trovano ciò che è di loro gradimento, sciamano altrove.

Quelle persone, ad esempio, che ho visto nella mia immaginazione in un precedente scritto, scendere dalla nave e marciare con passo cadenzato verso la spiaggia di Chiaia di Luna (quando… se mai riaprirà) portano con sé, nell’andare,  zaini e borse termiche rigonfie. Nel ritorno, in procinto di reimbarcarsi, il pomeriggio o la sera dello stesso giorno, sulla nave che li porterà nei luoghi di origine, le “ho viste”… sgonfie. Cosa vuol dire? É semplice: in essi sono stati riposti panini e pacchi di patatine, e altro… pasta stufata e bevande di ogni tipo. Se pure si vieta loro di rifocillarsi in spiaggia, non si può vietare di rifocillarsi lungo la strada o altrove. Così da una parte chi ospita auspica che giungano tantissime persone, dall’altra si vorrebbe che queste fossero come le si desidera e che sostassero solo un poco, senza far danni. Ma non sempre l’auspicio si avvera, anzi… Quale soluzione?

L’Isola ha subito da sempre un terribile scempio. I nostri padri la denudarono dei boschi per ricavare legna per il fuoco e per le barche. Ma al suo posto costruirono parracine e catene che hanno cercato di manutenere,  a titolo conservativo nel loro interesse, fino a che non è sopraggiunto “il turismo di massa”.
Negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, a Ponza – così come in molti altri paesi della Terraferma, lontani da tutto e da tutti – era molto difficile arrivare a causa della carenza dei mezzi di trasporto sia pubblici sia privati e per la mancanza di denaro.
Così chi giungeva sull’Isola, automaticamente, diveniva anch’esso “piacevole prigioniero” della stessa perché costretto a soggiornarvi per più giorni.
Ad esempio la nave diretta da e per Formia lasciava gli ormeggi soltanto il sabato ed il mercoledì (il giovedì ed il venerdì via Ventotene). Cosicché chi giungeva il sabato sera era costretto a rimanere, giocoforza, almeno fino al mercoledì successivo. Per questo, forse, molte persone si sono affezionate al luogo, alle persone del posto e lo rispettavano.
Qualche raro motoscafo entrobordo faceva capolino nelle calette, qualche barca sospinta da un ronzante piccolo fuoribordo lasciava una sottile scia che si sperdeva nel mare; qualche solitario gozzo, animato da un rumoroso, generoso e puzzolente motore a nafta, lasciava il suo rimbombo lungo le tranquille pareti a strapiombo; solo il gabbiano, impaurito, si levava in volo dalla roccia e fuggiva via stridendo.
In seguito natanti veloci e frequenti, di tutte le forme e dimensioni, pubblici e soprattutto privati, hanno traportato e traportano persone da e per la terraferma in breve lasso di tempo. E queste, nell’arco di una sola giornata, (parafrasando Cesare): veni, vidi et fruiti (giungono, vedono, fruiscono). Pensano così di avere soddisfatto la loro curiosità e di essere stati felici di avere ammirato qualcosa di bello.
Sicuramente hanno visto ma non hanno propriamente… “gustato”. Come quando un ottimo piatto (proprio perché tale) lo si ama gustare lentamente così tutte le Bellezze (anche quelle create dall’uomo e per l’uomo) vanno assaporate, con calma, perché riservano sempre nuovi risvolti, nuove sorprese e scoperte. Spetta, però, a chi ospita invogliare a far gustare ed assaporare più lungamente possibile “l’ottima pietanza”, tutelata.

Ma qualcuno si è posta la domanda: “La Bellezza Naturale resta lì in eterno: granitica, indistruttibile? E’ vero che nulla rimane immutabile, ma è possibile allungare la sua esistenza?”
Così sull’Isola, così altrove, laddove ci si fa vanto della Bellezza Naturale, sarebbe il caso che questa fosse salvaguardata oserei dire di più di quella artificiale perché la seconda può essere, a volte, rifatta (per esempio i dipinti di Giotto ad Assisi o il monastero di Montecassino) la prima, invece, una volta distrutta, è distrutta per sempre (penso tra i tanti esempi, all’arco di Palmarola).


L’arco di Mezzogiorno a Palmarola e (sotto) quel che ne resta, dopo il crollo avvenuto durante una mareggiata, nei primi anni ’60

Le foto d’epoca da Archivio Fotografico di Giovanni Pacifico che ringraziamo

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