di Giuseppe Mazzella di Rurillo(*)
Ricostruzione “sociale” per una “solidarietà collettiva” per una “nuova Casamicciola”,
C’è una considerazione essenziale da fare determinata dall’evidenza: nessuno vuole lasciare la propria casa dalla quale è stato cacciato o dal terremoto o dalla grande alluvione.
Questa casa – ovunque e comunque realizzata – é frutto della lotta umana di chi l’ha costruita. Ci sono i sacrifici economici del possessore. In molti casi ci sono il sacrificio e la lotta degli antenati e quindi quelle mura racchiudono più generazioni dopo il sisma terribile del 1883 e l’alluvione disastrosa del 1910.
É quindi difficile dire a quelle persone che non potranno riavere la propria casa.
Il commissario Legnini vuole agire per una “condivisione con la mano di velluto” all’inevitabilità di una “delocalizzazione”. Vuole far capire che tutte le autorità preposte – infinite nella burocrazia italiana – convergono su questa evidenza. Più escono “autorità” nella gestione del territorio più si aggrava la situazione per difendersi dai rischi naturali perché ciascuna non si prende la responsabilità dopo 14 morti di essere permissiva. Anzi. Più il malato si studia più aumentano i timori, i pericoli, i divieti.
Almeno 2mila persone vivono o non vivono in aree di estremo rischio. Ecco perché Legnini è il “commissario dalle lunghe ordinanze” che ormai messe insieme diventano un “testo unico” ma senza il riferimento logico essenziale che sarebbe un “disegno di pianificazione pluriennale” e non oso più chiamarlo “piano” perché è termine abusato e ridicolizzato per competenza e rinvii alle calende greche dell’inutile assessore regionale all’urbanistica Bruno Discepolo.
Prima o poi emergerà la scelta dolorosa e drammatica per tutte queste persone. Meglio sarebbe dire la dura verità. Affrontare la tragedia. Richiamare una solidarietà collettiva. Cominciare a ricostruire un sistema viario. Ricostruire edifici pubblici. Avviare una seria edizilia residenziale pubblica. Presentare una “carta geografica” per una nuova Casamicciola e andare avanti per una ricostruzione “pubblica” anche di quello che è “privato”. Siamo entrati nel settimo anno dal terremoto e nell’anniversario dell’alluvione. Non ci resta che piangere.
(*) direttore de “Il Continente”