segnalato alla redazione di Ponzaracconta da Barbara Lonardo… con il pensiero a certi giorni d’agosto, a Ponza
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Eccesso di turismo in montagna e il patto del non racconto
di Michele Comi – Da https://www.montagna.tv/ del 29 agosto 2023
L’eccesso di turismo è un problema conclamato per le Alpi.
Per fortuna esistono ancora spazi così rari e preziosi che meritano di non essere raccontati, se non per quello che suscitano in noi quando li attraversiamo
Questo accade quando i luoghi di villeggiatura si trasformano in enormi parcheggi, provocando ingorghi chilometrici, con carovane di persone che si incolonnano lungo i sentieri più gettonati ed eserciti di vacanzieri si accalcano a caccia di selfie, con sfondi tutti indistintamente “mozzafiato”.
Il tal modo il crescente bisogno di svago in paesaggi naturali non contraffatti, presto diventa fuori controllo e si trasforma nel peggior acido corrosivo in grado di annientarli.
Ahinoi il paesaggio ridotto a spettacolo non coinvolge solo gli spazi più scenografici e di facile accesso, ma progressivamente va ad interessare creste, pareti, ghiacciai… un tempo ritenuti inattaccabili.
La spettacolarizzazione delle vette, più o meno alimentata dall’industria dell’outdoor, arriva all’improvviso e travolge in un istante angoli di paradiso, spazi riservati, giardini un tempo incontaminati.
L’onda nera dei social network alimenta a dismisura il contagio, bastano poche immagini per dirottare flussi di arrampicatori, trekkers, sciatori fuori pista, ciaspolatori e pure alpinisti verso la destinazione “cool” del momento.
È assai difficile arginare il fenomeno, soprattutto nei luoghi arcinoti, ormai contagiati dalla maledizione di instagram.
Per fortuna esistono ancora spazi così rari e preziosi che meritano di non essere raccontati, se non per quello che suscitano in noi quando li attraversiamo.
Ormai abbiamo fatto il giro del globo e il globo è finito. Più conosciamo in superficie ogni spazio remoto, meno sappiamo penetrarlo nel dettaglio.
Più cediamo alla spettacolarizzazione, più rinunciamo a conoscere per davvero questi ultimi spazi selvaggi, ormai ridotti a piccoli scenari di “imprese” umane, troppo umane.
Quando abbiamo la fortuna di esplorarli, magari per caso, può essere utile e salutare, per noi e per questi ambienti ormai sempre più rari, attenersi al patto del non racconto.
Il patto del non racconto è un semplice impegno a non mostrare alcuna descrizione, foto, suono o video riconducibile a questi piccoli, grandi, Eden perduti.
Ricordandoci che solo luoghi speciali come questi consentono di mettersi in ascolto e favorire una tale sintonia fine, così potente da farci dimenticare la necessità corrente di frequentarli quasi sempre solo per esibirli, come si fa con un trofeo, senza comprenderli realmente.
Insomma si tratta di tentare di ridimensionare il nostro “io” supponente e magari tornare arricchiti alla nostra routine, un’occasione per disfarci delle medaglie di latta con cui ci nutriamo ogni giorno, in una sorta di contagio collettivo.
Il Kangchenjunga. Immagine da: https://www.montagna.tv/ (foto iStock)
Il Kangchenjunga è la terza montagna più elevata della Terra con i suoi 8586 m s.l.m. Situata al confine fra il Nepal e lo Stato indiano del Sikkim, è la cima più alta dell’India, il più orientale degli ottomila dell’Himalaya e, dal 1838 al 1849, ritenuta la vetta più elevata del pianeta, fino a quando rilevamenti britannici appurarono che Everest e K2 erano più elevati.
Sandro Russo
6 Settembre 2023 at 07:17
Non so che pensare, di quest’articolo. Sicuramente dettato dall’amore per un luogo delicato e prezioso – la montagna in questo caso, ma la similitudine con Ponza è immediata -, che non si vorrebbe veder snaturato. Un punto di vita un tantino elitario – “Abbiamo scoperto un Paradiso e non lo diciamo a nessuno!” – ma sicuramente un buon tema per un civile confronto di idee. Molto teorico, tra l’altro. Non è che l’affollamento si riduce perché non si diffondono foto e notizie: ben altre sono le variabili in gioco.
Guido Del Gizzo
6 Settembre 2023 at 16:45
Qualche anno fa, un famoso produttore di lampade, Slamp SPA, si rivolse ad un consulente, Francois Zille, per la realizzazione di un catalogo e altro.
Risultato della collaborazione, fra le molte altre cose, fu un aforisma , che poi fece parte della grafica di una lampada, che diceva pressappoco (vado a memoria): – A che serve visitare città lontane, ammirare paesaggi inebrianti, entrare nei musei dell’Oriente e perderti nei mercati di spezie profumate se poi, quando torni a casa, sei lo stesso co……e di prima?
Il turismo vissuto con la sindrome del “faccio vedere a tutti che anch’io sono stato lì” è solo la conseguenza, secondo me, del tipo di offerta turistica disponibile.
Ho già sostenuto, in più occasioni, che solitamente il turismo non porta sviluppo, ma solo sopravvivenza sul medio periodo, e il prezzo da pagare è il consumo dell’oggetto turistico, sia esso territorio, opere d’arte, monumenti e quant’altro.
Se i territori non offrono identità da conoscere, possono solo diventare il palcoscenico passivo di comportamenti stupidi e dannosi: come la Maremma che conosco da sessant’anni oramai, dove stupidi motoscafi escono dal porto di Punta Ala, percorrono meno di un miglio per ancorarsi a pettine, uno attaccato all’altro, come in porto, e sparano musica a tutto volume, rompendo ‘le orecchie’ (diciamo così) a tutti, nel raggio di due chilometri…
Quanto alla possibilità di “preservare” dei luoghi, è un’illusione che ho perso vent’anni fa, quando decisi di portare moglie e figlie in un angolo di natura incontaminata, sul fiume Merse, che avevo scoperto da ragazzo ed era uno dei miei posti romantici:… Ci abbiamo trovato un raduno rave…
A Ponza, invece?
Gianni Sarro
6 Settembre 2023 at 19:11
Certo l’argomento è delicato. Il turismo serve, il problema è che stiamo diventando progressivamente più incivili. Qualche dubbio, sull’attuale modello di turismo, è più che lecito.