segnalato dalla Redazione, da la Repubblica
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Una nuova serie appena iniziata su la Repubblica riguarda un approfondimento di diverse categorie della politica, di cui spesso facciamo un uso approssimativo o disinvolto. Certi che sarà un tema che attirerà i nostri lettori in cerca di chiarezza.
A SCUOLA DI POLITICA.1
Si fa presto a dire totalitarismo
di Roberto Esposito
Una parola associata indifferentemente a nazismo e comunismo Ma è difficile omologare fenomeni storici così differenti
Le destre al governo danno per scontato il significato di una categoria tutt’altro che neutrale, anzi da sempre contesa da forze politiche rivali
Certo, i collegamenti trasversali non mancano: violenza, primato del partito sullo Stato. Ma in un quadro ideologico nettamente diverso
Le parole non sono tutte uguali. Alcune scivolano sulle cose, limitandosi a descriverle. Altre penetrano nella realtà, spostando gli equilibri a favore degli uni o degli altri. Creano nuove egemonie, o la loro illusione. Perciò sono contese, diventano terreno di una battaglia ideale che è sempre anche politica.
La prima di queste parole, su cui puntare l’attenzione, è il termine-concetto di “totalitarismo”. Non a caso è stato frequentemente evocato dalla destra italiana di governo come schermo protettivo rispetto alla richiesta di tagliare i ponti con il fascismo: non con il fascismo in quanto tale, si è risposto da parte dei suoi esponenti, ma con tutti i totalitarismi. Dando così per scontato il significato di una categoria tutt’altro che neutrale, anzi da sempre contesa da forze politiche rivali.
Coniata dagli antifascisti italiani nei primi anni Venti contro il fascismo, era stata poi appropriata da questo — da Mussolini e da Gentile — e rovesciata in senso positivo contro i loro avversari. Ripresa negli anni Trenta e Quaranta in Francia, in funzione anti-stalinista, e in Germania in chiave antinazista, aveva trovato, nel 1951, una potente sistemazione nel libro di Hannah Arendt sulle Origini del totalitarismo in un’analisi comparata di nazismo e stalinismo (Einaudi, con un saggio di Simona Forti).
Tradotta in lessico politologico da Carl Friedrich, Zbigniew Brzezinski e Raymond Aron, nel periodo della guerra fredda ha svolto una funzione strumentale in chiave anticomunista, attirandosi critiche non ingiustificate. Arretrata da autori come Jacob Talmon e François Furet alle origini della rivoluzione francese, o addirittura al platonismo da Karl Popper, ha finito per perdere ogni pregnanza storica e semantica, diventando un modo, per chi l’adoperi, di sfuggire a una chiara presa di posizione politico-culturale.
I problemi che ha suscitato nel dibattito più recente sono essenzialmente due — il rapporto col fascismo e la connessione tra nazismo e comunismo.
Quanto al primo punto, ancora nel suo ultimo libro, Totalitarismo 100. Ritorno alla storia (Salerno 2023), Emilio Gentile ha chiarito in maniera definitiva come stanno le cose. Se per totalitarismo s’intende un sistema, in una società di massa, che fa uso sistematico della violenza e del terrore, monopolizzando i mezzi di comunicazione, il fascismo ne ha costituito il prototipo in Europa. Contro i tentativi di ridurlo a una forma di bonario autoritarismo, va detto che esso è entrato in profondità nella società, nella cultura, nelle istituzioni italiane, corrompendole. È vero che, sul piano storico, nonostante le guerre coloniali di sterminio, si è macchiato di crimini quantitativamente assai minori rispetto al genocidio nazista. Ma sul piano paradigmatico non ha fatto che anticiparlo. Anche se non sono la stessa cosa, senza fascismo non vi sarebbe stato nazismo.
Ma proprio sul piano paradigmatico — cioè nella sua essenza “filosofica” — il nazifascismo è difficilmente comparabile con il comunismo. Non per numero delle vittime — quelle dello stalinismo sono state anzi maggiori di quelle del nazismo. Ma per la radicale differenza dei loro linguaggi concettuali.
Qui la categoria di totalitarismo evidenzia i suoi deficit più vistosi. Non per nulla il libro della Arendt, ottimo nella ricostruzione del nazismo, è fragile nell’analisi comparata con il comunismo. E, a loro volta, i libri sul totalitarismo di Aron, Talmon e Furet, puntati sul comunismo, non parlano di nazismo.
Difficile omologare fenomeni storici così differenti.
Certo, collegamenti trasversali non mancano — violenza diffusa, terrore generalizzato, primato del partito sullo Stato (a differenza del fascismo). Ma in un quadro ideologico nettamente diverso. Mentre il comunismo scaturisce dal ventre della modernità — dalla filosofia della storia hegelo-marxiana — per il nazismo è diverso. Non nasce dall’estremizzazione, ma dalla decomposizione, della cultura moderna. Non perché non ne contenga schegge, frammenti, come ha dimostrato George L. Mosse, ma perché li traduce in un linguaggio del tutto eterogeneo al lessico precedente.
Il comunismo “realizza” in forme parossistiche una tradizione filosofica moderna — quelle dell’eguaglianza assoluta. Il nazismo rompe con essa in nome dell’assoluta differenza. E ancora: il comunismo ha come trascendentale la storia, come soggetto la classe, come lessico l’economia. Il nazismo come trascendentale la vita rovesciata in morte, come soggetto la razza, come lessico la biologia. Entrambi perseguono una folle visione scientifica, ma i comunisti la identificavano in una filosofia predeterminata della storia, i nazisti in una sovrapposizione tra razze umane e animali.
Il gerarca Rudolf Hess spiegava che «il nazismo non è altro che biologia applicata». Hitler era chiamato «il grande medico tedesco», perché affondava il bisturi nel corpo di quel popolo per espellere il tumore che lo devastava, identificato con l’ebraismo. Come ha scritto Emmanuel Levinas nel 1934 in Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, l’essenza del nazismo, diversa da ogni altra ideologia, sta nell’incatenamento dello spirito al corpo: «Il biologico, più che oggetto della vita spirituale, ne diventa il cuore».
[Lezioni di Politica.1 – da la Repubblica del 23 agosto 2023]
L’articolo in formato .pdf: La Repubblica del 23 agosto 2023. R. Esposito. A scuola di Politica.1
Roberto Esposito (Piano di Sorrento, 1950) è un filosofo italiano, docente di filosofia teoretica presso la Scuola Normale Superiore (Pisa – Firenze – Cortona).
Collabora con la Repubblica dal 2014 (informazione passibile di rettifica: sono di quella data gli articoli più remoti rinvenuti sul web, dal sito https://napoli.repubblica.it/ – ndr)
Sandro Russo
25 Agosto 2023 at 08:47
Devo dire che la mia vita culturale è stata segnata più che dalla scuola, dagli stimoli successivi, tra cui fondamentali – con scarso merito da parte mia – ambiente, letture e cinema. Quest’ultimo fondamentale, nel rappresentare temi su cui giocoforza ero spinto ad approfondire.
L’articolo di Roberto Esposito che ho letto e riletto, non fa quasi menzione della figura del capo che è un tratto comune dei totalitarismi, forse perché il cinema ha bisogno di mettere in scena volti, persone più che idee (per dire meglio: persone permeate da un’idea).
Basti pensare alle innumerevoli opere che a vario titolo e con diversa pregnanza hanno trattato il fascismo, il nazismo e il comunismo rappresentando Mussolini, Hitler e Stalin.
Un film citerei prima degli altri:
The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo (The Childhood of a Leader), film del 2015 scritto, prodotto e diretto da Brady Corbet, al suo esordio alla regia, e interpretato da Robert Pattinson, Bérénice Bejo, Liam Cunningham, Stacy Martin e Yolande Moreau. Il film è vagamente ispirato al racconto dello scrittore francese Jean-Paul Sartre Infanzia di un capo, pubblicato nel 1939, e al romanzo dello scrittore inglese John Fowles Il mago, pubblicato nel 1965.
A seguire, a mio parere irrinunciabili, per affrontare dal versante cinefilo la tematica:
– L’onda (Die Welle), un film del 2008 diretto da Dennis Gansel, tratto dall’omonimo romanzo di Todd Strasser, a sua volta basato sull’esperimento sociale denominato La Terza Onda (The Third Wave), avvenuto nel 1967 in California. Sulla base di questo esperimento, Todd Strasser (usando lo pseudonimo Morton Rhue) scrisse il romanzo Die Welle (L’onda), che in Germania è diventato un classico della lettura scolastica.
– Il nastro bianco (Das weiße Band – Eine deutsche Kindergeschichte) è un film del 2009, diretto da Michael Haneke, vincitore della Palma d’oro come miglior film al 62º Festival di Cannes.
– – – La trilogia di Aleksander Sokurov: Moloch (1999; su Hitler), Taurus (2001, su Lenin) e Sun (2005, su Hiro Hito)
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Sintesi, notizie e date dei film, da Wikipedia