Mare

“C’era una volta il mare”, di Marco Belpoliti (4). I tuffi

proposto dalla Redazione

C’ERA UNA VOLTA IL MARE 4
Volevo essere un tuffatore
di Marco Belpoliti

Un gesto sublime, dal mito greco al simbolo di supremazia dei popoli nordici. Fino ai record degli americani

Il corpo nudo si libra nell’aria: braccia tese in avanti, mani congiunte, testa leggermente sollevata, sguardo diretto verso il basso, gambe allungate, il piccolo membro in evidenza. Elegante nei gesti e bello nel corpo esteso in volo, questo giovane si sta tuffando di testa. Sotto l’attende l’acqua verde dalla forma rotonda, forse per esprimere la vastità del mare in cui tra poco sarà immerso. Sulla destra l’alta piattaforma da cui si è gettato, simile a una scala disegnata da un bambino; sulla sinistra una pianta si protende verso la superficie dell’Oceano come per accarezzare il tuffatore e accompagnarne il suo gesto flettendosi.

 

Scoperta a Paestum, la greca Poseidonia, nel 1968, La tomba del divino tuffatore, come s’intitola il libro di Claude Lanzmann, è una delle più belle e misteriose immagini che l’antichità classica ci ha consegnato, posta come copertura d’una tomba a cassa di modeste dimensioni. Forse non è un caso che questa immagine rappresenti un tuffo, una delle più straordinarie espressioni del corpo umano maschile e femminile, la cui peculiarità consiste nel coniugare l’elementarità dei gesti con la complessità del volo in aria.

Tra le attività svolte in acqua, o meglio sopra l’acqua, con il solo uso del corpo, il tuffo è la più incantevole e abbacinante.
Tonio Hölscher, professore emerito di Archeologia classica all’Università di Heidelberg, ha dedicato un libro, Il tuffatore di Paestum, a questa immagine enigmatica che ci giunge da un’epoca lontana per raccontarci cosa sia stata per i Greci l’arte del tuffo, per una civiltà che ha vissuto in modo fortemente intrecciato il rapporto tra terra e mare. Sono loro, i Greci antichi, che ci hanno trasmesso l’idea che in questa azione, oggi specialità olimpica, si esprima il completo «abbandono ai sensi, all’aria che avvolge il corpo proteso e poi all’acqua che toglie il respiro e assorbe ogni percezione» (Hölscher).
Se esiste l’erotismo del nuoto, di cui Charles Sprawson ci ha fornito una descrizione dettagliata e originale in L’ombra del massaggiatore nero, il professor Hölscher con il suo piccolo libro ci permette di comprendere il significato che aveva nel passato il tuffo.
L’interpretazione prevalsa dopo la scoperta dell’affresco datato 480 a.C. vede nello slancio del giovane efebo la metafora dell’anima in viaggio verso l’oltretomba, una lettura che indirizza nella morte e nell’aldilà la decifrazione simbolica delle diverse pitture di questa sepoltura. Per lo studioso tedesco si tratta piuttosto di «un postulato parziale e riduttivo, consolidato soprattutto con il cristianesimo », cosa convincente, se si pensa che questa religione è stata per secoli la vera avversaria dell’antico culto dell’acqua, in cui vedeva un segno demoniaco.
Mentre il tuffatore di Paestum, come quello che s’intravede nella Tomba della caccia e della pesca a Tarquinia, mostra oltre alla gioia fisica del gesto del lancio nel vuoto, il più che probabile legame tra le due attività del tuffo e del nuoto e le pratiche d’iniziazione di ragazzi e ragazze.

I Greci, come ci hanno insegnato Friedrich Nietzsche, Aby Warburg e Erich R. Dodds, possedevano oltre a un’istanza razionalista un esuberante vitalismo, che si esprime nella prova stessa del tuffo. Nella tomba di Paestum, secondo Hölscher, si legano insieme «ispirazione dionisiaca, erotismo e atletica fisicità».

Con un salto di parecchi secoli, solo nell’Ottocento il nuoto torna ad essere una passione praticata in cui eccellono gli inglesi, mentre sono gli svedesi a svettare nell’arte dei tuffi, considerata in Inghilterra tuttalpiù un sistema per entrare in acqua. Nell’Olimpiade di Parigi del 1900 gli atleti del Nord vincono tutti i premi e mostrano questa nuova attività atletica lanciandosi dall’altezza di venti metri.
Come racconta Sprawson, dopo aver compiuto uno scatto, il loro corpo s’allontana di circa dieci metri dalla torretta, «mantenendo, almeno fino a due metri dall’acqua, la testa proiettata all’indietro, la schiena fortemente flessa, le braccia aperte a formare una linea orizzontale con le spalle come le ali spalancate di un uccello».
Al culmine di questo volo il corpo sembra fermarsi a mezz’aria in un movimento che ricorda quello delle rondini. Nel 1904 i tuffi diventano una disciplina olimpica, mentre è solo nel 1920 che le donne, elegantissime in questa specialità, sono ammesse ai Giochi.
Poi, poco alla volta, la supremazia passa ai tedeschi. Sprawson sostiene che il diffondersi in Germania delle attività ginniche, di cui il tuffo fa parte, sia stato una reazione alle schiaccianti sconfitte inflitte da Napoleone alla Prussia.
Nel 1936 alle Olimpiadi di Berlino Leni Riefensthal gira il film Olympische Spiele, che diede «espressione definitiva alla passione nordica per i tuffi».

Leni Riefensthal. Olympische Spiele. Tuffo (Rubelt Lothar © 1936)

Le riprese effettuate dall’operatore Hans Ertl con una cinepresa semisommersa nell’acqua trasmisero agli spettatori l’idea che i tuffatori avessero sperimentato nello spazio di due secondi la sensazione di sentirsi sperduti senza avere la minima idea di dove si trovassero rispetto al trampolino, all’acqua e al bordo della piscina. Negli stessi anni i tuffi diventarono un tema culturale del mondo americano.

Jack London, fanatico del nuoto come dei tuffi, prima di morire scrisse alla figlia: «Tuffarsi è anzitutto un fatto psicologico, solo dopo diventa fisico».
Hemingway nella sua elegia sull’età eroica della tauromachia paragona gli eleganti movimenti dei toreri a un tuffatore, ricorda ancora Sprawson, «capace di controllare la propria velocità in aria e di prolungare la visione di un tuffo a rondine». Questo tuffo, detto anche a cigno, compare nei musical americani, pieni di ragazze che si slanciano dall’alto di cascate.
Mentre girava il film A Daughter of the God nel 1914 l’attrice Annette Kellermann stabilì il record mondiale con un tuffo di 30 metri dalla torre in cui era tenuta prigioniera per esigenze di copione. Quattro anni dopo Alick Wickham (1986-1967) con un tuffo a rondine si gettò dall’altezza di 62 metri e 71 centimetri nel fiume Yarra in Australia.
Anche se nel web si dice che altri sono i detentori del record mondiale del tuffo, quello di Wickham resta ancora oggi imbattuto.
Secondo Sprawson, per il pubblico americano negli anni della depressione il tuffo a rondine rappresentava l’immagine di perfezione, di eleganza fisica e di libertà per chi stava subendo l’umiliazione della perdita del lavoro e della povertà proprio nella patria del sogno di speranza e di giustizia.
Il volo dell’efebo di Paestum non è mai finito.

[Mediterranea/4, di Marco Belpoliti – Da la Repubblica del 17 agosto 2023]

Le puntate precedenti si possono leggere a questi link:
“C’era una volta il mare”, di Marco Belpoliti (1)
“C’era una volta il mare”, di Marco Belpoliti (2). Il Nuoto
“C’era una volta il mare”, di Marco Belpoliti (3). La spiaggia

 

 

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