di Paolo Mennuni
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Busto di Ferdinando I di Napoli, XV sec. Marmo dipinto. Museo del Louvre, Parigi
Ferdinando Trastámara d’Aragona, del ramo di Napoli, noto semplicemente come Ferrante (Valencia, 1423 – Napoli, 1494), unico figlio maschio, illegittimo, di Alfonso I di Napoli, fu re di Napoli dal 1458 al 1494.
La città di Otranto fu riconquistata dal figlio di Ferrante, Alfonso, duca di Calabria.
Medaglia di Alfonso d’Aragona duca di Calabria. Di Andrea Guacialotti, 1481.
Alfonso II d’Aragona, ramo di Napoli (Napoli, 1448 – Messina, 1495), fu duca di Calabria e poi re di Napoli per circa un anno, dal 25 gennaio 1494 al 23 gennaio 1495.
La liberazione
Finalmente, siamo 1481, l’esercito napoletano, sempre al comando del Duca di Calabria Alfonso II, è rientrato dalla Toscana e si può pensare anche di organizzare una regolare spedizione per liberare Otranto.
Si prefigura quasi una marcia trionfale, una passeggiata, con i turchi in fuga ingloriosa di fronte agli eserciti cristiani capeggiati dai condottieri aragonesi. I napoletani intervengono in forze procedendo per terra e per mare perché bisogna annientare anche la poderosa flotta turca. La cosa, però, non sarà così semplice.
La conquista fu rapida perché Otranto era pressoché indifesa e la sorpresa fu determinante. Ora Otranto non è più un avamposto dimenticato e negletto; è diventata una rocca munita, ben armata e presidiata da truppe scelte, i giannizzeri; insomma, nella strategia espansiva del Gran Turco, è ormai la “testa di ponte” per la conquista successiva dell’Italia.
L’esercito napoletano, frattanto, ha dovuto smobilitare in Toscana, si trasferire in patria e riorganizzare per affrontare un assedio in piena regola approntando la “cittadina d’assedio”, ossia quella che si definisce “l’anticittà”.
A tutto ciò, che può rientrare nelle previsioni di una normale strategia d’attacco, si dovranno aggiungere tutti quegli imprevisti che costellano e infiorano la realtà quotidiana specialmente nelle emergenze.
I preparativi vanno per le lunghe anche perché a Otranto, nel frattempo, è scoppiata la peste, che decimerà i turchi ma anche i napoletani e i loro alleati, rendendo più precarie le operazioni militari. Tutto il Salento è in pandemia.
Intanto i napoletani stringono con l’esercito e con la flotta; e, mentre l’esercito si accampa presso Otranto, la flotta fa una digressione e dirige su Valona per sorprendere il naviglio turco al rientro. Tutto ciò avviene il 25 febbraio.
La traversata non è agevole, i venti non sono propizi, e gli equipaggi sono costretti a remigare per diverse ore di fila; quando giungono a Valona sono stanchi ma pensano di riposarsi, in attesa dei turchi, nascondendosi dietro l’isolotto di Saseno ma la flotta ottomana non c’è più perché serve altrove. I turchi, comunque, giungono dopo poco ma la loro flotta è una flotta da trasporto preceduta da soltanto sei galere da combattimento. In effetti si stanno preparando ad evacuare Otranto ed hanno fretta di portare via i bottini delle varie razzie effettuate nella Puglia limitrofa, i cavalli, le artiglierie e le munizioni.
** Lettura: “Dall’esortazione del Duca di Calabria Alfonso II ai marinai” (v. sotto, a fondo pagina)
I comandanti napoletani si interrogano sul da farsi in tale situazione: cioè attaccare battaglia, sapendo che i rematori sono stanchi e non potranno manovrare speditamente, o concentrarsi sui trasporti, più facili da aggredire perché disarmati? Optano per la seconda ipotesi, lasciano, quindi, sfilare le galere e poi partono all’attacco dei mercantili che requisiscono e portano sulla sponda opposta
Gli ottomani si guardano bene dal reclamare i carichi, Ghedik Pascià, “lo Sdentato”, preferisce mettersi in salvo e puntare su Istanbul dove qualcosa bolle in pentola e, dinanzi alla “Sublime Porta”, come viene denominato il trono turco, vuole giocare le sue carte, ma non gli andrà poi molto bene.
Quando la flotta napoletana farà ritorno a Otranto, Alfonso II rimprovererà aspramente i comandanti per non aver affrontato il nemico impartendogli quella lezione che meritava da tempo.
Il caso, però, è imparziale e qualcosa avviene anche a favore dei partenopei: il Sultano, Maometto II, morirà improvvisamente il 3 maggio, all’età di appena quarantanove anni, mentre si era ripreso dai suoi malanni e, al comando delle sue truppe di stava recando verso il centro dell’impero; si sospetta che sia stato avvelenato dal figlio maggiore Bayezid II, col quale era in disaccordo circa la gestione del sultanato.
A Otranto, intanto, le operazioni proseguono con le difficoltà ricordate: le artiglierie martellano alternativamente le postazioni offensive degli aragonesi e difensive dei turchi e quella che doveva essere una passeggiata rischia di diventare una guerra di posizione e logoramento. Si pongono in essere gli stratagemmi per ingannare il nemico: gli ottomani accendono numerosi falò per far credere che dispongano di più soldati di quanti ne abbiano realmente, i napoletani introducono nella città quattro prostitute con le vesti infette per risvegliare quella peste che sembra attenuarsi. Comunque i turchi hanno scorte a sufficienza sia alimentari che belliche.
A questo punto Bayezid che, dopo aver sconfitto il fratello minore Gem, vuole consolidare la sua posizione interna intende abbandonare la campagna d’Italia in corso e propone alla Serenissima la cessione di Otranto, dietro l’immunità per gli assediati. Venezia, che aveva già concluso due anni prima un accordo con la Sublime Porta, rifiuta.
Intanto in Puglia, dopo che la “passeggiata vittoriosa” si era trasformata se non in una sconfitta in una ‘non vittoria’, si decide più saggiamente di passare alle trattative e si inviano ambasciatori alla volta del Sangiaccato di Valona per concordare lo sgombero di Otranto e la restituzione dei prigionieri. I napoletani pretendono il rilascio della città con tutte le batterie e le scorte; i turchi, per contro, chiedono 40.000 ducati e le trattative si bloccano di nuovo.
Si prepara l’attacco definitivo, e questa volta ci sono anche gli ungheresi inviati da Mattia Corvino, genero di Ferrante, giunti in forze. Si arriva sugli spalti della cittadella di Otranto ma sotto gli spalti c’è una voragine aperta dai turchi nella quale si sfracellano difensori ed assalitori. I napoletani devono desistere e ritornano demoralizzati negli accampamenti. I turchi, però, non stanno meglio, da 5.000 che erano sono ridotti a 2.000 e il blocco navale impedisce l’arrivo dei rifornimenti, non giungono nemmeno notizie dal Sultanato e non sanno nemmeno che Maometto è morto, perché non credono a quello che dicono i napoletani. Comunque si tratta, vengono negoziatori da Valona e finalmente si concorda che ogni fante, o zappatore, potrà partire con i propri arnesi, denari, e le vesti lasciando tutto il resto, armi, cavalli e batterie.
Il 10 settembre, finalmente, le truppe del Duca di Calabria prendono possesso di Otranto mentre gli ottomani se ne vanno con mogli e figli ma, come riporta Giovanni Albino anche numerose “fanciulle pugliesi” si uniscono all’esodo. Le loro vite, per una ragione o per l’altra, si erano unite a quelle degli occupanti e, per paura di essere indicate a vita come “le donne dei turchi”, preferiscono andarsene anche loro affrontando un futuro carico d’incognite. Ma poi gli aragonesi impongono che ad imbarcarsi siano solo i maschi; gli otrantini sopravvissuti sono all’incirca un centinaio.
Il convoglio salpa alla volta di Valona ma un improvviso fortunale lo coglie poco fuori dal porto e alcune navi affondano. I turchi che a nuoto riescono a guadagnare la costa sono massacrati dai salentini che, memori delle angherie subite, non aspettano di meglio per vendicarsi. Altri sono catturati e, per timore di punizioni in patria per essersi arresi, preferiscono arruolarsi nell’esercito napoletano andando a formare, con gli ungheresi, una sorta di “legione straniera” che tornerà utile a Ferrante per le campagne a venire.
Ritratto di Sisto IV (1500 circa); di Pedro Berruguete (Cleveland Museum of Art)
Conclusioni
La vicenda di Otranto, così come si è svolta e conclusa non dà lustro né ai napoletani né ai turchi perché nessuno può vantare una vittoria strepitosa. Napoli, però, ha vinto: si riappropria di un suo avamposto ormai munito e incrementa il suo esercito ma, non potendo battere la grancassa del successo militare, ripiegherà sulla propaganda contro gli infedeli che fanno scorrerie e massacrano i cristiani. Non sarà una vittoria di Napoli ma della Chiesa che si rinnova nel sangue dei martiri della fede che non si piegarono alla furia cieca e spietata degli ottomani. Le ossa saranno recuperate e, dopo varie vicende e traslazioni, troveranno pace nella Cattedrale idruntina.
Comunque, questa storia, con i suoi intrecci ed imprevisti che si accavallano, ci dimostra come, per il capriccio ostinato di un papa dispotico, che mette i problemi di famiglia al di sopra di tutto, l’Italia si divide ed offre il destro ai turchi per invaderla ma poi, per una serie di eventi imprevisti ed imprevedibili, il tutto viene rimandato e la storia continua.
Comunque, di ottomila vittime, fra trucidati e deportati, sono ricordati soltanto gli ottocento tredici conservati nella Cattedrale beatificati e poi fatti santi, mentre per la maggioranza c’è solo l’oblio. Anche per le vittime esiste, quindi, una serie A e una serie B.
Letture e allegati
**Esortazione del duca di Calabria ai marinai in procinto di salpare per Valona, dal De Bello Hydruntino di Giovanni Albino.
“Ho saputo con sufficiente attendibilità, miei coraggiosi compagni, che Ahmed, ricco e scarico di bottino, si appresta a partire per la Macedonia. Ma non possiamo assolutamente permettere che egli ci sfugga sotto i nostri occhi con tanta ignominia. Bisogna dunque tentare la fortuna, che non ha mai abbandonatogli audaci, e correre il rischio di un combattimento navale, per dimostrare a tutti che è lei che ci viene meno e non il coraggio.
Non pensate forse che sia meglio morire, piuttosto che tollerare di vedere andar via con i barbari i nostri beni, il bottino, tanti nobilissimi uomini e perfino i penati, strappati alle nostre case? È questo il ricordo di noi dobbiamo lasciare ai posteri, così che tutta la nostra vita si ricopra d’infamia? Dov’è il vostro coraggio? Dov’è lo splendore delle imprese che con tanta fatica e spargimento di sangue avete conseguito in tutte le più illustri guerre?
Vi prego, salpate, perché non duri ancora a lungo la loro esultanza, vendicate l’onta, andate a combattere sotto la guida di Dio, affinché appaia evidente, con l’aiuto del coraggio, che non ci siamo mai lasciati intimorire da nessuna minaccia della fortuna”
[Il De bello hydruntino (la guerra d’Otranto, 1480-1481) è il secondo dei quattro libri pervenuti del De gestis regum Neapolitanorum rege, opera in cui Giovanni Albino aveva narrato in modo monografico le gesta del duca di Calabria, Alfonso d’Aragona e del re Ferdinando II.
Il De bello hydruntino proprio con l’Albino che fu testimone della liberazione di Otranto, fa il suo ingresso ufficiale nella storiografia dinastica aragonese e diventa historia.
Il Sacco di Otranto. Di Paolo Mennuni. Originale. pdf
[1480, il sacco di Otranto (Mamma li turchi!) (2). Fine]