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La serie “C’era una volta il mare”, di Marco Belpoliti (1)

proposto da Sandro Russo

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Per l’occasione dell’uscita della seconda puntata della serie su la Repubblica, abbiamo recuperato la prima e prevediamo di pubblicarle tutte, pur se con qualche giorno di ritardo rispetto all’uscita sul giornale. Marco Belpoliti va letto ‘sempre’; quando parla di mare poi siamo doppiamente interessati.

Joaquin Sorolla, Clotilde e Elena sulle rocce a Jávea (1754) (immagine da la Repubblica)

Così inventammo la vacanza in spiaggia
di Marco Belpoliti – Da la Repubblica del 18 luglio 2023

Complici il Grand Tour e l’aristocrazia inglese, la società tra ’700 e ’800 scopre la villeggiatura sull’acqua, odiata da Jane Austen

Nel giardino dell’Eden non c’è il mare. La sua presenza non può essere inclusa nel paesaggio creato da Jahvé poiché l’oceano è ciò che resta della sostanza indifferenziata cui l’Altissimo ha dato forma. Il mare è infatti il “Grande Abisso”, luogo di eventi ed esseri misteriosi, su cui inizialmente ha aleggiato lo spirito divino. Poi le acque hanno invaso la Terra e con il Diluvio il mondo è riprecipitato nel caos. Perciò il Creatore ha separato le due distese d’acqua: l’Oceano e il Cielo. Nel mondo classico ben pochi amavano il mare e ne apprezzavano le spiagge, punto di confine tra la terra e le grandi acque; ancora meno erano coloro che affrontano le onde per prendere un bagno. Non che gli antichi romani non amassero la linea litoranea e la battigia; molte delle loro ville erano state edificate lì, tuttavia il luogo ameno è per l’otium, cosa ben diversa dalla moderna vacanza. Com’è accaduto che le spiagge e gli arenili siano diventati nel tempo un luogo così frequentato? Per prima cosa è stato necessario che il mare smettesse di essere considerato uno spazio temibile e che da luogo enigmatico si trasformasse in oggetto estetico. I primi a manifestare una fascinazione per la riva sono stati i poeti barocchi.

Nel 1628 Saint-Amant racconta per iscritto d’essere rimasto su un’alta scogliera per ore a contemplare l’orizzonte marino, osservare i gabbiani che volano nel vuoto e ascoltare il loro grido. Alain Corbin in un libro ben documentato, L’invenzione del mare, spiega come tra il 1690 e il 1730 in Occidente si diffonde un fenomeno chiamato in Francia teologia naturale e in Inghilterra psicoteologia. Gli scienziati credenti includono il mondo naturale nell’ambito della riflessione sul creato così come Dio l’ha voluto. La conseguenza è che in questo modo la teologia naturale produce una vera e propria “educazione dell’occhio”: il paesaggio è lo spettacolo che Dio ha offerto agli uomini. Non siamo ancora all’invenzione del mare, ma è avvenuto un cambiamento nella sua concezione. In quel periodo si diffonde anche una nuova forma di sensibilità estetica, di cui il “gusto” è una delle caratteristiche più evidenti.

Nel Nord dell’Europa nasce un interesse per la passeggiata e l’escursione lungo i litorali, mentre al Sud, lungo le spiagge del Mediterraneo, le cose stanno diversamente. Il popolo delle rive, come lo chiama Corbin, ha sempre praticato il mare quale mestiere — marinai, pescatori, lavoratori degli arenili, raccoglitori di relitti — non certo come passatempo, tuttavia non ha mai disdegnato il bagno nelle sue acque. La scoperta del mare è in buona parte una storia che riguarda le classi abbienti del Nord e si manifesta attraverso la rivelazione della Natura quale spazio in cui fare esperienza del proprio corpo.

Nel 1750 inizia l’afflusso alle stazioni termali marine come mezzo per combattere la malinconia, lo spleen, ovvero per placare le nuove ansietà che nel corso del XVIII secolo sono nate nei ceti dominanti. Lo spleen, incoraggiando i viaggi come terapia, accresce la mobilità degli individui, la quale s’accompagna alla maggior circolazione delle merci. Inoltre il pallore e la delicatezza dei corpi, tanto apprezzati in passato, ora provocano timore. Le classi abbienti si convincono di non possedere il medesimo vigore dimostrato dalle classi lavoratrici grazie alla durezza del loro lavoro. L’alta società del tempo comincia a temere i propri desideri artificiali, i languori e le crescenti nevrosi. Il progressivo successo del mare nasce anche da un paradosso curioso: «il mare diventa salvezza, alimenta la speranza perché incute paura».

Locandina d’epoca (anni ’30)che pubblicizza la località balneare di Brighton in Gran Bretagna

Corbin insiste su questo tema che riguarda la necessità di ristabilire una armonia tra corpo e anima e arrestando la perdita di energia vitale. L’acqua marina diviene una medicina e una cura. Lo stesso Francis Bacon nel 1638 aveva scritto incoraggiando il bagno in acqua fredda: favorisce la longevità. Nel corso del Settecento nascono così le stazioni di mare. Tra loro trionfa, per ragioni legate alla monarchia inglese, Brighton. Il primo stabilimento di bagni viene costruito nella città nel 1769: è il primo sanitarium al mondo. Il mare deve essere freddo, salino e mosso, però si deve godere della brutalità dell’acqua, ma senza correre rischi. Questi sono gli anni in cui si diffonde l’estetica del sublime che porta anche all’apprezzamento delle alte cime fino ad allora evitate come luoghi selvaggi. Ora il corpo va esposto nel prendere il bagno, ma c’è il problema del pudore; la privacy non può essere violata, in particolare quella delle donne: così s’indossano ampi costumi. Tutto questo riguarda la gentry, poiché il bagno popolare segue altre consuetudini e pratiche.

Il bagno mediterraneo è una prerogativa maschile e lo si fa per lo più nudi. I viaggiatori che scendono in Italia incontrano un’altra estetica in perfetta armonia con la cultura della bellezza neoclassica del periodo. Nel 1787 Goethe ospite a Posillipo dopo pranzo osserva una dozzina di giovani ragazzi nuotare nel mare, così «belli da vedere». Nel corso del Grand Tour chi si reca a sud scopre il potere dell’immensità e insieme il pathos del mare. È l’avvento del turista, che non coglie più il legame dell’uomo col macrocosmo: la natura è diventata uno spettacolo. Nell’estate del 1789 mentre Luigi XVI deve fare i conti con la rivoluzione parigina, il re d’Inghilterra e la sua famiglia si godono la vicinanza del mare. Non tutti però accettano l’avvento dei bagni. Nel 1817 Jane Austen descrive per la prima volta in un romanzo, Sanditon, la vita sociale che si svolge intorno alle strutture erette sulle spiagge. Nel libro, rimasto incompiuto per la morte dell’autrice, viene raccontata in modo caustico la stupidità di chi ha deciso di villeggiare in quel luogo; Jane si scaglia contro l’attitudine borghese al riposo imitando la gente importante e la nuova mentalità sociale. Tutti i personaggi appartengono al mondo di quella borghesia che sta soppiantando sulle spiagge il popolo che vi viveva e lavorava.

Il mare non è stato dunque scoperto dai romantici, scrive Corbin. Brighton, capitale stagionale del regno, appare totalmente polarizzata dalla aristocrazia. Come nel romanzo, la borghesia, almeno in Inghilterra, s’accoda e scende in mare seguendo chi l’ha preceduta. Sono la corte e i nobili a decretare la nuova moda. Nel 1841 la ferrovia rovescia gente in massa a Brighton. Sono cominciate le vacanze estive.

Cosa leggere
Alain Corbin, L’invenzione del mare, Marsilio
Jules Michelet, Il mare, elliot
Jean Delumeau, La paura in Occidente, il Saggiatore
Jane Austen, Sanditon, Newton Compton

Questo breve viaggio estivo di Marco Belpoliti ci restituisce la storia nascosta del mare nella civiltà umana.

[La serie. C’era una volta il mare (19 – Continua]

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