Può succedere di trovarsi in Puglia e di andare a visitare Otranto, la città, i suoi monumenti, la cattedrale. Salta all’occhio la macabra esposizione di teschi e ossa dietro e ai lati dell’altare principale. Paolo e i suoi amici, incuriositi chiesero di chi fossero quelle ossa e la prima risposta che ricevettero fu che erano di turchi uccisi durante l’assedio alla città molti secoli prima. Ma la risposta non risultava convincente per diversi motivi, e per capirci di più si informarono meglio. La storia, scoprirono, era andata in tutt’altro modo.
Paolo e Gabriella (già facenti parte del gruppo delle “Cape fresche”) organizzano a casa loro dei periodici approfondimenti su temi inusuali o poco frequentati. Editano in proprio questi appunti sotto la denominazione “Quaderni del pappagallo” (in .pdf a seguito delle due puntate) perché frutto di ricerca e studio (rigorosi) da varie fonti e alla fine presentano il risultato ripetendo – a loro dire -, “a pappagallo” quello che hanno imparato. Modesti, ma tanto di cappello, alle loro fatiche (storiche, ma anche culinarie). Sono anche degli ospiti perfetti
S. R.
Il Castello aragonese di di Otranto fu fatto costruire, tra il 1485 e il 1498, da Ferdinando I D’Aragona, inglobando le fortificazioni sveve ed i miglioramenti introdotti dai Turchi che avevano occupato la città per più di un anno (1480)
Otranto
Otranto, nelle guide turistiche, è una ridente cittadina della Puglia sud-orientale, in provincia di Lecce. Rinomata stazione balneare e porto turistico si affaccia sul mare Adriatico dando il suo nome al braccio di mare che lo separa dall’Albania. È, altresì, ricca di monumenti storici, come il castello aragonese, ed artistici come le chiese ed i palazzi, grazie anche alla presenza di maestranze esperte nonché alla disponibilità della pietra leccese: un litotìpo che si presta molto bene alla lavorazione dei decori e che ha favorito lo sviluppo e l’affermazione del Barocco leccese, particolarmente ricco ed elaborato.
Notevole è la presenza nella cattedrale delle reliquie degli ottocento martiri del sacco, santificati di recente da Giovanni Paolo II, e dei mosaici, tra i quali ricordiamo quello dell’Albero della vita, e le raffigurazioni che richiamano episodi del ciclo Arturiano.
Hydruntum fu, per secoli, approdo commerciale e di rifornimento d’acqua per i navigli che s’appressavano a percorre tratte lunghe o il mare aperto.
L’episodio che c’interessa, però, avviene verso la fine del Medioevo, più precisamente nel 1480, quando Otranto è assalita ed espugnata dai Turchi che la tengono, dopo un feroce saccheggio, per poco più di un anno (11 agosto 1480, 23 agosto 1481).
Pertanto, la vicenda, a parte gli aspetti crudeli e atroci, purtroppo frequenti nella storia, ha una durata molto circoscritta per cui sarebbe il caso di occuparsi d’altro, se non fosse per le molteplici implicazioni e gli intrecci creatisi, nello scacchiere italiano ed europeo, tra le varie potenze dopo la caduta di Costantinopoli.
La caduta di Bisanzio
Bisanzio cade, nel 1453, per mano di Maometto II che completa, così, la conquista dell’Impero d’Oriente.
Maometto è giovane, ha soltanto vent’anni, e non intende assolutamente fermarsi; vuole proseguire nella sua avanzata verso occidente assoggettando tutti quei territori che erano stati sotto il dominio di Bisanzio: l’Italia meridionale, cioè il Regno di Napoli, per intenderci. Il fatish (conquistatore) vuole tutto! Ed è proprio in questo contesto più ampio che cercheremo d’inquadrare l’episodio.
Maometto II ritratto da Gentile Bellini, 1480
A questo motivo “storico”, che include l’episodio di Otranto in una strategia di conquista più generale, sarebbe opportuno aggiungerne anche un altro: il re di Napoli, a maggio, invia due galere armate a difesa dei Cavalieri Gerosolimitani, che difendono strenuamente Cipro dai turchi; in tal caso, si potrebbe trattare di una spedizione punitiva, un monito cioè per gli Aragonesi.
Gli eventi si susseguono e gli scenari cambiano. Nel 1471 sale al soglio pontificio Francesco della Rovere che assume il nome di Sisto IV. Chi è Sisto IV? Lo ricordiamo, tra le altre cose, perché incarica Michelangelo di decorare con gli affreschi la Cappella papale e fa costruire il ponte omonimo; però non trascura gli affari di famiglia. Infatti, ha un nipote al quale è molto legato, Girolamo Riario della Rovere che ha già fatto cardinale, ma ora vuole dargli anche un feudo.
I feudi si possono conquistare o soltanto acquistare, ma occorrono soldi che il Papa, ovviamente, non ha e li chiede, quindi, ai banchieri tradizionali a cui i papi si sono sempre rivolti: i Medici di Firenze.
Lorenzo de’ Medici, questa volta, non è d’accordo. Ritiene troppo rischioso, per la sua Firenze, avere un presidio pontificio immediatamente a Nord, che potrebbe chiuderla in una morsa. Quindi nega il finanziamento al Papa, e si adopera presso gli altri banchieri fiorentini, perché anche loro si comportino allo stesso modo.
Il Pontefice insiste e si rivolge alla famiglia concorrente più importante: i Pazzi i quali gli accordano il prestito e, a questo punto, esplode con violenza la rivalità tra le due famiglie.
Frattanto, il Gran turco, seguiva da tempo con molto interesse le vicende italiane, perché riteneva che la frammentazione degli stati e le permanenti diatribe fra gli stessi fossero un buon pabulum per le sue mire espansionistiche verso l’Occidente e Roma, e di tutto questo non faceva mistero; tanto è vero che lo stesso Sisto IV, prenderà in seria considerazione un eventuale ritorno in quel di Avignone.
La Congiura dei Pazzi
La congiura è erroneamente ritenuta un fatto pertinente alla sola città di Firenze, ma non è così, è un affare internazionale che coinvolge diverse potenze italiane.
La congiura, tesa ad azzerare lo strapotere dei Medici mediante la loro eliminazione fisica, scaturisce dal rifiuto, già richiamato, che Lorenzo de’ Medici oppone alla richiesta da parte del Papa Sisto IV per un prestito.
Ritratto di Lorenzo de’ Medici, di Agnolo Bronzino(1551-1565) Galleria degli Uffizi, Firenze
A Firenze il clima non era dei migliori, ad onta dello splendore e dell’opulenza di cui la città si andava rivestendo.
Nella città i rapporti tra le famiglie, Medici e Pazzi, non sono idilliaci, in primis per la concorrenza, ma soprattutto per come questa è praticata. Si tenta anche la strategia matrimoniale con l’unione di Bianca, sorella maggiore di Lorenzo, con Guglielmo de’Pazzi, ma con esiti discutibili, come la storia ci dice.
Nel XV secolo i Medici tengono in pugno la città condizionandone le magistrature per interposte persone, come aveva insegnato il nonno Cosimo.
Nel 1477 avviene un imprevisto che Lorenzo stima destabilizzante per le sue finanze: muore Giovanni Borromei, uomo ricchissimo e padre di una figlia unica, Beatrice, che, guarda caso, è anche la moglie di uno de’ Pazzi. Il patrimonio è tale che metterebbe in difficoltà le strategie finanziarie dei Medici per cui Lorenzo corre immediatamente ai ripari: fa approvare subito una legge retroattiva che vieta alle figlie femmine, senza coeredi maschi, di ereditare.
La temperatura raggiunge il calor bianco! Si decide di procedere per le spicce e si arriva a pensare seriamente all’eliminazione fisica di Lorenzo e Giuliano.
I Pazzi non sono soli, con loro, oltre al Papa, ci sono gli alleati: il Re di Napoli Ferrante d’Aragona, la repubblica di Siena e il Duca di Montefeltro, siamo all’anno di grazia 1478 e l’esercito napoletano, al comando del Duca di Calabria, Alfonso II, è tutto lì in Toscana.
La congiura si svolge, e si conclude, il 25 aprile dello stesso anno durante la messa in Santa Maria del Fiore. Giuliano, non riesce a sfuggire ai suoi assassini mentre Lorenzo, con l’aiuto della sua guardia del corpo, corre a barricarsi in sagrestia fino all’arrivo dei rinforzi.
[*] [Lettura in calce: “La morte di Giuliano de’Medici”]
Conclusasi così in breve la vicenda, la vendetta di Lorenzo non si fa attendere ed è spietata; subito dopo parte per Napoli per incontrare Ferrante e conclude con lui la pace.
Il Sultano è bene informato di tutto questo, cioè che l’esercito napoletano è lontano, e che ci vorrà del tempo per riportarlo a Napoli, ed agisce di conseguenza: fa allestire una flotta imponente e la fa confluire a Valona sulla costa adriatica.
D’altra parte il regno di Napoli è lì a portata di mano, visibile ad occhio nudo.
L’attacco
È così che, il 17 luglio 1480, una possente flotta, al comando di Ghedik Ahmed Pascià, lascia il porto di Valona diretta verso Brindisi.
Per agire di sorpresa, i turchi salpano di sera, navigano nell’oscurità, ma non si accorgono che un forte vento di tramontana fa scarrocciare le navi molto più a Sud. L’indomani mattina, quindi, non approdano a Brindisi ma nei pressi di Otranto, in quella che si chiama tuttora la Baia dei Turchi.
L’incidente di percorso è un’opportunità per gli ottomani perché Otranto è meno munita di Brindisi e, quindi, più facile da conquistare. Otranto non solo viene colta di sorpresa ma non è in grado di difendersi, mentre Napoli è impossibilitata ad intervenire con tempestività.
La mattina del 18 luglio i pescatori idruntini avvistano la flotta che avanza e subito danno l’allarme ma la guarnigione di stanza ad Otranto è esigua e male armata.
I soldati accorrono immediatamente e cercano di ostacolare gli invasori mentre sbarcano, ma i turchi, sempre più numerosi a mano a mano che sbarcano (pare che fossero in 18.000 con 500 cavalli), costringono i napoletani a rifugiarsi dentro le mura della città.
La composizione esatta della flotta non è accertata, perché risulta solo da testimonianze frammentarie dei pochissimi superstiti e non da documenti storici sicuri, comunque, dalle ricostruzioni, le navi erano certamente oltre cento; sembra che fossero almeno 40 galere, 50 fuste, 16 barche e 50 matroni per i cavalli.
Chi è Ghedik Ahmed, detto anche “lo sdentato”? Pare un convertito che ha avuto modo di guadagnarsi meriti presso il sultano Maometto II e che tenterà poi anche con Bayezid II successivamente, ma per poco. Era stato al comando delle forze di terra, quando riuscì ad assoggettare l’ultimo principato anatolico che si era opposto alla conquista per circa 200 anni (quello dei Karamanidi), poi conquistò diverse enclavi sulla costa del Mediterraneo, enclavi che continuavano ad opporsi all’avanzata turca. L’anno precedente, nel 1479, durante la guerra contro il regno di Napoli e il ducato di Milano, conquista le isole di Zante e di Cefalonia.
Per il Sultano è, insomma, l’asso nella manica e il “Gran Turco” conta su di lui per conquistare Napoli e fors’anche … Roma! Al momento dell’attacco a Otranto era anche il bey di Valona.
Terminate le operazioni di sbarco iniziano le trattative e Ahmed Pascià, noto sia per abilità militare nonché per ferocia, chiede agli idruntini la resa e la conversione all’Islam. Al rifiuto manda una seconda ambasciata per offrire la resa senza la conversione.
I musulmani, infatti, alle comunità che sottomettevano, in genere, accordavano la possibilità di rifiutare la conversione all’Islam e di continuare a praticare la propria fede, ma dietro pagamento di una tassa speciale e il divieto di possedere armi.
Qui, però, avviene un imprevisto che scatenerà l’indignazione, l’ira e la ferocia di Ahmed: un messo turco muore per una freccia scagliata inopinatamente dalle mura di Otranto; questo gesto sconsiderato interrompe la trattativa e dà l’inizio alle ostilità.
Le artiglierie turche sono molto potenti e le difese inadeguate. Le mura, fino ad allora, non erano state mai rinforzate e potenziate, e forse gli ultimi interventi risalivano ai tempi di Federico II, quando le armi da fuoco erano ancora di là da venire, e, di conseguenza, non reggono all’urto delle artiglierie.
Gli Idruntini si difendono con tenacia e con coraggio ma, dopo quindici giorni, devono cedere. Dalle brecce aperte i turchi dilagano e massacrano uomini, vecchi, donne e bambini scegliendo quelli, o quelle, da avviare alla schiavitù. Gli ultimi superstiti, rifugiati con il vescovo nella Cattedrale, vengono catturati, condotti in catene sul colle della Minerva e decapitati insieme al vescovo Stefano Pendinelli la cui testa mozzata, con la mitria, fu portata in giro per la città dai turchi nei giorni successivi.
Le ossa degli ultimi ottocentotredici trucidati sono conservate, come ricordato, nella Cattedrale di Otranto in tre grandi teche, nell’abside.
Si stima che i morti, fra combattimenti ed eccidi, furono, in tutto, ben ottomila!
Il 12 agosto 1480, oltre ottocento cittadini di Otranto, furono decapitati sul colle della Minerva alla presenza di Geduck Akmet, che applicò alla lettera la legge coranica della Jizya
[*] Letture su La Congiura dei Pazzi: “La morte di Giuliano de’ Medici” – Dalle Istorie Fiorentine di Niccolò Machiavelli libro VIII
“La chiesa era piena di popolo, e l’uffizio divino cominciato, quando ancora Giuliano de’Medici non era in chiesa onde Francesco de’ Pazzi con Bernardo Bandini alle case sue a trovarlo, alla sua morte destinati entrarono e con prieghi e con arti nella chiesa lo condussero.
Sendo dunque gli ucciditori, quelli a canto di a Lorenzo, dove per la moltitudine che nel tempio era facilmente e senza sospetto potevano stare, e quelli altri insieme con Giuliano, venne l’ora destinata; Bernardo Bandini con un arme corta a quell’effetto apparecchiata passò il petto a Giuliano, il quale dopo pochi passi cadde a terra; sopra il quale Francesco de’ Pazzi gittatosi lo empié di ferite, e con tanto studio lo percosse, che accecato da quel furore che lo portava, sé medesimo in una gamba gravemente offese”.
Dal Diario Fiorentino di Luca Landucci.
“Era a di 26 d’aprile 1478, circa le ore 15, in Santa Maria del Fiore, quando fu celebrato la messa grande, e levato il Signore, fu morto Giuliano di Piero di Cosimo de’ Medici e Francesco Nori, intorno al coro di detta chiesa di verso la porta che va a’ Servi; e Lorenzo de’ Medici fu ferito nel collo e fuggissi in sacrestia e non ebbe male. Furono morti da una certa congiura fatta da messer Iacopo de’ Pazzi e Franceschino de’ Pazzi e Guglielmo de’ Pazzi, el quale Guglielmo era cognato di Lorenzo de’ Medici, cioè aveva per donna una loro sorella, che aveva nome Bianca”.
[1480, il sacco di Otranto (Mamma li turchi!) (prima parte) –
Continua con una seconda e ultima “La liberazione”]
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