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In un fine settimana di caldo rovente Rodrigo Sorogoyen è a Roma per chiudere le settimane del Cinema in Piazza. Il sole brucia ancora quando, la sera, le ragazze del Cinema America lo scortano lungo i vicoli di Trastevere per mostrargli i luoghi della loro storia e raccontargli del progetto di riscatto delle sale di cinema abbandonate con il multisala diffuso sul territorio, e poi i rifacimenti interni al cinema Troisi e la biblioteca dove si può studiare h24, che è l’esigenza da cui tutto è partito: creare spazi dove i ragazzi possano fermarsi a studiare e a lavorare.
Rodrigo Sorogoyen sgrana i suoi occhi scuri, che hanno dentro schegge di luce, e scherza ammirato: – Ragazzi il vostro è il lavoro più bello del mondo, più bello che fare cinema.
Alla mano, ironico e curioso registra tutto: dettagli, eventi, persone, ma senza ansia, con pacatezza quasi sapesse che se le vuoi conoscere davvero le cose, se le vuoi sapere, le cose e le persone alla fine cedono, ti si rivelano. E se guardi bene finisce che ti rivelano non solo ciò che sono oggi ma anche ciò che domani potrebbero essere: la minaccia dietro il sorriso, la violenza dietro l’amore, ma anche la forza inaspettata dietro il silenzio e l’inerzia di oggi. L’Altro nascosto in ognuno di noi.
Come certe scene dei suoi film che, nella semplicità di un’inquadratura, contengono già una seconda, una terza, una quarta scena: il futuro inquieto che sta per venire.
Da qui l’atmosfera sospesa, il senso di minaccia, anche nei suoi film che thriller non sono, accentuata dalla struttura in due parti, dove la seconda rovescia la prima e ne mostra il volto nascosto.
Eppure ora che, dopo il successo di As Bestas, anche i suoi primi film vengono riscoperti Rodrigo Sorogoyen con i suoi ricci scuri, il sorriso grande e aperto sembra spiazzato da ciò che essi rivelano, e dall’effetto che hanno sulla gente. Come se voltandosi indietro si sorprendesse dell’inquietudine che ha seminato.
– Nei suoi film, in tutti, sebbene in modo diverso, lei indaga l’oscurità. Ne sembra davvero attratto. Perché? – chiede una giornalista francamente sorpresa. – Eppure lei sembra una persona solare, risolta.
– È vero… ragiona – Nella vita non ho avuto grandi drammi, sono una persona solare, ma questi sono poi i film che mi vengono fuori. È vero che mi piace indagare l’oscurità. Diciamo che mi interessa capire. Forse mi piace indagare l’oscurità proprio perché non la conosco. Né io né Isabel Peña, la co-sceneggiatrice di tutti i miei film, avevamo mai pensato di scrivere thriller – conclude con l’energia sottile e rara di chi può permettersi di accostarsi al tormento, di vederlo e coglierlo, guardandolo dalla sponda solare della vita.
Stockholm, il suo primo film prodotto in crowdfunding, è la storia della notte trascorsa insieme da un Lui e una Lei che si sono appena conosciuti ad una festa, ed è un piccolo gioiello acerbo.
– Un po’ triste però no? Un po’ troppo inquieto – dice come a scusarsi.
– Era il mio primo film. Avevo 25 anni. L’idea era quella di scrivere una storia romantica.
Che poi però vira al thriller con l’ineludibile seconda parte, che è la firma dei suoi film.
– Lei ha scritto la parte del ragazzo e Isabel quella della ragazza?
– Assolutamente no – salta su – Io ho messo la mia visione della donna e lei la sua visione dell’uomo. Perché scrivere in due funzioni.
– E tra loro funziona davvero “è importante che ognuno dica quello che pensa senza paura del confronto. Ognuno difende la propria posizione fino a quando non si arriva ad un punto comune. Il segreto è parlare, parlare, parlare. Senza essere accomodanti. Guardi – E mostra il cellulare – Oggi ho appena ricevuto la versione 3 della sceneggiatura a cui stiamo lavorando. E molte altre verranno.
Parlare, parlare, parlare per cercare di capire e decifrare la realtà.
– Infatti il suo è un cinema che spiazza, e ti lascia lì a lungo a riflettere. Ma la scintilla iniziale qual è?
– La scintilla è sempre un fatto, una persona, di cui leggiamo sui giornali o di cui qualcuno ci riferisce e a cui non riesco a smettere di pensare. Voglio capire le motivazioni, qual è stato il percorso che ha portato li. Mi piacciono i film che hanno un senso politico e sociale. Anche Madre, che parla delle conseguenze di un trauma, ed è un film sui sentimenti, è uno sguardo sulla società che castra e censura, sullo stigma della malattia mentale. Voglio che la macchina da presa sia un’arma per raccontare il mondo e cercare di capirlo.
Cercare di capire sempre: mentre la macchina lo porta da una piazza all’altra, e chiede il significato delle scritte sui muri, o nella saletta del Troisi dove giornaliste ammirate lo intervistano o sul palco davanti agli spettatori seduti per terra. Per questo, più che una presentazione prima, preferisce rispondere alle domande dopo la proiezione, ed è notte fonda ora che a Monte Ciocci lui parla de El Reino (Il Regno), vincitore di molti premi in Spagna, storia della corruzione di un grande partito mai nominato e della discesa agli inferi di un grosso dirigente, il capro espiatorio designato quando gli scandali vengono a galla. Un viaggio nel fango e nella cupidigia ingorda attraversato da una musica incalzante, frenetica.
– Nasce dall’indignazione mia e di Isabel, in quel periodo venivano fuori mille scandali del PP e nessuno sembrava dire niente, adesso in Spagna ci sono le elezioni e la destra vincerà di nuovo. Ci siamo documentati moltissimo, abbiamo incontrato politici, giudici, giornalisti. Alla fine era divertente. Ride.
– Davamo il copione già scritto da leggere a qualche politico e tutti dicevano: – Avete fatto un lavoro perfetto, ah sì sì è così che fanno.” Sempre gli altri. Mai loro…
– C’è un eco del thriller politico americano ma con una profondità diversa e, in particolare, una grande attenzione ai personaggi secondari.
– Sì il nostro è un cinema di personaggi più che di trama. Ovviamente una trama c’è. Ma è sempre l’essere umano che mi emoziona, anche come spettatore al cinema, mi piace capire il perché delle sue reazioni. Anche in fase di scrittura, quando con Isabel ci troviamo di fronte ad un bivio, è sempre il personaggio che comanda, mai la storia.
E i personaggi hanno bisogno di attori. Ed è importante che il regista li conosca e capisca di cosa hanno bisogno per dare il meglio di sé. Si fanno molte prove: in modo che il testo scritto e riscritto sia ben appreso e solo così si crea la possibilità dell’improvvisazione.
Sul set c’è un gioco che gli piace fare: si accorda con un attore per spiazzare l’altro sulla scena, per cambiargli le carte in tavola all’ultimo, ci sono attori che reagiscono molto bene. Che tirano fuori una grande verità.
– A volte le battute a forza di ripeterle perdono di forza di vigore, mi annoio io stesso a sentirle. Allora con gli attori che sanno stare al gioco, ad esempio con Antonio de la Torre, il risultato è immenso. Si crea la magia.
Nella notte Rodrigo Sorogoyen, ad incontro terminato, si ferma a lungo a parlare con la gente che si avvicina nella radura ormai deserta in questo monte che guarda da una parte alla periferia romana con i suoi casermoni e, dall’altra, alla bellezza eterna della Cupola di San Pietro e del centro della città. il posto perfetto che sembra riflettere la struttura bipartita dei suoi film. I due volti della vita. La possibilità di scivolare ad ogni istante su uno dei lati del crinale: sul versante dei casermoni o su quello della cupola. Cosa faresti tu? Chi saresti tu al fondo di ogni versante?
Facile dire dei politici “siete ladri, figli di puttana” facile pensare che appartengano ad una razza diversa, che siano dei marziani. Ma tu che faresti?
L’indomani Il caldo divora le ore e non permette di andarsene in giro tra turisti arroventati e stravolti,
– I suoi personaggi sono tutti ossessionati da qualcosa. L’ossessione è sempre un grande motore nella vita. Qual è la sua ossessione? Il cinema la ossessiona? – gli chiedono
Chi gli è vicino e lo conosce risponde energicamente di sì.
Rodrigo ride con i suoi occhi che si accendono di luce.
– Ossessionato? Beh… penso sempre che non vedo abbastanza film.
Anche adesso potremmo usare il tempo per vederci un film insieme, non le pare?
Così quando nella hall del cinema Troisi arrivano i fratelli D’Innocenzo, ossessionati quanto lui e felici di presentare As bestas al pubblico: – Bello davvero! – esclamano con i loro occhi che indugiano gentili negli occhi degli altri, come volessero ritrovarci qualcosa che hanno perso, con loro Sorogoyen può abbandonarsi alla sua ossessione.
Chiede di vedere foto o spezzoni di Dostoevskij la serie che i fratelli D’Innocenzo stanno ultimando. Se ne stanno chini sul cellulare a vedere le immagini, gli storyboard.
Si scambiano commenti. Ridono e scherzano con una complicità tra colleghi.
Sono stati i fratelli D’Innocenzo a mettere i ragazzi in contatto con lui, ma in realtà si conoscono appena.
È una specialità dei due gemelli mettere in contatto le persone che non si conoscono.
Da ragazzi avevano una mania: si facevano in quattro per trovare i contatti di gente importante del cinema, e poi facevano lunghe interviste per mail che non pubblicavano ma si tenevano per loro per capire i grandi come fanno le cose. Rodrigo li ascolta divertito.
– L’intervista più bella è stata a Kim Ki Duk anche se non è mai stato chiaro che lui capisse le mie domande e io le sue risposte, però quando Kim Ki Duk è morto, l’intervista l’ho pubblicata”
Rodrigo racconta del suo nuovo progetto, la storia di un rapporto tra un padre famoso e una figlia mediocre, è tutto ben pianificato, nessun timore scaramantico di rivelare i dettagli, adesso partirà per fare i sopralluoghi. Ma lo hanno avvisato che gli italiani non amano parlare dei loro progetti futuri.
– Il nostro prossimo film parla di un cane… – dicono i Fratelli
– Ma avrà qualcosa di speciale questo cane per essere il protagonista di un film…
– È un cane. Ridono evasivi.
Ma quando, a fine proiezione, si accende la luce in sala e tocca a loro parlare, diventano serissimi.
Si impegnano per convertire in termini comprensibili per il pubblico cosa è l’ossessione del cinema. Lasciano che Rodrigo racconti della scintilla iniziale di questo film la cui scrittura ha richiesto otto anni. In attesa di creare la sua casa di produzione che gli permettesse di fare di As Bestas un film davvero suo.
Tutto è nato da una notizia letta sul giornale: una donna che resta a vivere nel luogo in cui, per cacciarla, hanno usato contro di lei un’ enorme violenza.
Perché lo fa? Perché resta? E da dove nasce la violenza degli altri che vogliono cacciarla?
Sono le domande alla base del film.
– Raccontaci come è il tuo primo giorno di riprese? Arrivi sul set e che succede? Qual è il colore che cerchi?
– Il primo giorno di riprese il 97 per cento delle decisioni sono già prese. La coreografia dei movimenti di macchina, il lavoro con gli attori – Risponde con la fermezza della sponda solare della vita “
– Tutto è stato provato scrupolosamente. Quello che mi interessa il primo giorno è che ci sia una buona energia. Poi speri sempre che arrivi anche la magia, lo stato di grazia, ma quello si può solo sperare.
– Senti, abbiamo visto il film con i nostri genitori e loro non lo hanno apprezzato. Ridono – Dicono che non c’è lavoro sulla luce, sulla fotografia. Ma loro se ne intendono poco, non hanno capito che la cosa più straordinaria, più difficile è fotografare l’invisibile. Una scena che mi ha colpito è brevissima non dura neanche 30 secondi: riprendi moglie e marito di spalle mentre cenano e parlano, la luce è naturale. Quella scena da sola racconta una vita.
– Il lavoro sulla luce è diverso in ogni film. Ne Il Regno, in Madre, in Polizia antisommossa (Antidisturbios) la luce è una presenza forte, in linea con il cinema con cui mi sono educato e formato, la luce e i movimenti di macchina di Scorsese. Li vedevo e dicevo li voglio (ne Il regno il piano sequenza iniziale è tutto un omaggio al piano sequenza del CopaCabana di Goodfellas – Quei bravi ragazzi, 1990 – Ndr).
– Ma qui no in As bestas è tutto il contrario, volevo che lo spettatore si dimenticasse della macchina da presa e delle luci.
– Parliamo del piano sequenza. Cosa è per te? Nel film ci sono due piani sequenza incredibili. Gli uomini al bar e la madre e la figlia in cucina. Come li giri? Interrompi mai gli attori?
– Non li interrompo a meno che non succeda qualcosa. È importante che gli attori smettano di essere attori e diventino i loro personaggi. Dalla mia esperienza più è lungo il piano sequenza più gli attori finiscono per essere ciò che interpretano. Il piano sequenza mi permette di avvicinarmi alla realtà, di starle addosso. Perché ciò avvenga però, prima, è necessario provare molto: la coreografia dei movimenti di macchina, le battute. Solo così, alla fine, gli attori potranno sentirsi liberi di aggiungere del loro. Mettere la sincerità, la spontaneità che crea la vera magia.
– Anche il lavoro sulla musica è magistrale. Solo quella musica poteva raccontare quella storia. Come è nata l’intuizione?
– Olivier, il compositore, è un amico. Con lui parlo sempre dei miei progetti e questo aiuta a capirci. Ha creato la musica elettronica de Il Regno che è diventata parte del protagonista. Per As Bestas all’inizio pensava ad una musica celestiale, adatta ad una grande storia d’amore, mi ha mandato qualcosa mentre ero alla prima settimana di riprese, immerso nel fango, nella pioggia della Galizia e attorno non vedevo nulla di celestiale. Non so come ho avuto un’intuizione. Ho sentito che ci volevano le percussioni. Ne abbiamo discusso. E poi è stato lui a trovarle.
Anche con il compositore e con il montatore ognuno porta le proprie ragioni. L’intuizione giusta è frutto dello scambio.
– Una volta che ci si conosce, ci si rispetta e sai che l’altro dirà sempre ciò in cui veramente crede, parlare è importante. Parliamo finché non si arriva ad un accordo.
Si parla, si parla e così Sorogoyen, finita la presentazione, parla con chiunque gli si avvicini. Parlare è l’unico modo per debellare la minaccia dell’altro. O almeno perché non ti colga troppo alla sprovvista.
Poi Sorogoyen scompare.
La macchina lo riporta nell’albergo di Trastevere. È notta fonda ma non è ancora il momento di rientrare. Con chi lo accompagna imbocca deciso un vicolo immerso nel silenzio fresco della notte.
I suoi passi si allontanano nel buio verso la notte. Verso un’oscurità ancora da indagare, le notti future in agguato, o forse il buio di oggi che domani sarà luce. Chissà.
***
Appendice del 27 luglio (cfr. Commento della Redazione)
Abbiamo recuperato altre foto del film (As Bestas) e della serata, insieme a un video dell’intervista a Rodrigo Sarogoyen in cui il regista spagnolo era tradotto dalla nostra Lorenza. Di circa tre minuti. Alla fine dell’articolo di cui a questo link
Sorogoyen con Lorenza, durante l’intervista
La locandina di cui si parla nell’intervista (il falso spoiler)
La presentazione (distinta dalla serata al monte Ciocci) nella sala Troisi, con i Fratelli D’Innocenzo (1)
I fratelli D’Innocenzo, Sorogoyen e Lorenza Del Tosto
(1) – Qualche film dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (ndr), come sceneggiatori e come registi:
La terra dell’abbastanza, regia dei fratelli D’Innocenzo (2018); Dogman, regia di Matteo Garrone (2018);
Favolacce, regia dei fratelli D’Innocenzo (2020); America Latina, regia dei fratelli D’Innocenzo (2021)
La Redazione
27 Luglio 2023 at 06:17
Abbiamo recuperato altre foto del film (As Bestas) e della serata, insieme a un video dell’intervista a Rodrigo Sarogoyen in cui il regista spagnolo era tradotto dalla nostra Lorenza. Di circa tre minuti. Alla fine dell’articolo di cui a questo link:
https://www.hollywoodreporter.it/celebrities/rodrigo-sorogoyen-mi-interessa-il-male-ma-non-cerco-colpevoli-il-poster-di-as-bestas-una-dichiarazione-di-intenti-regista-spagnolo-intervista/31055/
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Nell’articolo di base