Sanità

Il viaggio di Rumiz nella Sanità pubblica, da utente

segnalato da Sandro Russo

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Negli anni abbiamo seguito Paolo Rumiz nelle decine di viaggi – in Italia e in Europa – di cui ha raccontato sul quotidiano la Repubblica e nei libri. Questo è un reportage inusuale, nella sanità pubblica, di cui fa esperienza “da sdraiato”, in stato di necessità.
Riporto questo scritto, di cui condivido l’essenza, con cognizione di causa. Sono stato medico della Sanità pubblica per tutta la mia vita professionale: medico universitario, ma sempre “nel pubblico”. Una scelta di campo definitiva, senza ripensamenti; ne ho conosciuto le difficoltà e i successi, le (personali) frustrazioni ed esaltazioni. In anni più recenti ho fatto anche la mia esperienza “da sdraiato”. Comprendo – e condivido – perfettamente quel di cui parla Rumiz.
Vorrei che di questo argomento sul sito si prendesse coscienza, in una contingenza politica in cui la Sanità pubblica è a vario titolo sfavorita nei confronti di quella privata. Ne scriveremo ancora…

Il racconto
Sdraiato su un letto al pronto soccorso ho visto il lato bello della sanità pubblica
di Paolo Rumiz

Da una barella è più facile apprezzare i pregi di un sistema solidale e democratico sempre più minacciato

Per mettere a fuoco un oggetto, a volte è sufficiente cambiare inquadratura. Per capire fino in fondo la trappola del liberismo spinto, basta assumere la posizione supina; lasciare per qualche giorno la tribù dei Verticali ed entrare in barella in un pronto soccorso. In un ingorgo di lettighe in attesa, aspettando il mio turno nell’ospedale di Trieste, ho assistito torcendo il collo allo spettacolo di un esercito di medici, infermieri e personale sanitario sfinito dai turni e travolto da una perenne emergenza, che, nonostante tutto, non mi faceva sentire un numero, si preoccupava di me, mi chiamava per nome senza conoscermi. Una confraternita dell’accoglienza davanti alla quale non ero un cliente ma venivo investito del rango di cittadino avente diritto.

Da orizzontale, avvertivo la miracolosa tensione positiva che quel caos infernale riusciva non so come a esprimere. In un momento in cui l’Europa lasciava morire in mare migliaia di innocenti e tirava attorno a sé linee di filo spinato, sentivo di essere approdato a un porto protetto che non andava mai in vacanza, funzionava 24 ore su 24, 365 giorni all’anno e non poteva respingere nessuno. Il monumento a un sistema solidale, universalistico, che non fa distinzione di reddito, razza e provenienza. La negazione della cultura dello scarto.

È solo quando ti scopri inerme che capisci. Nel primo camice bianco, verde o azzurro che ti si avvicina, vedi lo Stato nella sua massima espressione, la società di diritto che ci è costata tante battaglie. E quella sera, in pronto soccorso, mentre la presidente del consiglio parlava delle tasse come «pizzo di stato», sentivo crescere in me l’orgoglio patriottico di tenere in piedi, pagando quelle tasse, sistemi che garantivano la civiltà del mio Paese — scuola, strade, sicurezza, ospedali — e la voglia di lottare per difenderli. Ero spiaggiato su una battigia dove la tempesta spingeva centinaia di vite, ma a differenza di un migrante mi sentivo accolto da un presidio di umanità, libertà, equità, solidarietà. Una trincea di resistenza alla liquidazione del welfare, oltre che alla mercificazione della vita.

Era appena arrivata la notizia che la Regione Friuli-Venezia Giulia, dopo aver annunciato un forte incremento di spesa in favore della sanità privata, bloccava le assunzioni del personale socio- sanitario pubblico e il turn-over per decine di amministrativi del settore a Trieste e Gorizia. Mi chiedevo: chi avrebbe fatto il loro lavoro? I medici? Gli infermieri? Come coniugare, in quelle condizioni, l’assistenza, la tecnologia e l’umanizzazione delle cure? Come meravigliarsi che i tempi di attesa per gli esami di malattie anche gravi si stiano allungando a dismisura, favorendo il privato e abbandonando al loro destino i malati non abbienti?

Dalla mia postazione distesa pensavo: come possiamo essere complici di un simile smantellamento? In poche ore ero stato preso in cura da un affascinante sistema complesso: un laboratorio di analisi che aveva lavorato con controlli di qualità, la Radiologia, l’ortopedico, l’anestesista, il chirurgo, gli infermieri di reparto, quelli di sala operatoria e quelli della recovery room, poi di nuovo il reparto, i fisioterapisti, gli operatori socio-sanitari, gli addetti alla pulizia. Decine di professionisti, spesso mal pagati, talvolta demotivati, che il settore privato convenzionato è pronto a portarsi via in qualsiasi momento offrendo talvolta stipendi migliori.

Ero appena tornato dalla Germania con una pessima sensazione. Ore di ritardi dei treni, coincidenze saltate, aeroporti in tilt: avevo vissuto il crollo di un mito, quello di un sistema trasportistico modello nel cuore del Continente. Amici francesi nel frattempo si lamentavano con me per lettera del collasso di un sistema sanitario pubblico disumanizzato («En France il vaut mieux ne pas tomber malade»), mentre mail sconsolate da Madrid descrivevano scuole a pezzi, con insegnanti aggrediti da genitori o allievi fuori di testa. Il sistema Thatcher, che aveva portato l’Inghilterra alla rovina, trionfava e faceva danni ovunque.

Spinto da un barelliere, viaggiavo per corridoi e stanze illuminate al neon, seguendo una lineaa zigzag di soffitti, non di pavimenti, mentre camici di diverso colore si affacciavano nel mio campo visivo dall’alto, come dall’orlo di un pozzo. Eppure, quanto più lucidamente vedevo il mondo da quella posizione svantaggiata. Sentivo che l’Europa tutta, distratta dagli eventi in Russia e Ucraina, era sotto attacco nelle sue conquiste più sacre, mentre la gente non votava più o, peggio, votava proprio gli smantellatori del welfare. Nelle insonnie d’ospedale, sentivo nel buio il sordo rosicare di un tarlo che corrodeva le fondamenta di quel mondo. Tutto appariva chiaro: bastava star lontani per un attimo da un bombardamento mediatico ormai governato dai like e non del peso reale dei fatti, dove tutto — persino la canonizzazione di Berlusconi o il crepuscolo di Putin — assumeva contorni di tragicommedia e dove la mobilitazione per salvare cinque turisti ricchi in cerca del Titanic surclassava scandalosamente quella per i 700 naufragati nell’Egeo.

Emergenza immigrazione, non si parla d’altro. Ma senza stranieri la macchina sanitaria si ferma. Anche questo appare più evidente al malato che al sano. In Ortopedia incontri sanitari serbi, caraibici, argentini, africani del Camerun, orchestrati in un ensemble capace di coniugare efficienza, puntualità e buon umore, fondamentale per il morale del malato. E poi gente di tutt’Italia, con storie personali e familiari diversissime, con la fatica di percorsi di inserimento da seguire e ventagli di competenze da acquisire. «Per non parlare — mi dicono — delle giovani professioniste che sono anche mamme, con affitto, mutui e figli che crescono, che sarebbe bello studiassero a lungo, perché la cultura rende liberi».

Problemi? Certo che ci sono, riconosce un medico. «Affrontarli in emergenza non aiuta. Alcune rigidità organizzative sono un problema. Un processo di informatizzazione inadeguato che non rende immediato individuare le inefficienze e i rischi e che costringe operatori esausti e frustrati a compilare a penna chili di carte, i cui contenuti non sono poi sempre fruibili. Programmi di miglioramento basati su indicatori parziali e asimmetrici che, partendo dagli effetti finali e non dalle cause, allungano i tempi d’attesa in pronto soccorso o per interventi urgenti».

Il privato accreditato è il diavolo? «No. È complementare, ed è direi indispensabile dentro canoni di monitoraggio costante. Ma non può però essere un’insidia per la sopravvivenza del pubblico, perché è nel pubblico che l’equità e la solidarietà si esprimono sempre. È nel pubblico che l’urgenza e l’emergenza dovranno continuare ad avere risposte qualificate, tempestive, tecnologicamente avanzate in organizzazioni efficienti armoniche serene e umanamente attente».

Quanto si impara in un luogo come la corsia, che si sottrae alla privatizzazione del tempo, resiste alla tirannia degli algoritmi, e ti spalanca il varco più diretto di accesso all’Uomo in un laboratorio di relazione unico, al punto che talvolta i degenti sembrano più vitali dei sani. Uno spazio chiuso dove nasce un cameratismo nuovo, dove chi sta meno male sente la responsabilità di chi sta peggio, non per altruismo ma per un senso di sopravvivenza che non può essere che solidale. La notte specialmente. Un temporale imminente che propaga di stanza in stanza un’onda di lamento e di inquietudine. Un vicino di letto che bisbiglia versi di Virgilio in latino per vincere il dolore. Un mucchietto di ossa fasciate di bianco da cui esce un braccio che cerca di afferrare in alto qualcosa che non c’è. Il letto accanto al tuo che viene portato via in silenzio perché lì c’è qualcuno che ha le ore contate.

A volte la solidarietà nella confraternita dei Distesi fa sì che a volte ci sia più sorriso in corsia che fuori. A volte accade che i Verticali che approdano al capezzale dei degenti appaiano dei visitors balbettanti, capaci a malapena di magre parole di circostanza, con un occhio incollato allo smartphone e soprattutto impossibilitati a immaginare se stessi malati, distesi a loro volta su un lettino e quindi capacissimi (come è accaduto in Lombardia e Friuli) di rivotare i demolitori della sanità pubblica pronti ad alzarsi gli stipendi e a finanziare iniziative megalomani tagliando la spesa corrente.

[Di Paolo Rumiz. Da la Repubblica del 27 giugno 2023]

L’ospedale
L’ospedale di Cattinara di Trieste, aperto nel 1984. Con oltre 560 posti letto è la principale struttura dell’azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina

Immagine di copertina: da Repubblica (Getty images)

In formato .pdf: La Repubblica del 27.06.2023. L’articolo di P. Rumiz

4 Comments

4 Comments

  1. La Redazione

    30 Giugno 2023 at 21:01

    L’articolo di Rumiz a favore della Sanità pubblica non ha destato particolare interesse né ricevuto commenti di sorta.
    Come se i ponzesi non fossero sempre in prima linea a lagnarsi delle cose che non funzionano, dello specialista che non c’è, del disagio di andare sulla terraferma per questa o quella necessità, dopo una lunga attesa o eventualmente “a pagamento”.
    In sito ha anche questa funzione “antipatica” di insistere su problemi che sono di tutti e di stimolare quanto meno a prenderne coscienza.
    Pensando di fare cosa utile abbiamo sintetizzato qui le tappe (legislative) dell’assistenza sanitaria in Italia.
    Su come e perché si è giunti alla situazione attuale, dopo tutte queste riforme ‘migliorative’, è oggetto di discussione. Cerchiamo di contribuire con i nostri mezzi…

    – Il governo Andreotti IV su proposta del ministro della sanità Tina Anselmi, con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 sopprime il sistema mutualistico ed istituisce il SSN, “Servizio Sanitario Nazionale”, con decorrenza dal 1º luglio 1980. Le parole chiave della riforma del sistema sanitario sono in estrema sintesi: l’universalità, l’uguaglianza e l’equità. Con la riforma viene sostituito il vecchio sistema mutualistico fino ad allora vigente e gli oneri sono posti a carico della fiscalità generale.

    – La seconda riforma del sistema sanitario nazionale è stata realizzata dal Governo con il DL. vo 502/1992 riguardante il “Riordino della disciplina in materia sanitaria” e ha incluso le modifiche introdotte l’anno successivo (DL. vo 517/1993)
    Con gli anni novanta e le riforme avvenute sulla base della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, con la trasformazione delle strutture pubbliche da Unità Sanitarie Locali (USL) in Aziende Sanitarie Locali (ASL), in concorrenza tra loro, entrano nel settore sanitario, come in altri ambiti della pubblica amministrazione, logiche nate e proprie delle aziende private, quali l’attenzione al costo e al risultato ed alla qualità del servizio erogato

    – Il decreto legislativo n. 229/1999 (propugnato della ministra Rosy Bindi) conferma e rafforza l’evoluzione in senso aziendale e regionalizzato e istituisce i fondi integrativi sanitari per le prestazioni che superano i livelli di assistenza garantiti dal SSN, vietati dalla legge del 1978.
    Secondo una ricerca dell’OMS, risalente al 2000, l’Italia aveva il secondo sistema sanitario migliore del mondo in termini di efficienza di spesa e accesso alle cure pubbliche per i cittadini, dopo la Francia.

    – I LEA sono stati definiti con il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 “Definizione dei Livelli essenziali di assistenza”, entrato in vigore il 23 febbraio 2002.
    Definiscono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire sul tutto il territorio a tutti i cittadini, gratuitamente o con partecipazione alla spesa (ticket), finanziati con le risorse pubbliche. Le Regioni, con risorse proprie, possono garantire prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse nei LEA. I LEA, definiti nel 2001 e aggiornati con il DPCM 12 gennaio 2017 sono il nucleo essenziale irrinunciabile del diritto alla salute.

  2. Biagio Vitiello

    1 Luglio 2023 at 09:59

    Alla Redazione
    Con la critica ai ponzesi sull’articolo di Rumiz avete fatto la scoperta dell’America! A Ponza si interessano di sanità (a chiacchiere) solo nel momento del bisogno: – “Chi ’a’llave s’i ttene” (vecchio detto ponzese). Avete mai visto che qualcuno ha commentato quanto ho scritto recentemente della sanità ponzese?
    Poi ci sono gli amministratori (del presente e del passato) che non fanno nulla. Questa Amministrazione non ha nemmeno un rappresentante della Sanità.
    Abbiamo poi anche un responsabile ponzese dell’ASL per il Poliambulatorio (da anni), che si dovrebbe interessare soprattutto delle necessità e del buon funzionamento della struttura, ma negli anni c’è un progressivo peggioramento… e non dico altro (per ora).

  3. Flora Bianchini

    5 Luglio 2023 at 07:17

    Ho attraversato le varie vicende legate ai cambiamenti imposti dai vari governi: dalla famosa riforma sanitaria (istituzione del SSN – Servizio Sanitario Nazionale)… a quella Bindi, a quella recente “dei numeri”, quando tutte le complesse funzioni del mondo sanitario sono stato messo sotto monitoraggio; e ancora oggi lo sguardo al sistema è incorniciato da innumerevoli report (i numeri hanno il loro linguaggio… da tradurre). Si può contare tutto nel SSN: le prestazioni, i minuti di visita, il numero degli operatori, le ore di lavoro e di straordinario, e certamente la pandemia ha messo a dura prova le pur straordinarie capacità degli operatori.

    Il sistema “per il quale siamo contenti di pagare le tasse”, reggerà ancora agli assalti dell’attuale maggioranza di governo? – si chiede Rumiz.
    Le mia esperienza nel campo mi chiarisce che il progetto di trasformazione e affossamento del SSN, già peraltro parcellizzato in SSR (Sistemi Sanitari Regionali) ha le sue radici nel passato.
    I vari governi legiferanti nel campo hanno distribuito con modalità varie un flusso finanziario abbastanza costante ai soggetti convenzionati o ex convenzionati (attuali “privati accreditati”) permettendo il protrarsi (o rinnovarsi) delle convenzioni.
    Il sistema ha sempre protetto, quando non chiaramente avvantaggiato, i cosiddetti “privati” dotati, immagino, di adeguati sistemi di pressione sul potere politico. Così si spiegano i ritardi e delle omissioni degli adeguamenti normativi che hanno permesso anche ai “privati” di aggiornare i requisiti previsti per (ri)entrare a fare parte del SSN, con i relativi vantaggi economici.
    Il discorso si allaccia a quanto descritto da Rumiz sui privati accreditati da monitorare con attenzione.
    Ci sono già segnali di nuove attribuzioni nel settore dell’emergenza a favore di soggetti istituzionali accreditati e ipotesi di integrazioni pubblico /privato che richiederebbero una maggiore vigilanza; al fine di limitare e/o organizzare al meglio un settore molto ambito (cioè remunerativo) di cui la scandalosa e annosa questione delle “liste d’attesa” è solo la più evidente e non la più importante delle problematiche.
    E si pone qui la domanda che riguarda ancora una volta il “sistema Italia”:
    A chi spetta vigilare? Come possono i cittadini imparare a vigilare?

  4. Vanna De Logu

    5 Luglio 2023 at 17:03

    Ho appena letto l’articolo di Rumiz che mi era sfuggito come mi accade (purtroppo) spesso in questo periodo, anche nei riguardi di scritti degni di nota.
    Perché questo articolo è una lezione capace di toccarti nel profondo.
    Non solo perché hai creduto con tutta te stessa nel servizio pubblico che hai svolto, ma anche perché la posizione “sdraiata” oggi la temi molto più di prima.
    Ogniqualvolta torno al Policlinico è un momento per me di grande sconforto.
    Ma vorrei aggiungere che anche la qualità medica nel privato è ad un livello molto basso come ho potuto constatare a mie spese in una recente situazione di emergenza.
    È come se la nostra professione fosse precipitata nella mera speranza di un facile guadagno. E purtroppo quei burattini che ci governano non fanno altro che accreditare questa speranza.

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